Seconda Parte
Chico Forti
Come tutti ricordiamo, poco prima di Natale 2020 il governo, per bocca di autorevole ministro, annunziò la liberazione di Chico Forti, in verità senza entrare in particolari. Tutta Italia esultò, dando per scontato che l’anno nuovo avrebbe rivisto il connazionale tornare in Italia. Così non è stato e noi vogliamo qui riassumere la vicenda, senza sistemarci comodamente sugli spalti che vedono contrapposti innocentisti (quasi tutti, a iniziare dai VIP tra i quali Rocco Siffredi) ai colpevolisti (pochi, ma agguerriti).
Una biografia con qualche lacuna?
Enrico “Chico” Forti è un ragazzo originario di Trento, classe 1959, laureato in ISEF (Istituto Superiore di Educazione Fisica) a Bologna, il quale, in base alla vulgata, dopo la vincita a un quiz di Mike Bongiorno, nel 1990, avrebbe deciso di mettere a frutto il gruzzolo in molteplici attività.
Si tratta di un tipo particolare, ci dicono dotatissimo in molti campi: campione di windsurf, addirittura inventore di apparecchiature sperimentali per lo sport, pare parli molte lingue tra le quali il giapponese, ha il brevetto di pilota. Un incidente lo ferma nell’agonismo, ma egli continua come pubblicista del settore, e punta dritto all’intrattenimento nel campo degli sport estremi.
Proprio così è andata? Dalla documentazione scritta e video, sembrerebbe di sì, anche se rimane qualche perplessità, riguardo al suo passaggio dall’Italia agli USA.
Nella puntata con Mike, quest’ultimo si complimenta con il concorrente per le fresche nozze, mentre viene inquadrata la neo sposa, evidentemente non quella che poi egli impalmerà negli States. Visti i tempi per il divorzio in Italia, allora, Chico avrebbe fatto molto in fretta a rompere il precedente vincolo, risposarsi e avere tre figli da Heather Crane a tutto il 1998, anno della sua disfatta. Inoltre quella novantina di milioni vinti al quiz, da cui detrarre le tasse, erano una ben misera cifra per chi avesse voluto tentare il sogno americano.
Di solito egli viene descritto come un maggiorente di Miami di fine secolo, già sistemato in una zona di gran lusso, businessman nel campo immobiliare, che maneggia milioni di dollari. Ai tempi, forse, il salto di qualità era ancora possibile in tempi brevi, negli Stati Uniti, ma è pur vero che da quelle parti si giocava con cifre virtuali leste ad andare e venire; e non abbiamo mai saputo che ruolo possa aver eventualmente rivestito la famiglia della Crane, per esempio nel finanziarlo.
Prima di Miami
Viene spesso ricordato che Chico Forti, prima di arrivare in America, era stato un campione di windsurf, attività agonistica interrotta a causa di un incidente stradale. Occorre essere esperti in materia per valutare i settori in cui è divisa questa disciplina, che ovviamente non è un corpus unico, ma si esplica in diverse modalità, sia per utilizzo del “mezzo” che per location di svolgimento e molto altro. A questo punto ci occorre qualche elemento a comprova, perché non abbiamo trovato traccia di una carriera del genere e nemmeno di altre circostanze che si danno per scontate: come l’invenzione, da parte di Forti, di performance particolari. Probabilmente si trattava di competizioni agli albori, a cui egli, come altri, aveva offerto significativi contributi, ma più che tanto non si trova scritto.
Knott, Pike e l’elefante bianco
Thomas Knott, il tedesco vicino di casa di Chico Forti a Miami, fa il maestro di tennis ma in realtà è un faccendiere, già condannato a 6 anni di reclusione in Germania. Alla fine del 1996, grazie a dei documenti falsi, Knott era riuscito a scappare negli Stati Uniti, stabilendosi a Miami. Gli aveva procurato questi documenti un suo amico di vecchia data, Anthony Pike, proprietario di un albergo ad Ibiza, il Pikes, che negli anni ’80 era stato frequentato da tutto il jet set internazionale. Knott e Pike hanno un trascorso di loschi affari e sono specializzati in truffe con le carte di credito. Nel 1993 Pike aveva contratto, si dice, il virus dell’Aids, ma nemmeno questo sembrava averlo fermato; in un’intervista passata su Le Iene si è in pratica definito sessuomane polimorfo.
Nel novembre del 1997 Tony Pike si reca a Miami per trovare l’amico Thomas Knott e in quest’occasione conosce anche Chico Forti. Ai due viene un’idea: provare a vendere a Chico Forti il Pikes hotel, che ormai è in rovina e rappresenta solo un peso. Di più, Knott e Pike definiscono quell’albergo l’“elefante bianco”, ossia “una fregatura colossale”, dal momento che a causa dei debiti forse non è nemmeno più di proprietà di Pike, ma di una società che lo controlla al 95%. Pike, inoltre, a causa della sua malattia è stato interdetto e quindi la sua firma non ha alcun valore legale. Chico Forti pensa che l’acquisto del Pikes possa essere un buon inizio per la carriera di immobiliarista e accetta la proposta. Nel gennaio 1998 Forti e Pike firmano un preaccordo. Knott, su esplicita richiesta di Forti, resta fuori dall’affare. L’italiano, infatti, è venuto a conoscenza dei trascorsi del tedesco: a fargli la soffiata è stato lo stesso Pike, forse per fingere un gesto di complicità e tenere il controllo dell’operazione. Pare che Knott fosse inviso alla moglie di Chico.
L’incontro con Dale Pike
Tony Pike ha un figlio di 42 anni di nome Dale, che ha vissuto alcuni anni in Malesia dopo che il padre lo aveva cacciato per averlo scoperto a rubare dalle casse dell’hotel Pikes. A fine gennaio 1998, in bancarotta e con i creditori alle costole, Dale fa rientro a Ibiza. I soldi del biglietto vengono anticipati da Forti, visto che anche Tony Pike è al verde. Dale scopre così che il Pikes è in vendita. Nel giovane, ben presto, matura la voglia di conoscere il prossimo acquirente dell’hotel, soprattutto perché Dale ha velleità cinematografiche e Chico si propone anche come produttore. Tony e Dale, quindi, programmano di tornare a Miami per metà febbraio, e ancora una volta a pagare i biglietti dell’aereo è Forti. Due giorni prima della partenza, però, Tony Pike rimanda il suo viaggio di qualche giorno adducendo motivi mai chiariti e prega Chico di prendersi cura del figlio in attesa del suo arrivo. È il 15 febbraio 1998. Thomas Knott si offre di andare personalmente all’aeroporto per accogliere il giovane Pike, ma Chico rifiuta l’offerta. L’appuntamento è intorno alle 16, l’aereo però è in ritardo di circa un’ora. Notiamo quindi che Thomas viene escluso progressivamente da un investimento che aveva inizialmente favorito: può aver covato desideri di rivalsa?
Chico e Dale hanno un po’ di difficoltà a riconoscersi, si chiamano attraverso gli altoparlanti dell’aeroporto, infine si incontrano verso le 18.30. A questo punto, però, secondo Chico, Dale gli comunica di avere un appuntamento con alcuni amici di Thomas Knott e gli chiede di accompagnarlo al parcheggio del Rusty Pellican, un lussuoso ristorante che si trova a Kay Biscayne. I due arrivano sul posto intorno alle 19. Sempre a detta di Chico nel parcheggio, ad attendere Dale, c’è una Lexus bianca con a bordo un uomo di origine ispanica vestito elegantemente. Dale e Chico si salutano e si danno appuntamento di lì a qualche giorno, quando arriverà a Miami anche babbo Tony Pike.
L’omicidio di Dale Pike
Il 18 febbraio 1998 è il giorno previsto per l’arrivo di Tony Pike. Chico Forti si reca all’appuntamento, ma non lo trova. Dopo una serie di controlli scopre che Dale, il figlio di Tony, è stato trovato morto assassinato a Sewer Beach, poco lontano dal ristorante Rusty Pellican dove lo stesso Chico lo aveva accompagnato. Si tratta di un luogo molto frequentato da “surfer” e coppie gay in cerca di intimità. Il corpo è stato trovato da un surfista la mattina del 16 febbraio, quindi il giorno dopo l’arrivo di Dale a Miami. La vittima è stata uccisa con due colpi di una calibro 22 sparati alla nuca e poi denudato completamente. Accanto al cadavere, però, vengono ritrovati alcuni effetti personali che permettono l’immediato riconoscimento. Tra questi oggetti c’è anche una scheda telefonica, dalla cui analisi si scopre che le ultime chiamate, risalenti al pomeriggio del 15 febbraio, erano state fatte al cellulare di Chico Forti (senza risposta).
Il giorno successivo l’italiano viene convocato al Dipartimento di Polizia come persona informata sui fatti. Al fine, forse, di spaventarlo, gli viene detto che anche Tony Pike è stato ammazzato. E Chico, in effetti, si spaventa, tanto da commettere un gravissimo errore: mente, sostenendo di non aver mai incontrato Dale Pike.
Il giorno dopo ancora, egli ritratta spontaneamente, racconta la sua versione, ma ormai è troppo tardi. Chico chiede consiglio a Gary Schiaffo, il detective che gli aveva fornito il materiale per il documentario “Il sorriso della Medusa” sulla morte di Gianni Versace, con cui i rapporti si erano incrinati quando parte dell’accordo era saltato. Schiaffo, che nel frattempo è andato in pensione, lo rassicura e gli garantisce che la sua posizione non è a rischio.
Il 20 febbraio 1998 Chico si ripresenta davanti agli inquirenti per consegnare i documenti relativi alla compravendita del Pikes hotel, ma seguendo (a suo dire) il consiglio del detective Schiaffo non si fa accompagnare da un avvocato. La polizia lo interroga per 14 ore e lo arresta con l’accusa di essere l’assassino di Dale Pike.
Si scoprirà poi che Chico aveva pagato con la sua carta di credito l’acquisto di un’arma calibro 22, sempre a suo dire, per Knott, in un negozio dove, al momento di strisciare la carta, il tedesco improvvisamente si sarebbe ricordato di averla scordata a casa – altri affermano che la transazione era stata respinta. Forti cercherà di sostenere la propria buona fede anche rivendicando una telefonata alla moglie dopo aver lasciato Dale al Rusty Pellican, ma Heather non avrebbe confermato in toto tale versione, che d’altronde lo stesso Forti cambierà: prima sostenendo di non aver visto Dale, poi, come abbiamo visto, dicendo di aver mentito per paura. I difensori di Chico hanno sempre ribadito alcune circostanze: i Pike e Knott erano truffatori riconosciuti o comunque ambigui imprenditori di incerte fortune; l’avvocato di Forti, Ira Lowey, era in conflitto di interessi; Chico è stato assolto dall’accusa di truffa, quindi cade il movente; la sabbiolina trovata nella sua auto non era tipica di Sewer Beach, ma si trova lungo tutta la costa. Un suo amico sostiene che durante il processo i giurati mangiassero noccioline e bevessero Coca – Cola. La verità è che noi sappiamo poco e nulla di tutta la faccenda e soprattutto non abbiamo le carte del processo, solo le dichiarazioni della famiglia Forti. Non ci sono video delle udienze, registrazioni o report americani. Non conosciamo le motivazioni dei famosi appelli respinti dalla corte americana.
D’altro canto a noi pare davvero arduo uccidere e occultare in così poco tempo, per giunta uno sconosciuto di cui non si conoscono temperamento e tipo di reazioni; alle 19 Forti sarà di nuovo in aeroporto a prendere il suocero, avrebbe avuto mezz’ora per fare tutto, delitto, messa in scena e fuga. E il movente? Dale Pike dava così fastidio a Chico? Si trattava di un giovane padre di famiglia, non omosessuale come hanno detto, al massimo disinvolto come da costumi familiari, che probabilmente voleva solo rientrare nelle grazie del genitore diffidente verso di lui, assistendo alla compravendita. Se Forti è l’assassino, siamo in presenza di un feroce killer senza scrupoli, a onta della sua immagine di marito e papà affettuoso. Poco lo hanno aiutato certe foto in cui se la ride, con indosso la cavigliera elettronica.
Fin qui il resoconto ufficiale. Iniziamo l’analisi dal famoso servizio che avrebbe scatenato le ire degli investigatori americani contro Chico Forti, ovvero il suo documentario “Il sorriso della medusa”, incentrato sull’omicidio di Gianni Versace, e la cattura veloce, criptica per i più, del suo assassino, cosiddetto “spree killer” (omicida compulsivo in un breve lasso di tempo) Andrew Cunanan. Il video che circola attualmente in rete mostra, in realtà, solo una parte dell’ampio servizio dedicato alla vicenda, a suo tempo passato su SKY e che conteneva anche un filmato attribuito a Chico. In quell’inquietante documento si parlava dei supposti legami tra le mafie e il boom della moda italiana a partire dagli anni settanta. Il report di Forti è oggettivamente critico e talora sarcastico nei confronti degli investigatori e insinua, nemmeno troppo velatamente, che Cunanan sia un colpevole di comodo. I tempi risultano stretti: 15 luglio 1997, omicidio Versace; a febbraio 1998 il servizio era già confezionato e venduto in Italia (RAI 3) e Francia. Nella presentazione alla televisione d’oltralpe Chico, così versato in molte lingue, curiosamente rinuncia a parlare in francese e usa l’italiano.
Secondo alcuni la house boat dove si sarebbe suicidato Cunanan era stata distrutta prima che alcuno potesse metterci piede; e nessun poliziotto, per quanto in confidenza con Chico o, al limite, “corruttibile”, ce lo avrebbe mai fatto salire e mai gli avrebbe passato le fotografie del killer appena morto. Le inquadrature ci mostrano un ambiente lindo, quasi familiare (con addirittura un bidet, sconosciuto negli States).
Foto dal documentario: il bidet e Marylin…

Abbiamo finora esposto alcuni dubbi, ombre e buchi nella storia di Chico Forti, prima dell’evento che cambierà la sua vita. Al momento del delitto di cui verrà ritenuto responsabile, ci raccontano una storia del genere. In sintesi:
C’è un giovane uomo italiano quasi quarantenne, pieno di risorse, versatile e ambizioso, all’apice del successo nella vita e nel lavoro: vive in un comprensorio di lusso a Miami, Williams Island, è sposato con una ex modella americana, da cui ha appena avuto il terzo figlio; si occupa di editoria e documentaristica sportiva, sta ampliando il raggio degli argomenti dei suoi servizi e intende esordire con l’omicidio Versace; di più, si butta nel campo immobiliare, e intende fare il colpo gobbo acquisendo il Pikes, hotel di Ibiza, località allora sempre di punta per turismo sia d’élite che popolare.
Come Chico sia arrivato, in otto anni, a tutto questo, non è dato sapere, ma sarebbe importante per inquadrare la vicenda. Non ci hanno praticamente mai parlato delle sue condizioni economiche di partenza, abbiamo solo conosciuto i solidali zii. Mettiamo pure che il giovane sia stato aiutato all’inizio anche dai genitori, per realizzare il suo sogno americano, e da qualche sponsor: perché, per quanto dotati e fortunati si possa essere, gli States non aprono facilmente le porte agli stranieri “in un certo mondo”.
Forti, lì giunto circa nel 1992, frequentava il “gruppo dei tedeschi”, tra cui il sedicente maestro di tennis Tomas Knott , il quale gli avrebbe fornito sia il contatto con il detective Gary Shiaffo che il gancio per contattare il proprietario dell’albergo ibizenco, Tony Pike, ormai disinteressato a quell’immobile: un edificio, pare, in piena decadenza nel 1998, dopo i fasti degli anni ottanta. Oggettivamente, se questo è tutto, si avverte odor di trappola, ma perché proprio contro Forti? Il possibile movente di Knott è fumoso: debiti, gelosie, strani giri?
La nostra modesta impressione è che il fatto sia stato irrimediabilmente alterato dalla nostra angolazione italiana e partecipe. Non conosciamo né le regole sulle proprietà a scatole cinesi dell’hotel oggetto di contesa, né i dettagli dell’indagine su di lui. A sensazione, parrebbe che Chico si fosse cacciato, per smodata ambizione, in un ambiente di cui non padroneggiava le dinamiche e le regole e, per questo, possa aver pestato i piedi sbagliati. Cosa sia accaduto dopo, è impossibile da chiarire, anche se, in tanta nebbia, qualche traccia di una trama contro di lui non appare destituita di fondamento.
Oggi
Il nostro connazionale è in carcere da più di vent’anni in quanto condannato per l’omicidio volontario di Dale Pike, cittadino australiano, anche se qualcuno lo da per inglese e altri parlano di doppia cittadinanza: in ogni caso la vittima NON era americana.
Di norma, quando né vittima né condannato hanno la cittadinanza del paese dove è avvenuto il delitto, gli accordi prevedono una restituzione del detenuto dopo pochi anni, a parte il caso di reati speciali come quelli per terrorismo.
A quel punto il paese di appartenenza della vittima può sviluppare azioni per celebrare un processo, avviare rogatorie internazionali o quant’altro. I paesi d’origine dei Pike se ne sono disinteressati: perché gli USA, e la Florida in particolare, si ostinerebbero a tenersi un detenuto italiano dopo tanto tempo, per una infinita pena che nemmeno la famiglia della vittima sembra caldeggiare? Nel tempo sia il padre di Dale, Tony (scomparso nel 2019) che il fratello non hanno escluso che i colpevoli possano essere altri. Oggi, dopo quasi 24 anni di detenzione, Forti avrebbe forse titolo a uscire. Gli USA sono cambiati e l’omicidio spesso non comporta più l’ergastolo. Parlare di innocenza o colpevolezza ci sembra fuori luogo. Chico dovrebbe essere liberato in base ad accordi internazionali e anche perché dopo più di due decenni, in base ai criteri ormai globalmente accettati, la pena è stata espiata.
La storia di Adnan Syed.
La sua vicenda richiama vagamente quella di Chico, svoltasi circa negli stessi periodi; entrambi sono in carcere dal 1999.
Adnan Syed è un ragazzo circa ventenne, vive a Baltimora ed è perfettamente integrato nella società del posto, anche se le sue origini pakistane non possono non influenzare il suo modus vivendi. Studioso e sportivo, frequenta la comunità giovanile della locale moschea, ma non disdegna di ritagliarsi spazi con coetanei di altra cultura, per bere e farsi canne, ovviamente al riparo dalle ire familiari.
Tra le cose che ritiene di poter fare c’è il fidanzamento con una studentessa d’origine coreana, Hae Min Lee. Se la famiglia di lei è perplessa per la fede musulmana del moroso, quella di lui viene descritta come minimo accigliata per l’intimità che si crea tra i due. Per questi motivi, o altro ancora, la relazione viene interrotta dalla ragazza, che ne intraprende presto un’altra.
Adnan come la prende? A detta di chi lo ha conosciuto allora, non così male: rammaricato, triste, ma rassegnato e sempre augurando ogni bene alla sua ex; la quale, però, un giorno viene trovata uccisa e sepolta sotto la terra di un boschetto vicino.
Manco a dirlo, i sospetti si appuntano sul giovane, che verrà condannato all’ergastolo più trent’anni. L’opinione pubblica però non è convinta. Nella prima udienza, per la libertà su cauzione, una scatenata procura dichiara che esisterebbe “uno schema di pakistani lasciati da americane, che le hanno per questo uccise, dandosi poi alla fuga”: i difensori fanno notare che una casistica del genere è inesistente. I Syed si rivolgono a una quotata avvocatessa, Cristina Gutierrez, che identifica come arma dell’accusa il testimone chiave, un afroamericano con un nome che non siamo riusciti identificare con precisione e chiameremo Jay Wilds. E’ lui che inchioda Adnan, fino a prima del delitto suo grande amico.
Afferma Jay che quella mattina Adnan, infuriato per l’abbandono, gli comunica l’intenzione di far fuori la fedifraga, e per amicizia Wilds gli presta l’auto; il pakistano lascia il proprio cellulare nelle mani di Jay, per metterlo in condizione di ricevere la chiamata concordata e dargli appuntamento nel posto dove giace il cadavere. L’amicone accorre, trova il corpo nel bagagliaio e accetta di aiutare l’assassino a seppellire la vittima. Durante le “indagini” si sarebbe trovato anche un foglio vergato dalla povera Hae, ma con un’aggiunta dell’ex fidanzato che recita: “La ucciderò”. Tutto chiaro? Non diremmo proprio.
Innanzitutto, Wilds cambierà versione più volte sul come, dove e quando avrebbero combinato il tutto; il cellulare ha mandato segnali da un ripetitore nei pressi del bosco, ma ricordiamoci che fino a un certo punto era – a suo dire – in mano a Jay, e registra comunque due chiamate in entrata che, per legge, sarebbero inutilizzabili, dovendo, almeno per la tecnologia di allora, fare testo solo quelle in uscita; un’amica di Adnan, Asia McClain, si fa avanti, dicendo che il ragazzo era a scuola, di averlo visto nelle ore in cui teoricamente sarebbe stato intento a uccidere, è pronta a dichiararlo: ma la Gutierrez non la chiama a testimoniare. Negli anni emergerà, anche a detta del figlio, che l’avvocatessa accusava gravi problemi di salute, diabete e sclerosi multipla, che avrebbero sconsigliato di continuare la professione e la rendevano meno lucida. La stessa Corte d’appello speciale del Maryland ha ammesso che l’imputato ha ricevuto una inadeguata assistenza legale. Dopo una serie di rimpalli incentrati su cavilli, il giovane viene liberato nel 2022, in attesa di nuovi accertamenti della Procura.
Gli attivisti che si battono per la causa hanno promesso di non arrendersi. Noi invece ci chiediamo: che fine ha fatto Jay? E’ stato giudicato per il ruolo avuto nel crimine? Si è mai indagato su di lui, che sostanzialmente potrebbe aver avuto modo e movente quanto l’altro (spasimante respinto?) ed era in ogni caso negli stessi luoghi dove si trovava Syed, per sua stessa ammissione? O invece, come capita a tanti supertestimoni, ha fatto un bell’accordo e tanti saluti? Possibile che Adnan, descritto come giovane intelligente e con un futuro davanti, avesse voluto lasciare tracce scritte e orali della sua intenzione omicida, come il più idiota degli uomini?
Perché invece tanta durezza nei confronti di Chico, condannato su indizi e ipotesi circostanziali – almeno per quanto se ne sa – quando era possibile riaprire il caso in base almeno alla pista dei club alternativi, che certamente Dale frequentava? Tale percorso fu escluso perché ritenuto di matrice omofoba. Infine, se Chico ha sbagliato, ormai ha pagato, avendo perso tutto, famiglia compresa.
Gli USA sono un paese federale e ogni stato marcia per conto proprio, ma in un quarto di secolo, e a sensibilità cambiata, un detenuto straniero di lungo corso dovrebbe essere restituito alla madrepatria; oppure è possibile solo se si chiama Baraldini e serve uno scambio di favori?
Carmen Gueye