Home » Re Carlo III, l’eterno principe finalmente a trono
Attualità Società

Re Carlo III, l’eterno principe finalmente a trono

Dite la verità, non vi siete ancora abituati a chiamarlo “re”: per tutti è il principe Carlo, da sempre, e forse nell’immaginario tale rimarrà, dopo 74 anni di servizio nel ruolo di attesa del trono.

Nato da una madre divenuta erede alla corona d’Albione dopo carambole sentimental/sessuali dello zio Edoardo VIII, che mollò tutto per sposare una discussa borghese pluridivorziata – scelta che l’ex sovrano pagherà con mezzo secolo di infamanti pettegolezzi sulla consorte – Carlo cresce in ambiente anaffettivo, come peraltro molti della sua condizione. Spezziamo una lancia a favore di Elisabetta, che non avrebbe potuto dargli la pappa e cambiargli il pannolino nemmeno volendo; analoga sorte toccherà alla sorella di poco minore Anna, e ai fratelli sopraggiunti diversi anni dopo, Andrea e Edoardo.

Carlo non è bello, avendo ereditato un sembiante un po’ equino dagli Hannover (nome tedesco del casato poi anglicizzato in Windsor), ben diverso dall’inossidabile papà, principe consorte Filippo, noto per l’assoluta impermeabilità alle critiche sulla sua condotta libertina anche dopo le nozze con l’augusta consorte e per le infelici battute cui non riusciva a rinunciare.

Carletto però ha avuto un mentore, il prozio paterno Lord Mountbatten, per la cui morte in un attentato a opera dell’IRA, nel 1979, ebbe molto a soffrire, ed è stato seguito da precettori di altissimo profilo, dunque arriva alla matura giovinezza tonico e formato per il suo compito… forse.

Tra una partita a polo, una battuta di caccia alla volpe, l’hobby della pittura ad acquerello e un giro per giardini dove finge di occuparsi delle rigogliose serre reali, il giovanotto rimanda l’atteso matrimonio finché può, e oggi sappiamo il perché; allora dicevano non volesse rinunciare alla vita da playboy, che non doveva riuscirgli faticosa, visto il rango.

Così abbiamo appreso che tra le sue doti non rientrava il coraggio: quello di sposare la donna che amava, sfidando le regole consolidate del suo apparato.

Il principe ha delle attenuanti: pur in un clima di cambiamenti sociali vertiginosi, sfidare l’ambiente dovette sembrargli troppo periglioso per la sua psiche protetta dal guscio di balie, istitutori e scudieri. Ci aveva provato la zia Margaret la quale, pur non legata da stretti doveri dinastici, aveva rinunziato a sposare l’uomo che aveva scelto, Peter Townsend, dignitario di corte, perché divorziato, ripiegando peraltro su un fotografo, Lord Snowdon. L’unione finirà tra reciproci tradimenti, e un seguito, per lei, di bagordi coperti dai leggendari servizi segreti britannici. Carlo replicò, lasciando che l’amata Camilla convolasse con un altro signore scelto tra i ranghi del sottobosco reale, e piegandosi alla ragion di stato.

Diana non era un’icona di sofferenza e martirio come è stata in seguito descritta, ma solo una aristocratica fanciulla forse bisognosa di essere accompagnata a dovere verso un compito che la vedrà presto soccombere, in un mare di recriminazioni e chiacchiericci ben poco nobili; tuttavia ha la scusante della giovane età e della manipolazione cui fu certamente sottoposta.

Quando la principessa di Galles toglie il disturbo, passerà poco prima che Camilla, liquidato il docile marito ossequioso agli ordini, prenda i due figlioli e si accasi con il mai dimenticato moroso, fino al royal wedding del 2005: quando finalmente si vedrà un Carlo raggiante e non immusonito e plumbeo come era apparso il 29 luglio 1981.

Dio salvi il re, dunque: ma egli non creda che il disinvolto smaltimento della “rosa d’Inghilterra” Diana Spencer non resti nella storia.

Carmen Gueye