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Il silenzio degli Innocenti

Un velo di silenzio ha coperto per molti anni le vicende che hanno colpito il confine orientale d’Italia al termine della seconda guerra mondiale, come si volesse dimenticare una pagina buia del nostro Paese.

Nel settembre-ottobre del 1943 e, più tardi, nella primavera del 1945, con la presa del potere da parte delle autorità jugoslave guidate dal maresciallo Tito, diverse migliaia di Italiani della Venezia Giulia e della Dalmazia vennero arrestati e deportati. Molti di loro non fecero più ritorno a casa, né si seppe più nulla della loro sorte. Rilevante è il numero di coloro che vennero gettati nelle foibe, cavità naturali a forma di imbuto caratteristiche del paesaggio carsico della regione, spesso delle vere e proprie voragini, che sprofondano verticalmente nel terreno per decine o centinaia di metri, dove le loro salme non avrebbero dovuto essere più ritrovate.

Le foibe divennero così la tomba di tantissimi sventurati, anche vittime dell’odio, delle passioni dell’epoca e degli avvenimenti storici e politici che travolsero la Venezia Giulia. Gli avvenimenti dell’Istria, di Pola, Fiume, Trieste, Gorizia, Zara e della Dalmazia trovano spazio in specifici paragrafi depositati che descrivono con completezza come le autorità partigiane assunsero il potere e come si svolsero gli arresti, le deportazioni e le uccisioni di tanti italiani. La polizia segreta di Tito colpì con spietata precisione tutti coloro che potevano essere, di fatto o in teoria, possibili oppositori all’instaurazione del nuovo regime jugoslavo. In questa prospettica molte persone finirono non solo nelle foibe, ma furono uccise anche in vari altri modi: numerosi vennero fucilati o comunque eliminati in modo violento durante la loro deportazione, altri cessarono di vivere per malattia, per stenti o per esecuzioni sommarie nei lunghi periodi di detenzione nelle carceri e nei campi di concentramento jugoslavi. Moltissimi italiani rimasero rinchiusi nelle prigioni di Tito anche parecchi anni dopo la fine della guerra ed il regime jugoslavo si comportò in maniera assolutamente illegale, in spregio ad ogni norma del diritto internazionale.

Dopo la liberazione dall’occupazione tedesca, a partire dal maggio del 1945, nelle province di Gorizia, Trieste, Pola e Fiume il potere passa nelle mani delle forze partigiane jugoslave: ne conseguono arresti, sparizioni e uccisioni di decine di migliaia di persone, almeno 25mila delle quali gettate nelle foibe. Le violenze cesseranno solamente dopo la sostituzione dell’amministrazione jugoslava con quella degli alleati, il 12 giugno 1945 a Gorizia e Trieste, e il 20 giugno a Pola. In quest’orrenda pagina della storia recente, le foibe hanno avuto come principale obiettivo quello di occultare gli eccidi di oppositori politici e cittadini italiani, ostacolo all’annessione jugoslava delle zone, come sarà poi confermato dallo stesso Tito, quando il governo di De Gasperi, in possesso di informazioni in merito alla vicenda, chiederà ragione delle migliaia di morti di nazionalità italiana.

La violenza aumentò nella primavera del 1945: alla fine della seconda guerra mondiale l’esercito jugoslavo occupò Trieste (1° maggio ’45), riconquistando i territori che, alla fine della prima guerra mondiale, erano stati negati alla Jugoslavia. Tra maggio e giugno migliaia di italiani abitanti dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia furono obbligati a lasciare la loro terra. Altri furono uccisi dai partigiani di Tito, gettati nelle foibe o deportati nei campi sloveni e croati. I primi a finire in foiba furono carabinieri, poliziotti e guardie di finanza.

Fin qui la storia, ma scrivere sulle foibe, oggi 10 ottobre 2023, bisogna farlo in punta di penna. Seppure siano passati ben 78 anni dai tragici eventi. In punta di penna, quindi, poiché il rischio di venire tacciato per un fascista è alto. Semplicemente delle foibe non si dovrebbe parlare, punto. Le foibe sono un ricordo scomodo. Scomodo per i media, quattro righe sparse qua e là, scomodo per le TV ferme ad un servizio di pochi secondi per togliersi il problema velocemente. Ricordare le foibe implica tutto questo. Perfino nei comuni amministrati dal centrodestra, i sindaci, fanno gli gnorri. Le foibe sono un problema per la politica del compiacere. Eppure fu una strage di italiani. Quanti? Non è dato a sapere. 20mila?

Sinceramente sono numeri non corrispondenti al vero ma da alcune fonti ben informate si parla di 50/60 mila italiani tra infoibati e “trasferiti” a Lubianka. Il metodo usato per infoibare fa rabbrividire al solo pensiero: i prigionieri venivano incolonnati, l’un con l’altro, tramite un filo spinato attorcigliato ai polsi. Davanti ad una foiba sparavano al primo della fila gettandolo nella cavità costringendo, il resto della fila, nel seguirlo causa l’incatenatura. Una morte atroce. Dal secondo di fila in poi doveva solo sperare di sbattere la testa su un masso, durante la caduta, per morire subito e non dopo giorni di atroce agonia.

Questa è la storia, ma scriverla, ripeto, è sempre difficile nonché rischioso. Quindi proverò a cimentarmi in una cronostoria trascrivendo le testimonianze di chi, quei fatti, l’ha realmente vissuti. Tony Capuozzo, a mio modesto avviso il migliore giornalista italiano, qualche anno fa scrisse un articolo/documento avendo ben ragione di esporlo, lui di origine istriana e costretto alla deportazione:

Leggo commenti che minimizzano, isolano, circoscrivono. Non mi interessa quanti fossero, chi fossero, se siano stati isolati o ignorati, quelli che hanno inneggiato alle foibe nei cortei antifascisti. Il problema è che c’erano, ritenevano di aver diritto di esserci, e ci sono rimasti. E molti tra quelli che hanno partecipato, o solidarizzato da lontano con quelle manifestazioni sembrano più intenti a cogliere le sfumature che ne conseguono nel rapporto tra le varie anime della sinistra che a ragionare su quella macchia.

Per me è indelebile. Perché ha a che vedere solo con l’ignoranza, con il fatto che la scuola non insegna e non vuole insegnare (al liceo Einstein di Cervignano del Friuli insegnano, nel Giorno del Ricordo, balli sudamericani, al Liceo Pasteur di Roma invitano una negazionista). Si spiega, quello slogan – e la disinvoltura con cui tanti altri se lo scrollano di dosso – con un giustificazionismo di chi si ritiene sempre la parte migliore del Paese, e dimentica allegro le sue colpe.

Ci dicono: e i crimini commessi dagli italiani? Ci furono, durante l’occupazione dei Balcani. E ci furono prima brucianti ingiustizie e italianizzazioni forzate. Credete che i responsabili abbiano pagato? No, se l’erano data per tempo. I titini si sfogarono su chi era rimasto, pensando ingenuamente di non aver nulla da temere. Infoibarono persino membri del CLN, e un ebreo sopravvissuto ai campi di sterminio nazista. E allora, sapete come si chiama, nella sordida algebra dei dolori, quella reazione? Rappresaglia: esattamente come i nazisti con le Fosse Ardeatine dopo via Rasella, e paradossalmente esattamente come il preteso giustiziere Traini, che spara a chiunque sia nero di pelle. Vendette nel mucchio.

Ci dicono le massime autorità del Paese: i nazionalismi…. No. Tra i partigiani del IX Corpus slavo c’erano italiani. E gli sloveni hanno appena pubblicato una mappa delle loro fosse comuni: 600. Vi sono stati gettati sloveni e croati, dai titini. Il silenzio sulle foibe serve anche a nascondere le responsabilità del comunismo, a togliere dall’imbarazzo.

Sapete come furono accolti gli esodi da Fiume, da Zara, da Pola? Con le bandiere rosse dai portuali di Ancona. Con la protesta dei ferrovieri bolognesi. Era comodo addossare loro, che fuggivano dal paradiso socialista, le colpe che erano di tutti gli italiani. Quanti treni diretti ai lager nazisti erano stati fermati, quando farlo sarebbe costato qualcosa? Nessuno. Considerare fascisti chi era contemporaneamente vittima del fascismo e del comunismo era più facile, loro erano i vinti, e chi li disprezzava – l’accoglienza non era di moda – era l’Italia che aveva combattuto dalla parte sbagliata. Noi, gli altri, eravamo tutti partigiani del 26 aprile, tutti dalla parte giusta, anche se da Pola non avevano mai fatto corriere per andare alle adunate di piazza Venezia.

Una bimba esule

Mi ha amareggiato anche vedere i cortei di Casa Pound nel Giorno del Ricordo. E’ un loro diritto, ma non riesco mai a non vedervi un’appropriazione indebita, un abbraccio alla solitudine degli esuli e dei loro figli che sa di bacio della morte. Lasciateci soli, discorsi ufficiali ipocriti, cortei neofascisti, cortei antifascisti, soli con le storie delle morti atroci, con gli addii strazianti, con le nostalgie dolorose. Meglio dimenticati che tirati per la giacca, o stracciati nelle contese elettorali. Forse è un destino, per gente che si è rifatta un’esistenza in solitudine, e che oggi vede persino le proprie parole abusate fino a perdere di valore, di significato: profughi, accoglienza, integrazione.

Lasciatemi dire solo una cosa in più: ignorando quelle pagine di storia, stravolgendole, avete perso una lezione. Molti colleghi di mio padre, pilota aeronautico, furono infoibati, e molti altri morirono nei lager nazisti. Le presero dalle due ideologie mortali del ‘900, nazifascismo e comunismo. Fecero in tempo, da vivi, a salvare centinaia di ebrei. Per me quella lezione, oltre alla grata amicizia di qualche amico israeliano, ha voluto dire che ognuno è responsabile di quello che fa, di quello che può fare e non può fare, e che anche nel buio più profondo un tuo gesto può salvare altri e te stesso. Voi fate i vostri conti elettorali, le vostre schegge impazzite esaltino i pugni chiusi o le braccia tese, e sentitevi pure antifascisti e anticomunisti abili e arruolati. Per fortuna, pregio e difetto insieme di noi italiani, è solo commedia, uno slogan, una scritta sul muro, un infierire su un carabiniere solo, un corteuccio a bandiere schierate. Ecco, una cosa potreste fare, lasciare perdere l’idea dell’Italia migliore, e il tricolore. C’è la fotografia di una bambina esule, e un tricolore poggiato sul carretto con le masserizie. Era gente che amava la patria, anche se parlava il dialetto. Ha continuato ad amarla anche dopo, in Australia e in Canada, a Fertilia o a Trieste. Come si ama un padre stanco, confuso, dimentico, che non ti riconosce più, ma è pur sempre tuo padre. Paese ipocrita e allegro, superficiale e feroce, era meglio se non ci regalavi, omaggio postumo, il Giorno del Ricordo. Metterti in vetrina per vederla rompere, era meglio restare nel retrobottega della Storia.

Testimonianza del Tenete Graziano Uldovisi, intervistato a Porta a Porta da Bruno Vespa nel mese di ottobre del 1996: 

Il capo, un partigiano italiano, mi si avvicina e sferza ripetutamente il mio corpo rabbiosamente. Mi fa avanzare, estrae lentamente la pistola dalla fondina, la impugna per la canna e picchia con forza il calcio dell’arma all’altezza del mio orecchio già precedentemente leso. Sento la mascella staccarsi, cedere. Al momento non sento dolore. La lunga tortura mi ha reso insensibile…”Avanti, avanti!” Il filo di ferro preme là dove si è fossato, nell’incavo interno del gomito, sul tendine del muscolo, e il dolore si manifesta gradualmente con il tremito di tutto il corpo…Cado….Fulminea arriva la pesante vigliacca botta…Vengo sospinto sul terreno in pendenza… c’è una roccia ai miei piedi, bianca, che scende in verticale e si perde in una grossa fossa scura, voragine già conosciuta in altra parte, non lontano da qui. Madonna, Madonna mia! E’ la Foiba! <Siamo pronti, il masso è legato al collo> dicono alcune voci…Il mortale crepitio delle armi è assordante, vedo la fiamma uscire da uno dei mitragliatori puntato su di noi. Mi sento spingere, non attendo oltre, mi butto… Cado su di un ramo sporgente che sembra trattenermi, ma subito si strappa e rovina con me. Precipito in quella gola nera. Un tonfo, più tonfi e l’acqua si chiude su di noi. Mi sento trascinare giù verso il fondo…l’istinto di conservazione mi fa muovere ritmicamente gambe e braccia indolenzite per giungere in superficie. Tocco una grossa zolla erbosa, no, è una testa e tra mie dita ci sono i capelli. Afferro e tiro spasmodicamente verso di me quel corpo inerte. Risaliamo insieme, sono a pelo d’acqua, emergo con la testa e respiro a pieni polmoni”. Gli assassini sono rimasti sul posto, hanno sentito fruscii sospetti provenienti dal fondo e per chiudere definitivamente l’impresa eroica lanciano una bomba a mano, poi ancora una seconda. I due infoibati, dopo un po’ si rendono conto che tutto sembra finito. “L’amico-  racconta Udovisi – mi fa notare una rientranza che ci può accogliere. Ascoltiamo se giunge qualche suono di voce o rumore di passi… Con fatica ci arrampichiamo e ci rannicchiamo in quel breve spazio”.

L’uomo che il sottotenente Udovisi, in uno spasimo d’amore contro la bestiale ferocia dei partigiani riuscì a tirare fuori dall’acqua, era Giovanni Radeticchio, classe 1920, militare del 2° reggimento “Istria”, in servizio presso il distaccamento di Marzana (Pola).

Dalla testimonianza di Giovanni Renditicchio, soldato semplice, anche egli ebbe occasione di raccontare la sua straordinaria avventura. E da lui apprendiamo altri agghiaccianti particolari.

Furono trasferiti in una cella, dove furono slegati, ma subito dopo legati ancora e.. “verso le 21 circa, se ben ricordo, del giorno 13, cominciarono a chiamarci uno alla volta…e poi cominciarono a bastonare di santa ragione. Mi ero l’ultimo a essere chiamà: appena entrà sulla porta go visto una stanza de circa 3 m. per 4 m.; per terra dei sacchi sporchi di sangue e i miei compagni per terra o sui sacchi come morti, tutti sporchi di sangue e la faccia tutta segnata. Erano in cinque a battere: uno batteva con un ferro, una ragazza con la cinghia dei pantaloni, un altro con un bastone… Erano circa le 3-4 del mattino, finito di bastonarci, io ero l’ultimo…

Furono legati a due a due, sempre col terribile fil di ferro che segava i tendini negli incavi dei gomiti e poi tutti insieme, in sei “Abbiamo chiesto di mollarci un pò, ma invece non lo permisero. Il mio compagno aveva tutta la mano gonfia per mancanza di circolazione e gridava tutta la strada. Il fil di ferro gli entrava nella carne e non si vedeva neanche più. Ho cercato di allentare un poco il ferro ma vedendomi far ciò strinsero ancora di più il ferro con la tenaglia.” “Per la strada ancora colpi e se si cadeva ci facevano rialzare a colpi di moschetto e di bastone, siamo arrivati vicino alla foiba. Uno andò a vedere da dove potevano buttarci dentro e ci chiese: <Siete contenti di andare in foibe?>. Poi ci mollarono il ferro che ci legava tutti e sei e ci legarono un sasso con un filo di ferro alle mani che erano sempre legate dietro alla schiena…Poi ci fecero alzare e ci fecero camminare verso la foiba, uno alla volta e dovemmo andare avanti da soli; io sono stato il secondo, quando arrivai vicino alla foiba mi sono fermato un momento: allora uno che era sulla roccia a 15 metri lontano da me cominciò a sparare col mitra, ma senza mira, e così sparò anche sul ferro che legava il mio sasso, mi sono buttato dentro la foiba e caddi nell’acqua, sprofondando forse dei metri sotto e sempre con le mani legate; cominciai a nuotare con le gambe finchè mi sono avvicinato sotto la roccia e sono rimasto sotto sotto, fermo finché buttarono gli altri quattro miei compagni…”

Dopo andati via – racconta con popolana semplicità Radeticchio, parlando dei partigiani che si sono ritirati – mi sono messo in una specie di scalino che era di fianco a me, mi sono sdraiato sul fianco e con le dita riuscii a molare il ferro che mi legava la mano e questo forse dopo un’ora: il ferro era così conficcato che staccandolo vennero via anche dei pezzi di carne”.

Ambedue italiani disconosciuti. Il sottotenente Graziano Udovisi, non è stato riconosciuto invalido di guerra, non gli è stato riconosciuto neanche il grado, né il servizio militare prestato; quindi, non ha potuto ottenere la pensione di guerra e non percepisce alcunché. In compenso lo Stato italiano elargisce la pensione ai suoi infoibatori… Con puntualità e con continuità. In dollari. E con reversibilità al 100 per cento, secondo la proposta della misericordiosa Tina Anselmi.

Con grande coerenza lo Stato italiano non ha riconosciuto l’invalidità di Giovanni Radeticchio, che fu costretto ad emigrare in Australia. Il soldato Giovanni Rediticchio tornò in Italia nel 1983 per spirare la sua Anima a Dio il 21 agosto 1991 a Torino.

Graziano Udovisi Nato a Pola il 6 luglio 1925, morì a Reggio Emilia il 10 Maggio 2010. Lasciata la Divisa divenne insegnante elementare. Di lui il presidente della Associazione Invalidi di guerra, Lucio Toth, scrisse:

 Udovisi “è stato un buon soldato, quando si è trattato di indossare una divisa per difendere l’onore e l’integrità territoriale della nostra Patria. E’ stato un buon cittadino, perché non ha mai portato la sua terrificante esperienza di infoibato per sollecitare rancori e odi etnici o politici”.

Norma Cossetto

Ma rancore ed odio politico c’è stato, eccome! Sparso con odio dai negazionisti, ieri come oggi, con l’ANPI capofila ed i suoi (in)degni accoliti. Dal sito ANPI:

La foiba dei miracoli

Indagine sul mito dei “sopravvissuti” (di Pol Vice)

(1 Marzo 2008)

  PRIMAVERA 2005: Graziano Udovisi, maestro in pensione ex tenente della Milizia Difesa Territoriale e rastrellatore di partigiani in Istria, sua terra natale, viene premiato nella manifestazione degli Oscar della Rai come “uomo dell’anno” per un’intervista da lui rilasciata a Minoli e più volte trasmessa nel corso degli anni. Racconta che nel 1945 è riuscito a salvarsi dalla foiba in cui è stato gettato, salvando nel contempo un suo commilitone…

  ESTATE 1945: Giovanni Radetticchio, milite della M.D.T., racconta alle autorità di Trieste di essersi salvato dalla foiba in cui è stato gettato, di essersi salvato da solo, e che in questa foiba è morto… Graziano Udovisi.

  ESTATE 1945: Graziano Udovisi, ricercato come criminale di guerra, per evitare l’arresto fugge a Padova con una carta d’identità falsa…

  Sono questi i dati di partenza di uno strano intrigo che in questo dopoguerra ha visto coinvolti, nel nome delle “terre perdute” dell’Istria e della Dalmazia: ex repubblichini      rastrellatori di partigiani, agente della X Mas, democristiani neoirredentisti, la Curia di Trieste, giornalisti e comunicatori massmediatici, storici compiacenti e istituzioni dello stato italiano.

  Il come, il perchè e il chi di questo intrigo storico e massmediatico sono l’oggetto de La foiba dei miracoli, la minuziosa indagine storica di Pol Vice.

  La foiba dei miracoli di Pol Vice è una ricerca esemplare che il gruppo di Resistenza storica offre a tutti i lettori e gli appassionati di storia coinvolti da     alcuni anni a livello massmediatico, in occasione della cosiddetta Giornata del Ricordo, nelle vicende del confine orientale.

Come abbiamo già dimostrato con precedenti studi, quali Operazione “foibe” tra storia e mito di Claudia Cernigoi, e Revisionismo storico e terre di confine, a cura di Daniela Antoni, intorno a queste vicende sta funzionando una propaganda forsennata, che prescinde da qualsiasi seria analisi storica e documentale e che ha come scopo preciso quello della riabilitazione del fascismo.

Con le nostre ricerche ci proponiamo di offrire materiali per contrastare questa deriva revisionistica. La foiba dei miracoli Indagine sul mito dei “sopravvissuti” (di Pol Vice)

(1 Marzo 2008)

  PRIMAVERA 2005: Graziano Udovisi, maestro in pensione ex tenente della Milizia Difesa Territoriale e rastrellatore di partigiani in Istria, sua terra natale, viene premiato nella manifestazione degli Oscar della Rai come “uomo dell’anno” per un’intervista da lui rilasciata a Minoli e più volte trasmessa nel corso degli anni. Racconta che nel 1945 è riuscito a salvarsi dalla foiba in cui è stato gettato, salvando nel contempo un suo commilitone…

  ESTATE 1945: Giovanni Radetticchio, milite della M.D.T., racconta alle autorità di Trieste di essersi salvato dalla foiba in cui è stato gettato, di essersi salvato da solo, e che in questa foiba è morto… Graziano Udovisi.

  ESTATE 1945: Graziano Udovisi, ricercato come criminale di guerra, per evitare l’arresto fugge a Padova con una carta d’identità falsa…

  Sono questi i dati di partenza di uno strano intrigo che in questo dopoguerra ha visto coinvolti, nel nome delle “terre perdute” dell’Istria e della Dalmazia: ex repubblichini      rastrellatori di partigiani, agente della X Mas, democristiani neoirredentisti, la Curia di Trieste, giornalisti e comunicatori massmediatici, storici compiacenti e istituzioni dello stato italiano.

  Il come, il perchè e il chi di questo intrigo storico e massmediatico sono l’oggetto de La foiba dei miracoli, la minuziosa indagine storica di Pol Vice.

  La foiba dei miracoli di Pol Vice è una ricerca esemplare che il gruppo di Resistenza storica offre a tutti i lettori e gli appassionati di storia coinvolti da     alcuni anni a livello massmediatico, in occasione della cosiddetta Giornata del Ricordo, nelle vicende del confine orientale.

Come abbiamo già dimostrato con precedenti studi, quali Operazione “foibe” tra storia e mito di Claudia Cernigoi, e Revisionismo storico e terre di confine, a cura di Daniela Antoni, intorno a queste vicende sta funzionando una propaganda forsennata, che prescinde da qualsiasi seria analisi storica e documentale e che ha come scopo preciso quello della riabilitazione del fascismo.

Con le nostre ricerche ci proponiamo di offrire materiali per contrastare questa deriva revisionistica.

La replica storica di Marcello Lorenzini:

Mai avrei potuto immaginare di finire nell’Internet, e per di più in compagnia della pubblicista Claudia Cernigoi e del ricercatore storico Sandi Volk. La prima, come è noto, ha avuto un momento di notorietà con la comparsa, nel 1997, del libro Operazione foibe a Trieste.

Il fatto di essere finito nell’Internet, assieme ai due sullodati, me lo ha telefonato una sera l’amico R.B., farmacista in quel di Roma, il quale, oltre che per necessità professionali, ama “navigar’’ in quel mondo, per me astruso, alla ricerca di “cose nostre’’. E così si è imbattuto nel “sito’’ Le foibe sul Carso triestino. E l’amico R.B. ha avuto subito anche la cura di trascrivere ed inviarmi il contenuto.

 Un lavoro fatto da persona intelligente che ha capito e saputo valutare i testi sulla tragedia delle foibe. Il “sito’’, infatti, si apre con ampi estratti del mio opuscolo divulgativo Le stragi delle Foibe – Due Presidenti a Basovizza, uscito nel 1994 e stampato in alcune migliaia di copie; ad esso è riservato uno spazio equivalente a quasi tre pagine. Un po’ meno è lo spazio riservato agli scritti di Claudia Cernigoi e di Sandi Volk. Operazione foibe a Trieste è un libro scritto da una quarantenne (ma quando è comparso nel 1997, di anni ne aveva 38). Quindi persona ben lontana dai tempi e dai fatti che ha voluto rievocare e interpretare, ben diversamente dall’esperienza di quanti li hanno vissuti e sofferti, testimoni delle violenze e del terrore.

 Una scuola di pensiero sostiene che le stragi delle foibe non sono mai avvenute; i pochi che vi sono finiti dentro erano tutti nazifascisti criminali e pertanto hanno meritato la giusta punizione; per il resto è tutta sporca speculazione e propaganda politica, diretta a mantenere la contrapposizione fra le due etnie. A dimostrare tale ipotesi da anni vi si arrabattano eminenti cervelli, senza però venire a conclusioni obiettive, probanti, convincenti, in mancanza delle quali continuano pervicacemente a negare tutto: assassini, atrocità, nefandezze, ma soprattutto le foibe.

Tuttavia, sta di fatto che quel fardello pesa enormemente sulla loro parte, e perciò tentano ad ogni costo di scrollarselo di dosso, senza riuscirvi. La Cernigoi si è cimentata anche lei nell’impresa con la sua Operazione foibe a Trieste, un libro “dejà vu’’, ossia scontato in partenza. E se alla sua comparsa ha fatto un po’ di rumore fra quanti delle Foibe hanno ben altre documentate certezze, poi l’interesse è venuto meno. Insomma, non è stato un “best-seller’’ come forse gli interessati si aspettavano.

 Comunque è da pensare che la Cernigoi e il suo presentatore Volk si siano ritenuti pienamente soddisfatti del loro lavoro, per aver detto la parola definitiva sulla “mistificazione delle foibe’’.

 Invece la replica è venuta, anche se forzatamente in ritardo. Una replica coraggiosa, documentata, martellante, simile a una ruspa, che affonda, scava, fruga, setaccia. A tutto ciò una risposta era necessaria, doverosa, per ripristinare la verità dei fatti, per rispetto della giustizia e della memoria delle vittime, ancora una volta brutalmente demonizzate.

 A proporci la replica è stato il concittadino Giorgio Rustia, fortemente turbato, scosso da Operazione foibe a Trieste. Si è improvvisato ricercatore storico, impegnandosi a fondo e con straordinaria tenacia in una seria, appassionata ricerca e consultazione di opere, giornali, documenti, privilegiando di proposito gli autori di sinistra, per controllare se la verità corrispondesse o meno a quanto affermato. Il risultato? Una serie impressionante di dati, tale da fornire materiale per un volume di circa trecento pagine, intitolato con pieno fondamento Contro operazione foibe a Trieste  Conoscendo l’Autore il mio passato come ideatore e coofondatore del Comitato per le onoranze ai Caduti delle Foibe, e l’attività svolta per dodici anni come vicepresidente dello stesso, ha voluto darmi in visione il libro ancora in bozza, sollecitando il mio parere ed anche la presentazione. Ho accettato per l’importanza, l’amore e la nobiltà della causa. E così, dopo la casuale compagnia nell’Internet con la Cernigoi e con Volk, sono nuovamente venuto a contatto indiretto con loro, per partecipare sia pure a margine al lavoro svolto dall’Autore.

 È da dire subito che Giorgio Rustia ha fatto un ottimo lavoro. Il suo primo merito è rappresentato dall’opportuna, chiara rievocazione storica della situazione determinatasi nella Venezia Giulia durante e, particolarmente, dopo l’ultimo conflitto mondiale. Così, sulla scena ricompaiono in primo piano i comunisti italiani di Trieste, saldamente legati a Tito e pronti a consegnargli la Città, sollecitati anche da Togliatti. È stato il loro grande, turpe tradimento, una macchia indelebile, che nessun solvente potrà mai cancellare. E al tradimento si sono aggiunte la corresponsabilità nelle stragi delle foibe, nelle deportazioni, nella scomparsa di migliaia di persone, ed ancora il feroce accanimento contro gli esuli istriani, costretti ad abbandonare la loro terra sotto l’oppressione e il terrore degli invasori slavocomunisti di Tito. Bene, dunque, ha fatto Giorgio Rustia a rievocare questi misfatti, perché i comunisti contano molto sul fluire del tempo e sulla labile memoria di gran parte della gente, tanto che oggi sono riusciti a governare l’Italia.

 Altro ottimo servizio di smentita Rustia lo ha reso a Sandi Volk, il ricercatore storico e presentatore, come s’è detto, del libro della Cernigoi. Il Volk, tra l’altro, ha attribuito alla Repubblica Italiana “persecuzioni dei partigiani comunisti e stragi di operai e contadini nell’immediato dopoguerra’’, naturalmente “con largo ricorso a personale fascista’’.

 Tali affermazioni hanno offerto al nostro Autore l’occasione di sciorinargli tutta una serie di uccisioni, atrocità, massacri perpetrati proprio dai partigiani comunisti sotto la guida dei loro capi. E solo pochi hanno pagato. Giorgio Rustia, valendosi dell’ampia documentazione raccolta sui fatti più clamorosi, ha contestato, confutato, smantellato, fatto letteralmente a pezzi quanto affermato dalla Cernigoi in Operazione foibe a Trieste, dove sembra che tutti siano degli sprovveduti, smemorati, all’oscuro dei tragici fatti qui avvenuti or più di mezzo secolo fa. Di quanti li hanno vissuti sono molti ancora in vita, e di questi non pochi hanno, per esempio, tuttora bene in mente il caso di Dora Ciok, un’autentica martire slovena, vittima della più abietta ferocia di uomini imbestialiti.

 Ad ogni modo ricordiamo. L’infelice giovane di Longera è stata arrestata, seviziata, violentata e quindi infoibata dal cugino Danilo Pertot, che di lui non ne voleva sapere, e da altri tre bruti. C’è stato un clamoroso processo, il Pertot è stato severamente condannato, ma è riuscito a rifugiarsi nell’ospitale Jugoslavia di Tito. Ora questo pluriomicida ha avuto un trattamento di tutto rispetto da parte della Cernigoi, la quale, parlando dell’infame delitto, ha coperto l’assassino di Dora sotto le sole iniziali D.P. Anche su questo caso Giorgio Rustia ha indagato e l’Autore della coraggiosa replica ha saputo rivendicare l’innocenza, la rettitudine, l’onore della giovane fanciulla e di numerose altre persone infoibate o trucidate in vario modo all’insegna della stella rossa, e in base ai codici della “giustizia popolare’’. Per Claudia Cernigoi anche il centinaio di guardie di Finanza catturate a Trieste e che sono state scaraventate in qualche orrida foiba, si sono meritate la giusta punizione. Al nostro Autore è riuscita, con una semplice analisi critica del testo, la riabilitazione delle Fiamme gialle.

 La Cernigoi presenta un suo calcolo delle vittime: a Trieste soltanto 517. Come un banale conto di una piccola spesa al mercatino rionale. E le altre migliaia di persone scomparse?

Quale titolo si poteva dare ad una replica, a una contestazione così ampia, precisa, puntigliosa, stringente, ma soprattutto seriamente documentata, se non Contro operazione foibe a Trieste? Un titolo semplice ma lapidario, che rispecchia un lavoro onesto, una ricerca certosina dei fatti, dettata da moventi umani, cristiani e patriottici, allo scopo di riaffermare la verità e rendere giustizia alle vittime del furore omicida del comunismo italo-slavo.

 Grazie, Giorgio Rustia!

Marcello Lorenzini

Senza peli sulla lingua, Lorenzini, cita Togliatti e le responsabilità dei comunisti italiani. Che ci sono state, tante, troppe, nel ripercorrerle percorre un brivido sulla pelle.

 Il giornalista de l’Unità Tommaso Giglio, in seguito divenuto direttore de L’Espresso, scrisse un articolo il cui titolo recitava “Chissà dove finirà il treno dei fascisti? Il 30 novembre del 1946, sempre su L’Unità, riceve la risposta del cosiddetto migliore: Ancora si parla di ‘profughi’: altre le persone, altri i termini del dramma. Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città. Non sotto la spinta del nemico incalzante, ma impauriti dall’alito di libertà che precedeva o coincideva con l’avanzata degli eserciti liberatori. I gerarchi, i briganti neri, i profittatori che hanno trovato rifugio nelle città e vi sperperano le ricchezze rapinate e forniscono reclute alla delinquenza comune, non meritano davvero la nostra solidarietà né hanno diritto a rubarci pane e spazio che sono già così scarsi”.

Piero Montagnani, sempre attraverso l’Unità, il giorno successivo rincara la dose:  Per questa strada si difende l’italianità delle città contestate rimanendo sul posto e non facendo il vuoto davanti agli slavi, trattando con loro per ottenere ampie autonomie linguistiche, culturali, amministrative. Non si difende sbavando calunnie da Roma o da Milano ed impiantandovi, a spese del popolo italiano, losche centrali di artificiosi irredentismi e di pazzesche rivincite. Così noi vediamo la soluzione di questo problema e non nell’esodo artificiosamente sollecitato con spauracchi inconsistenti e con promesse inattuabili, così noi pensiamo si tutelino realmente gli interessi dei dalmati italiani e dell’intera Nazione. Non è necessario dunque sia acuita la crisi delle città colpite dalla guerra dove già sono scarsi il pane, il lavoro e l’alloggio per migliaia di famiglie, che non devono esserne private senza plausibile motivo. Semplice ad intendere ci sembra il nostro discorso per chi non sia sordo per livore di parte, semplice e chiaro per chi non sogni nuove avventure e nuove catastrofi.

E’ finita qui? Macché! Soltanto 4 anni fa, dal sito ANPI di Rovigo, potevamo leggere:

Sarebbe bello spiegare ai ragazzi delle medie che le foibe le hanno inventate i fascisti, sia come sistema per far sparire i partigiani jugoslavi, che come invenzione storica. Tipo la vergognosa fandonia della foiba di Bassovizza.

Un’altra pagina vergognosa, di questa storia, spetta di diritto al presidente Sandro Pertini.

Pertini e Tito
La lettera di commemorazione di Pertini alla morte del maresciallo Tito

Il fumetto con la pipa, già reduce di una allucinante commemorazione del criminale Jospeh Stalin in Parlamento, dette il peggio di se regalando la pensione italiana a 68.000 partigiani slavi, indi compresa la reversibilità per i loro eredi; con l’onorificenza al maresciallo Tito, nominato gran cavaliere della Repubblica italiana, disonorò la nostra Patria ed i Martiri delle foibe; il bacio alla bara di Tito e la “letterina” di commiato al compagno Tito lascia intendere come sia stato difficile riportare la storia nella sua vera veste.

E come sia ancora difficile.

Marco Vannucci