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DomenicaCultura di Marco Vannucci: Il suo nome era Ribot

Con questo articolo che descrive una storia italiana di amore e di valore, magistralmente tracciato dalla penna di Marco Vannucci, inauguriamo una nuova rubrica: DomenicaCultura.

Romanella e Tenerani, quando si dice il caso di un incontro fugace e nemmeno voluto. Lei, Romanella, piccolina ma nervosa, scattante come una puledra di razza; lui, Tenerani, alto possente e bello come un dio greco. Si narra che Federico Tesio, il Commendatore per eccellenza del mondo ippico, come un don Rodrigo di metà del ‘900 sentenziò: questo matrimonio non s’ha da fare! Ma al cuor non si comanda e, come Renzo sposò la sua Lucia, Tenerani s’accoppiò con Romanella in un giorno piovoso del 1951.

Dice piovesse tutti i giorni in quel di Newmarket, in Inghilterra. Il destino a volte pare si diverta ad irridere sulla volontà della gente: Tenerani e Romanella, italianissimi, impediti di consumare il loro amore in Italia s’accoppiarono oltre Manica. In barba a tutti.

Enrico Camici viveva a San Rossore, alle porte di Pisa. Era nato nel 1911 in Barbaricina, un quartiere distante ad un tiro di sasso dalla Tenuta, quando nacque certamente non poteva immaginare che la Tenuta di San Rossore sarebbe diventata la sua vita. Toh, Ghigo, pensaci tu! Più o meno furono queste le parole che Enrico Camici, ma Ghigo per tutti, si sentì rivolgere quando gli consegnarono il frutto dell’amore tra Romanella e Tenerani. Quell’essere non bello nel vedersi, giocoso e svogliato come nessuno, non convinceva Federico Tesio. E’ brutto! Sentenziò. In effetti, il puledro, si presentava un po’ gobbo e con la coda di topo.

Tesio era innamorato di Nearco. Lui, si, ch’era bello! E soprattutto un infaticabile lavoratore, proprio come piaceva al commendatore, nonché un fenomenale campione sui prati verdi del galoppo. Enrico Camici aveva passato i quarant’anni. Un’età fin troppo matura per la sua professione, non possedendo nemmeno un palmares da esibire era stato relegato come tuttofare, il ragazzo di bottega per intendersi al meglio. Il figlio di Tenerani ci metteva del suo per avvalorare la sentenza di Federico Tesio: se non va, lo portiamo al macello!

Non si allenava e le poche volte in maniera distratta. Non voleva dormire da solo, ma soprattutto non sarebbe mai entrato in una gabbia se non accompagnato dall’inseparabile e piccola amica del cuore, insomma non era a quel che si dice una promessa. Tutt’altro. Il grande Federico Tesio morì il I° Maggio del 1954, non ebbe il tempo di vedere il figlio di Tenerani in azione, la prima gara ufficiale avvenne due settimane dopo, a Pisa, una gara riservata ai puledri per la quale, il brutto anatroccolo, non fu nemmeno segnato per partecipare. Era un cavallo strano. Non accettava nessuno in groppa se non fosse Enrico Camici.

Per una serie di circostanze fortuite, la Scuderia Dormello Olgiata del marchese Incisa, si vide costretta ad iscrivere il figlio di Tenerani e Marcellina essendo l’unico puledro di 3 anni della scuderia, pur sapendo di andare incontro a figuraccia certa. Per lo più nella gara più importante riservata ai puledri: il Gran Premio Pisa. Un Gran Premio dove accorrevano le più importanti scuderie d’Europa. In effetti fu così. Dalla tribuna fu una risata unica nel vedere questo cavallo bruttino, con la coda di topo e svogliato come non mai, accompagnato alle gabbie da una pony. L’unico nell’avere fiducia era il quarantatreenne Enrico Camici che gli sedeva in groppa. Tra una risata e l’altra e con lo sguardo compassionevole degli altri fantini, verso il “vecchio” Camici, il figlio di Tenerani e Marcellina prese il suo posto.

Ma fu quando le gabbie s’aprirono che le risate si trasformarono in stupore. Già alla prima curva aveva fatto il vuoto dietro di se. Alla seconda curva il vantaggio crebbe di ben 300 metri. Fu così che iniziò la leggenda del cavallo volante. 27 corse, 27 vittorie. 27 Gran Premi vinti. In Italia, in Europa ed in America, stupendo il mondo intero.

Il suo nome era Ribot.

Per Ribot, il Governo italiano, espresse una legge su misura impedendogli di espatriare, a fine carriera, dalla durata quinquennale. Possedeva un carattere giocoso ma non tollerava l’essere preso per i fondelli, infatti, a carriera appena terminata, la Federazione Ippica italiana organizzò una passarella all’ippodromo di San Siro, a Milano.

Con in sella l’immancabile Enrico Camici, Ribot, non si fece pregare sgabbiando da par suo, ma quando s’accorse di essere l’unico galoppatore si fermò di colpo davanti alla tribuna centrale, smosse la groppa facendo ruzzolare il buon Camici. Ma non fuggì, piegò il lungo collo verso Enrico Camici per poi leccarlo sul viso più volte.

Chi scrive ha avuto la fortuna, e l’onore, di conoscere il grande Camici. E poi, cosa accadde, Ghigo? Dopo avermi baciato, Ribot, mi guardò con occhi severi, come per dirmi: non farlo più, eh?

Marco Vannucci