Nel periodo in cui tutti, giustamente, parlano di crisi climatica, c’è un’altra crisi che passa, ingiustamente, inosservata: la crisi demografica. Si tratta di un problema forse ancora più urgente. L’Italia è in pieno inverno demografico e non da oggi.
I primi segnali di una curva demografica che volgeva verso il basso risalgono addirittura alla metà degli anni Settanta. Esaurito il baby boom del periodo precedente, che aveva alimentato teorie antinataliste e le previsioni cupe sugli effetti devastanti della sovrappopolazione, è iniziata la sottostima dell’entità della questione demografica.
Sebbene il declino demografico sia un elemento comune a tutto l’Occidente e all’Europa, non c’è omogeneità nella gravità delle situazioni nazionali. L’Italia si trova in una posizione particolarmente negativa, la peggiore nell’Unione Europea. Il tasso di fertilità nel nostro Paese è di 1,24 figli per donna, il tasso di mantenimento della popolazione, invece, è 2,10. In Francia è 1,83, in Lettonia del 1,74 e in Svezia del 1,66. Sono solo tre esempi, ma dimostrano che qualcosa si può fare.
L’Istat ha ipotizzato che, con un’aspettativa di vita di circa 80 anni, se le nascite restassero al livello attuale, ovvero intorno alle 400.000 l’anno, tutto il Paese subirebbe un vero e proprio processo di spopolamento. La politica, quindi, non può più ignorare il problema o proporre facili soluzioni nella teoria, irrealizzabili nella pratica. L’immigrazione indiscriminata rientra in questa categoria.
È difficilmente negabile che l’Italia necessiti di forze lavorative che non riesce più a trovare nell’ambito della sua popolazione e a tal fine un’immissione di stranieri presenti i suoi indiscutibili vantaggi, ma l’analisi non può fermarsi qui. Serve una forte programmazione e, in una società aperta, ci dobbiamo preoccupare di salvaguardare le leggi, i costumi, l’identità e la fisionomia propri della nazione. Anche perché gli immigrati, una volta arrivati in Italia, fanno meno figli di prima.
“Il problema è che i modelli trasmessi dall’Italia negli ultimi decenni, piaccia o non piaccia, assai più che riferirsi alla nostra civiltà millenaria hanno portato i nuovi arrivati a conformarsi a quegli stili di vita che si trovano alla base del cambiamento demografico registrato nell’ultimo cinquantennio”, spiega Gaetano Quagliariello, Presidente della Fondazione Magna Carta.
Il 2023 è l’anno del ventennale per Magna Carta, che ha sempre messo la natalità al centro delle proprie ricerche. Non è un caso che, un mese, la Fondazione ha lanciato il progetto di ricerca “Per una Primaverademografica”, con l’obiettivo di comprendere le ragioni profonde del declino demografico.
Precarietà del lavoro, difficoltà di trovare affitti a buon mercato per le giovani coppie, bassa propensione delle banche ad accendere mutui senza robuste garanzie. Sono da accogliere con favore, quindi, le iniziative dell’esecutivo per garantire una fiscalità più vantaggiosa alle famiglie con figli, così come quelle inerenti al welfare aziendale. Le motivazioni di natura economica hanno sicuramente un ruolo centrale, ma non possono essere considerate esaurienti per un fenomeno che ha anche cause sociali e culturali.
Secondo un sondaggio di Quorum/Youtrend commissionato da SkyTg24, il 62% degli italiani è preoccupato per il tema della natalità. Tuttavia, solo il 55% degli intervistati di età compresa tra i 18 e i 34 anni dichiara che, potendo, sceglierebbe di avere figli. Si tratta di poco più della metà. La percentuale arriva al 63% nella fascia d’età 35-54.
Non c’è più il futuro di una volta, potremmo dire. E questo avrà ripercussioni anche sulle prospettive economiche dell’Italia. Basti pensare al già iniquo sistema pensionistico, che rischia di diventare presto insostenibile. “Se supponiamo che la popolazione scenderà di circa quattro milioni, anche il Pil potrebbe scendere in parallelo circa del 7%. Immaginando poi che a condizioni generali invariate nelle altre componenti, tra cui la produttività, decresca anche la popolazione in età attiva, la prognosi suggerita Istat è che il calo del Pil potrebbe arrivare addirittura circa del 18%”, avverte Quagliariello.
Serve un approccio nuovo che consideri nel medesimo contesto d’intervento pubblico, i due ordini di fattori che orientano le scelte concrete di vita vissuta che poi determinano l’andamento delle statistiche: quello economico e quello socioculturale. Non si deve commettere l’errore uguale e contrario di quanti a lungo hanno proposto un approccio esclusivamente economico al tema. Un figlio non si fa se non lo si desidera.
Leonardo Accardi