La situazione in Ucraina in aggrava e gli scossoni si sono sentiti anche nei Balcani. Due giorni fa, l’Albania ha concesso il suo porto di Durazzo come sbocco sul mare al Kosovo, di fatto includendo forzosamente il Kosovo nell’unione doganale fra Macedonia, Albania e Serbia. Di due giorni fa anche l’ammonimento del comandante NATO in Kosovo: “Difenderemo il Paese”.
Di luglio gli scontri sul confine fra Serbia e Kosovo per l’obbligo imposto da Pristina di portare la targa “RKS” (Repubblica del Kosovo) anziché la consuetudinaria “KS”. E da agosto, i serbi in Kosovo non potranno circolare con carta d’identità serba, ma avranno una carta d’identità kosovara temporanea valida 90 giorni. Kurti, primo ministro kosovaro, ha iniziato la sua attività politica come parte di Lëvizja Vetëvendosje! (in albanese: movimento per l’autodeterminazione) e da sempre sostenitore del diritto kosovaro di indire un referendum per l’unificazione con l’Albania, iniziando la sua carriera politica con lo slogan “Nessuna negoziazione, autodeterminazione”.
Un mese fa, l’abolizione del controllo documenti fra Serbia e Kosovo e il tour balcanico di Erdogan, che ha visitato Bosnia, Croazia e Serbia. Fra Serbia e Turchia sono stati siglati sette patti: tecnologia, miliardi di investimenti e abolizione del passaporto per il viaggio fra i due Stati. Sulla guerra in Ucraina, Erdogan ha commentato: “Non apprezzo la politica occidentale basata sulla provocazione, i Balcani non possono sopportare altre avversità”. La Turchia ha messo l’accento sul rapporto speciale con i Balcani. Già da un decennio la Turchia investe in Albania, da quando l’Italia si è ritirata dal Paese. Grandi moschee, ospedali e aeroporti (teoricamente ad uso civile, ma mai utilizzati).
Belgrado sta tentando l’equilibrismo: da una parte, il rifiuto di sanzionare la Russia, dall’altra la possibilità di entrare in Europa e la condanna dei referendum in Ucraina. “Non possiamo, vista la nostra storia, contravvenire all’integrità territoriale di un Paese”. In estate, la Russia ha serrato le file degli alleati, minacciando la Serbia di cambiare posizione sul Kosovo al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. L’Albania, da parte sua, è entrata in conflitto con la Russia al Consiglio di Sicurezza la settimana scorsa sul parallelo fatto fra i referendum ucraini e il Kosovo, aprendo le sue porte ai russi in fuga dalla leva militare. In questo quadro si inserisce l’apertura del porto di Durazzo al Kosovo.
Nei Balcani convivono due spinte diverse. Una è una tendenza a una maggiore integrazione territoriale ed economica del Paese, sfociata nell’unione doganale l’anno scorso, annunciata come “la nostra Schengen”. L’altra è la spinta nazionalista, facile da foraggiare da parte di forze esterne. In tutto il mondo, la mediatizzazione della campagna d’Ucraina ha riaperto in ogni Paese la questione della sovranità nazionale e rintuzzato dormienti questioni territoriali. Da alcuni, la spinta per l’integrazione territoriale balcanica viene additata come “stabilocrazia”. La costruzione di un corridoio NATO che abbia sbocco sul mare, con tanto di aeroporti e ospedali di servizio, dovrebbe essere un elemento di stabilità. Invece, nei Balcani, la NATO è divisa per interessi: un’ “instabilocrazia”?