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Berlusconi, Draghi, D’Alema: chi è il vero “mister X” del Quirinale?

Ai deputati e ai Consigli regionali è giunta questa mattina la comunicazione, da parte del Presidente della Camera Roberto Fico, nella quale si individua nelle ore 15 del 24 gennaio l’inizio delle votazioni per il Presidente della Repubblica italiana.

Un momento aspettato con trepidazione da tutti gli analisti politici italiani, perché si tratta di un’elezione storicamente affascinante, intrisa di giochi tra le segreterie politiche dei partiti, nomi che partono col furore del pubblico e che vengono affossati da franchi tiratori al quarto scrutinio e altri episodi memorabili che hanno reso la campagna del Quirinale un vero e proprio spettacolo per gli appassionati della politica parlamentare.

In questi giorni il toto-nomi sta vedendo rimbalzare principalmente due figure: Mario Draghi e Silvio Berlusconi. Il primo è il Presidente del Consiglio in carica, sostenuto da quella che probabilmente è la più ampia maggioranza parlamentare della storia repubblicana (558 – 71 alla Camera, 275 – 45 al Senato); il secondo è il nome che ha di fatto dominato la scena politica dal 1994 a oggi, anche se la sua “stella” negli ultimi anni si è fatta più flebile sia per il naturale corso della storia sia per le vicende giudiziarie che lo hanno fatto decadere da Senatore nel 2013.

Draghi è sicuramente il candidato numero uno per il Quirinale, sia perché non votandolo i partiti che lo sostengono darebbero una sostanziale sfiducia allo stesso Premier, sia perché alcuni dei ministri del suo governo – in testa il Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani – hanno già rilasciato delle dichiarazioni che vedono i draghiani pronti a lasciare il Governo del Paese in nome della Presidenza della Repubblica. Tuttavia, come già alcuni analisti hanno segnalato, o l’opzione Draghi diventa realtà al primo scrutinio con una maggioranza netta e inequivocabile oppure la sua partita potrebbe terminare prima ancora della quarta votazione, storicamente quella decisiva perché il quorum scende da due terzi alla metà più uno.

La partita di Berlusconi sembra ancora più complessa di quella di Draghi, anche se le carte in tavola per lui sono ancora sostanzialmente favorevoli: il Centrodestra infatti avrà una folta delegazione di Grandi Elettori, che saranno circa 450 (196 della Lega, 127 di Forza Italia, 58 di Fratelli d’Italia, 31 del gruppo costituito da Coraggio Italia di Brugnaro, Cambiamo! di Toti e IdeA di Quagliariello, 5 di Noi con l’Italia e circa 33 delegati regionali). Mancherebbero quindi solo 54 voti perché il Cavaliere vinca la sua sfida. Se si considera che Matteo Renzi porta con sé almeno 43 parlamentari, mancherebbero appena 11 voti da pescare nel Gruppo Misto. La partita però si complica poiché l’operazione Berlusconi dovrebbe trovare il Centrodestra unito e compatto intorno alla sua figura, convincendo anche Renzi in maniera organica. Un sostanziale Patto del Nazareno ma ancor più allargato.

Oltre ai due sopracitati, stanno emergendo anche altri profili tra cui Massimo D’Alema: l’ex-Segretario dei DS, già Presidente del Consiglio e volto storico della sinistra italiana potrebbe essere un nome di rottura degli equilibri. Il PD, insieme a LeU, potrebbe giocare questa carta per scoprire due bluff, ossia quello di Renzi e quello del Movimento 5 Stelle. Fermo restando che il centrodestra non appoggerà mai una simile candidatura, se D’Alema riuscisse a trovare l’ok dei grillini porterebbe a quota 420 la delegazione del Centrosinistra, rendendo così più agevole la sfida al centrodestra. Le dichiarazioni dello stesso D’Alema hanno però parzialmente gelato questa pista: definendo la segreteria renziana come una “malattia” del PD, Italia Viva ha il netto pretesto per non scatenare polemiche in caso di mancato voto affermativo alla sua candidatura.

Si è poi anche parlato molto della possibilità di eleggere una donna al Quirinale, presentando un’esponente femminile alla Presidenza della Repubblica. Un nome circolato era quello di Rosy Bindi, candidatura tramontata velocemente anche e soprattutto per gli scarsi consensi rimediati nella sua presentazione al pubblico. Certamente non mancano però donne che potrebbero essere candidati dai vari schieramenti: per il centrodestra in pole position c’è Maria Elisabetta Alberti Casellati, attualmente Presidente del Senato e volto storico di Forza Italia, mentre la Lega potrebbe rispondere con Irene Pivetti, nome che però sembra “azzoppato” dalle recenti controversie legali; il centrosinistra potrebbe rispondere con Laura Boldrini, nome che però sembra non troppo gradito ai 5 Stelle, tanto che Conte avrebbe proposto la candidatura di Silvana Sciarra, Giudice della Corte costituzionale eletta dal Parlamento in seduta comune e sostenuta proprio da M5S, PD e FI in quella che fu una “maggioranza Ursula” anzitempo, essendo stata incaricata l’11 novembre 2014. Il nome più quotato per una presidenza al femminile rimane quello di Marta Cartabia, già Giudice della Consulta e ora Ministro della Giustizia nel Governo Draghi.

Moltissimi, però, i nomi rimasti ancora nei cassetti delle segreterie e che invece potrebbero comparire nelle prossime ore come accordi tra le varie parti in gioco. Per il centrosinistra Grasso, Bertinotti, l’intramontabile Violante, l’ex-Premier Conte per i 5 Stelle, Gentiloni, Rutelli, Veltroni fino ad arrivare allo stesso segretario del PD Enrico Letta. Nel centrodestra sono ancora da considerare Schifani, Maroni, Tremonti, Visco e persino due nomi non facilmente digeribili dagli elettori, come Fini e Alfano. Sempre presente, poi, il nome di Giuliano Amato, il cui curriculum politico e parlamentare è fin troppo ricco per non considerarlo, anche a dispetto degli 83 anni che compirà a maggio.

Nell’analisi dei possibili candidati, non può mancare Pier Ferdinando Casini: ininterrottamente in Parlamento dal 1983, l’ex-leader dell’Unione di Centro ha fatto parte delle maggioranze di governo con Craxi, Fanfani, Goria, De Mita, Andreotti, Amato, Ciampi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte e ora Draghi. Difficile non trovare suoi sostenitori in entrambi gli schieramenti.

Se però si dovesse arrivare a un impasse, un solo nome potrebbe rimanere sul tavolo, ovvero Sergio Mattarella. Il Presidente uscente ha già manifestato la sua volontà di non ricoprire nuovamente l’incarico e anche il Centrodestra vorrebbe evitare questo scenario, tuttavia è chiaro che senza accordo tra le due parti – o senza una determinata campagna di convincimento nel Gruppo Misto – l’unica opzione è la rielezione di Mattarella, per arrivare con le nuove elezioni a una maggioranza che possa determinare il nuovo Presidente della Repubblica.

Riccardo Ficara Pigini