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Il Post-It di Marco Vannucci: un Uomo di nome Alberto

Intervistare Alberto Torregiani, per il sottoscritto, non è un onore, seppure lo dovrebbe essere per la statura morale della figura, ma bensì un incontro tra vecchi amici. Infatti, con Alberto, sono amico. Amico vero da quasi 30 anni. Alberto è l’amico con il quale spacchi in due l’euro, com’è successo, per fare 50 centesimi per uno, ma se ad uno dei due servisse lo prende intero.

Con Alberto è sempre stato così, fin da quando ci conoscemmo in quel di Roma. Ho perso il conto delle volte in cui ho soggiornato a casa sua, come anch’egli non tiene memoria dei soggiorni ricambiati nella mia casa in Toscana. Insieme abbiamo intrapreso un percorso sociale e, sempre insieme, in un’importante commissione politica. Mi volle accanto, come portavoce, per la sua candidatura alle europee di un decennio fa, addirittura mi scelse pure come compagno in un torneo di briscola dalle sue parti, a metà tra le risaie di Novara e Vercelli nelle nebbie piemontesi condivise con la Lombardia. In quest’ultima occasione andò male poiché, Alberto, a briscola è una schiappa come mio suocero Cico nella nostra immancabile partita dopo cena.

Stare dietro ad un vulcano come lo è Alberto Torregiani è un’impresa da titani. Non lasciatevi ingannare dalla fragilità apparente, Alberto è un Superman dotato di una carrozzina volante, non lo fermi neanche con la kriptonyte questo gigante di idee sempre in fermento. Protagonista di un’associazione ONLUS dedita ai più fragili, consigliere personale di vari ministri per le politiche sociali, sempre in perenne viaggio in ogni angolo del pianeta per convegni sul tema dei meno abbienti. Questo è Alberto Torregiani: un iperattivo personaggio nella perenne ricerca di problemi da risolvere. Alla soglia dei 60 anni, l’uomo, non è cambiato di una virgola e da sempre ama ripetere una frase leit motif della sua vita: “con il cuore e la passione si smuove le montagne”. Una grande verità, dovremmo imparala tutti fin dalle elementari.

Alberto, ho bisogno di te”.

Dall’altra parte del filo la voce inconfondibile di Torregiani s’apre in una battuta:

un’altra volta? Per poi scoppiare in una fragorosa risata.

Era già a conoscenza del mio fabbisogno. Da candidato in una cittadina bassa bresciana volevo assicurarmi la sua presenza per la chiusura della campagna elettorale.

Ma quando un amico chiama, l’altro risponde.

D’accordo, a patto di non parlare di Battisti (il terrorista ndr) e nemmeno dell’assassinio di mio padre(Pierluigi Torregiani, il gioielliere milanese ammazzato da un commando dei PAC, la sigla dei Proletari Armati per il Comunismo) e di quel maledetto giorno, prosegue, dove la mia vita entrò in un abisso. La voce di Alberto s’incrina: troppo dolore per ripeterla ancora, sia pure per il tempo di un’intervista. Sai? –insiste- quando una lacrima cade su un solco di lacrime passate fa due volte più male. Chi vuole conoscere la mia storia, aggiunge, si guardi il film “Ero in guerra ma io non lo sapevo”, RAI play lo trasmette regolarmente a gratis. Già… il film, penso, da chi scrive visto e rivisto tratto dall’omonimo libro di Alberto con la prefazione di Tony Capuozzo. Un film crudo, bello a vedersi sia nell’interpretazione degli attori nonché nell’abilità del regista di raccontare il fatto senza fronzoli alcuni.

Sta tranquillo, lo rassicuro, parleremo del tuo impegno sociale.

Dal telefono avverto il rumore di un accendino seguito da una lunga aspirata. L’ennesima sigaretta ha iniziato la sua corsa nella gola di Alberto. Iniziò a fumare dopo quel maledetto giorno del 16 febbraio del 1979, chissà per trovare il coraggio di andare a trovare i suoi carnefici (Giuseppe Memeo, Sebastiano Masala e Gabriele Grimaldi) per rivolgere a loro una sola domanda: perché?

Ci pensi sempre, Alberto?

La mia domanda gli arriva come il rumore di una fucilata.

Non ho mai smesso per un secondo in tutti questi anni, risponde, mi rassereno soltanto quando riesco ad aiutare qualcuno. 

Giù il cappello di fronte a quest’Uomo.

Marco Vannucci