Correva l’estate 1997 e i rotocalchi del mondo parlavano solo di lei: Diana Spencer luminosa, finalmente felice, spensierata, mentre solcava le acque del Mediterraneo sullo yacht “Jonikal”.

Cos’era stata la Gran Bretagna per gente come noi? Sostanzialmente Londra, ma che Londra! Dai Beatles ai Rolling Stones, da Mary Quant a Carnaby Street, agli uomini della city in bombetta; e aggiungiamoci pure il fascino di quella regina che sembrava un po’ impagliata, ma almeno seria e attenta ai doveri.
Che quella nazione avesse avuto in mano i destini del mondo per secoli, e non con le buone maniere, diventava quasi l’epopea fascinosa trasmessa dai film, con quegli ufficiali in divisa e codini, un po’ pirati e un po’ signori: anche perché, a interpretarli, chiamavano la crème della recitazione anglosassone, da Charles Laughton a Trevor Howard. Il suono della lingua inglese contagiò i nostri gusti
Si vagheggiava un concerto di Mike Jagger a Essaouira o il mondo ideale di “Imagine” invocato dal “ribelle “Lennon…ma i soliti guastafeste insistevano che era tutta una scena studiata a tavolino….
Comunque fosse, in quella corte non tutto era andato liscio nemmeno per la regina Elisabetta. Il marito Filippo, dopo lo scorno del mancato cognome per i figli, sognava una carriera autonoma in Marina, ma nel 1952 sua moglie divenne precocemente sovrana e lui dovette rassegnarsi a diventare principe consorte, due passi indietro a lei, sorridere e basta. Si sa di un suo viaggio solitario intorno al mondo, di iniziative di modernizzazione, delle sue famose “gaffes” e anche di “scappatelle” non troppo nascoste. Negli anni cinquanta la coppia reale vacillò, ma il senso del dovere prevalse. Con un intervallo di dieci anni fecero altri due figli, dopo Carlo e Anna, e proseguirono il cammino.
Era il 29 luglio 1981: in televisione trasmettevano il “matrimonio del secolo”, in diretta mondiale. Il sussiegoso Carlo non pareva scalfito da emozioni, forse solo un po’ catatonico; accanto a lui Diana, una vera “rosa d’Inghilterra” dai tratti tipicamente anglosassoni, incedeva nel pomposo e stropicciato abito, esso pure così “british”.

L’evento si rivelò abbastanza stucchevole. I sudditi britannici tripudiavano per il “love wedding”, mentre il resto del mondo propendeva per una sposa scelta giovanissima, accuratamente selezionata per alcune sue virtù e non certo perché il principe ne fosse follemente innamorato.
Ma chi era questa illustre sconosciuta?
Diana Spencer nacque a Parkhouse, tenuta di Sandringham, nel 1961, dopo due sorelle e prima dell’unico maschio, da una coppia che divorzierà qualche anno più tardi. Il padre era l’ottavo conte Spencer, la madre Frances Fermoy, poi risposata Shand Kidd: un contesto che più inglese non si può, dove gli europei continentali e repubblicani si muovono male. La bimba prese male la separazione dei genitori.
I ragazzi rimasero col padre, risposato a sua volta, e furono presto avviati ai rispettivi collegi. Non risulta ci fosse un particolare affiatamento tra le sorelle; qualche confidenza in più esisteva tra Diana e il fratellino Charles, compagno di giochi nella prima infanzia.
Studentessa svogliata, appassionata nuotatrice, poco amante invece dei cavalli, Diana assunse presto l’aspetto della romantica ragazza inglese: alta, non propriamente magra ma un po’ sacrificata nelle forme, occhi color fiordaliso, caschettone biondo a coprirle i rossori del volto, il naso forte che, secondo alcuni, in seguito fu un po’ accorciato. Dopo i brevi studi prese un appartamento a Londra con altre ragazze, e si mise a fare la maestra d’asilo, in attesa di nozze.

Circa allora, nel 1980, venne annunciato al mondo che il compassato e sussiegoso trentaduenne principe Carlo si sarebbe accasato con questa dolce pulzella dallo sguardo spaventato, ma malizioso. Il futuro marito la accusò subito di essere cicciottella; la poverina iniziò dimagrire ossessivamente, e a contrarre disturbi alimentari.
L’Inghilterra di allora si presentava come un paese in decadenza, post-industriale, ex potenza coloniale, divenuta patria del rock trasgressivo e del punk più arrabbiato, ai limiti della decenza.La nazione era attraversata da disordini sociali, moti sindacali e attentati dell’IRA: in uno di questi era morto il prozio e mentore di Carlo, Lord Mountbatten. I fasti della “swingin London“erano lontani. Si iniziò, con quel matrimonio, un restauroaccurato dell’immagine, mostrando le virtù tradizionali della borghesia e dell’aristocrazia campagnole britanniche.
Si racconta che Carlo, sconvolto per la scomparsa dell’adorato zio, proprio in quel periodo abbia incontrato (per caso?), quella ragazzina molto sola a sua volta. È opinione comune che gli sposi abbiano socializzato sul comune terreno del deserto affettivo. Grace Kelly, incontrò la Spencer, già fidanzata, nel parterre a un concerto, e la ammonì sulla pesantezza del ruolo che la attendeva.
Nella cattedrale di Saint Paul, a Londra, Diana si presentò al braccio del padre, un signore non in buona salute, un po’ barcollante e con l’aria di chi non sa esattamente dove si trovi. In quarta o quinta fila, ma ce l’hanno detto solo dopo, c’era lei, Camilla Parker Bowles; mascella volitiva, la tenace signora attendeva solo la fine della messinscena per mangiarsi quella figliola, che aveva sempre tenuto d’occhio.

Qualcuno afferma che la supremazia di Camilla, in realtà, fu in discussione mentre imperversava la luna di miele degli sposini, periodo durante il quale Diana avrebbe dovuto giocare meglio le proprie carte.

La neo-principessa di Galles, poi altezza reale, per un po’ stette al gioco, anche nell’abbigliamento: severi abiti lunghi e stivaloni, camicette accollate e copricapo enormi. Le curve venivano mortificate e le sue lunghe e splendide gambe sempre coperte, ma i paparazzi riuscirono a sgamarla in bikini, a inizio della prima gravidanza, con Carlo. È probabile che Diana abbia lottato con tutte le doti a propria disposizione per tenersi il principe che aveva sposato: per amore, secondo molti inglesi ammaliati dalla propaganda; per storditezza giovanile, secondo altri (per esempio, Indro Montanelli).
Fu subito chiaro che, a corte, l’annoiata Diana non ci sapeva fare: anche se proveniva dalla piccola nobiltà, quello era un olimpo sconosciuto per lei, non istruita a destreggiarsi in mezzo all’altezzosa (e un po’ anarchica) servitù di Buckingham Palace. In più, oltre a nutrire un certo timore verso i cavalli, per un qualche trauma infantile, detestava anche i corgy, cagnetti di razza di casa alla corte inglese, trattati come piccoli lord e venerati dalla regina.

…segue
Carmen Gueye