Home » Lady D, una vita “in progress” – III PARTE
Attualità Società

Lady D, una vita “in progress” – III PARTE

Diana avrà forse frequentato il cardiochirurgo anglo pakistano Hasnat Khan, ma difficilmente bazzicato il suo pied à terre londinese per cucinargli piattini, o la sua sala operatoria, come nel ridicolo filmDiana – La storia segreta di Lady D” con Naomi Watts. Troppe leggende girano a causa di queste “opere”. Una per tutte, da sfatare: Diana non seguì il chirurgo per conoscerne la famiglia, come nella pellicola, ma andò in Pakistan al seguito di una star locale del cricket, sempre a fini benefici. Se poi abbia conosciuto la famiglia Khan, ciò può essere accaduto per molte ragioni: in quegli anni la donna cercava ogni utile occasione per svagarsi. Che Hasnat sia stato presente in incognito ai funerali della ex, è una notizia di fonte ignota.

Poi arriva il prestante Dodi. E’ stato detto che lui, per frequentarla, avesse appena mollato una bella super model: la tizia si mise a piangere davanti ai giornalisti, mostrando un anello. E’ noto che i monili sono la liquidazione per qualche notte di sesso, ma la ragazza sostenne sempre che esisteva un fidanzamento, mai veramente rotto, bensì in sospeso mentre Dodi si barcamenava. La signorina non ci convince.

Vanno quindi ridisegnati i contorni di questa relazione tra “la principessa e il riccone”, nata forse sulla base di sentimenti comuni.

Infatti un’ipotesi più seria fa riferimento ad un argomento che toccava sempre il cuore di Diana e potrebbe averli avvicinati: entrambi erano cresciuti lontano dalla madre. Quella di Dodi si chiamava Samira Khashoggi, sorella del famoso plutocrate saudita Adnan.

La donna apparteneva all’altolocato milieu arabo e fu una sorta di femminista di quell’area culturale. Dopo il divorzio dal padre di Dodi la donna si sposò altre due volte, ebbe una figlia e si dedicò all’attività di scrittrice, ma accusava problemi di depressione; morì nel 1986, gettando nello sconforto il figliolo, il quale proprio allora contrasse un breve matrimonio, forse in cerca dell’affetto appena perso.

Ogni tanto si ripete l’illazione della principessa incinta, a causa delle rotondità addominali dell’ultimo periodo.

Riguardo a questa succulenta congettura va osservato che Diana, nel tempo, aveva modificato sostanzialmente il proprio aspetto. Gli esercizi in palestra, sotto la guida di personal trainer, l’avevano resa più tonica e muscolosa. Abbronzata tutto l’anno, aveva smesso di abbigliarsi con i vestitini dalle linee rigide, utili ad Ascot ma meno altrove, ricorrendo ai più celebrati stilisti mondiali. L’eterea ed evanescente figura della nobilotta di campagna era scomparsa, anche a causa dei suoi travagli personali, lasciando il posto a una personalità più dura e determinata, di cui i lineamenti denunciavano il cambiamento. Solo un particolare, negli anni, era rimasto invariato, come si può notare da tutta una serie di fotografie prese nel tempo: la pancetta. Ora tale difettuccio diventa un indizio di gravidanza. Tutto può essere, anche se improbabile. Per non sbagliare, non è mancato chi si è messo a ricostruire le date dei suoi cicli mestruali, ma si tratta della soffiata di una “cara amica” a cui l’avrebbe detto Diana stessa.

Registriamo la testimonianza di un altro “fedele” assistente, Paul Burrell, il quale si lamenta a più riprese per le (a suo dire) ingiuste accuse di aver saccheggiato la casa della principessa dopo la morte. Il loquace valletto si è certamente rifatto con gli interessi: ha scritto e parlato di lei per anni, ed è il più convinto assertore dell’inesistenza di una storia d’amore tra Dodi e Diana. Li descrive protagonisti di un trastullo estivo in attesa di tornare ad altri, più desiderati ma difficili amori, chiaramente ostile a Dodi.

La ridda di voci, insinuazioni e tutto il corollario di confidenze (di amiche, fattucchiere, bodyguard che origliavano e segretari personali) non diminuisce. Poco resta da evidenziare, che non sia già stato sparato sulle riviste del globo. Occorre fare la tara a tutte le ricostruzioni: sono di fonte inglese e a contrastarle c’era solo papà Mohammed Al Fayed, che appariva rintronato per una tragedia, la morte dell’unico figlio maschio, di cui alcuni lo ritengono corresponsabile. Si tratta di teorie ultracomplottiste, sempre nel quadro anti arabo, su oscuri traffici del nababbo, che avrebbero condotto alla morte del figlio.

L’autista della Mercedes fatale, il bretone Henri Paul, è il fantoccio su cui appuntare tutta la responsabilità dell’evento. Qualche chicca? Alcolizzato e farmacodipendente, aveva un passato torbido nei servizi segreti, una vita sentimentale disastrosa e una depressione in corso. Per buona misura viene tratteggiato come un insolente fiancheggiatore dei ricchi che serviva: quella sera sfotté i fotografi e li dirottò all’entrata principale, mentre i due colombi se la svignavano da un’altra uscita.

Il fratello di Diana preferì inveire contro i “paparazzi”, accusati di aver provocato l’incidente (gli diedero ragione molte celebrità, tra cui George Clooney e Sylvester Stallone). Tony Blair, trasformatosi da repubblicano ad adoratore della regina, improvvisò un comizietto subito dopo l’incidente dell’Alma.

Dai racconti diffusi nel tempo sembrerebbe in effetti che i fotografi siano stati inutilmente assillanti, nel tentativo di ritrarre in continuazione ciò che ormai era abbondantemente documentato. Alcuni di loro, per questo, passarono qualche guaio giudiziario e uno, onestamente, ammise che, all’uscita dal carcere, bersagliato dai lampi dei colleghi, si infastidì molto, come a dire che Diana poteva avere anche qualche ragione nel mandarli al diavolo; ma lei nemmeno li respingeva, anzi spesso sembrava implicitamente invitarli a seguirla.

Le sorelle costituirono, praticamente all’indomani del fattaccio, un ente che commercializzava l’immagine della principessa mediante gadget e vendita di diritti, con lo scopo dichiarato di finanziare le opere benefiche a lei care: intento edificante, ma un po’ precipitoso. Il logo di Lady D sul burro del supermercato non era, secondo alcuni, una grande idea. E secondo il valletto “io-so-tutto” Paul Burrell, la famiglia Spencer è composta da individui freddi, calcolatori, invidiosi e disumani. Lui invece…

Si ripete un classico: persone famose circondate da parassiti, ma sostanzialmente sole.

Quattro anni prima dell’11 settembre si creò l’occasione per parlare in termini di conflitto culturale, tra mondo occidentale e Islam, sia pure a livelli più fatui. Principalmente si è puntato, da parte di alcuni, sull’impopolarità delle scelte di Diana in campo sentimentale. I suoi ultimi compagni noti erano musulmani, circostanza che avrebbe scatenato le ire della casa reale.

Il Regno Unito pullula di ricchi arabi e orientali, che vi hanno investito senza trovare ostacoli. Gli Al Fayed, in particolare, sono occidentalizzati quanto più non si potrebbe. Il padre Mohammed è un uomo d’affari e quelli gli interessano. In Inghilterra era proprietario, per esempio, di Harrod’s, presidente di una squadra di calcio e tanto di altro che non è stato detto; dunque il paese, sensibile agli investimenti stranieri, gli aveva spianato la strada. Dopo la disgrazia Mohammed si lamentò della Gran Bretagna, che prima sembrava piacergli molto. Nondimeno né lui né i suoi parenti sembravano attentare alla sicurezza del Regno Unito, anzi, casomai contribuivano alla sua economia: ipocrisia d’Albione. Vero è che la società tradizionale inglese non apre facilmente le sue porte ai parvenu senza titoli. Per questo, secondo certuni, Al Fayed padre avrebbe tentato di forzare la situazione, sfruttando il flirt di suo figlio con Diana.

In base a questa versione i servizi segreti della corona si sarebbero allertati come lepri, senza nemmeno bisogno di ordini espliciti, come accade in questi casi. Lo scopo, alquanto paranoico, era scongiurare un’unione “interreligiosa” ancora tutta sulla carta e da verificare.

Tutto fa pensare, più semplicemente, che la notte tra il 30 e 31 agosto 1997 Dodi abbia commesso l’errore di dare ordini poco riflettuti ad un personale di servizio già molto provato da giornate di corpo a corpo con mezzo mondo di stampa e televisione e bisognoso di un cambio turno. Henri Paul, factotum più che autista, avrebbe dovuto smontare, ma obbedì al capo. Gli fu ordinato di correre e avvenne un incidente.

Seguendo la saggezza degli antichi romani, il “cui prodest” parte dell’opinione pubblica ha indicato come principale beneficiario della disgrazia il principe Carlo: si è risposato con Camilla senza nascondere, sia pure nei suoi modi rigidi, la propria straripante felicità.

Forse era troppo chiedere al principe, a suo tempo, una rinuncia al trono. Ricordiamo che il prozio Edoardo (fratello del nonno) negli anni trenta si innamorò di una pluridivorziata americana, Wallis Simpson. Il giovane, già sovrano e con una coda di trepidanti nobili fanciulle pronte a sposarlo, per lei mandò tutto all’aria e rinunziò al trono. Edoardo VIII, poi duca di Windsor per declassamento dopo l’abdicazione, è stato dipinto come pusillanime, vanesio, amante della mondanità, buono solo a scegliere i vestiti (è tuttora considerato l’uomo più elegante passato sulla faccia della terra). Sua moglie, una donna esilissima, già matura al momento del primo incontro e nemmeno troppo bella, ha avuto fama di ex squillo passata per i bordelli di Shangai, ex amante di Von Ribbentrop e Galeazzo Ciano, amica di Hitler. Il suo motto era “non si è mai troppo ricche e troppo magre”.

La loro vita coniugale, non allietata da figli, è trascorsa tra incarichi di facciata, castelli di qualche nobile decaduto e alberghi di lusso, ospiti imbarazzanti: i due, emarginati dall’aristocrazia militante, finivano per frequentare personaggi interessati o ambigui, ambienti americani, gente non all’altezza, insomma, secondo gli schemi stabiliti. Pagarono un sovrapprezzo di immagine, come sostengono voci amiche, o davvero complottavano per rovesciare la democrazia inglese?

Lui morì nel 1972; lei, Wally Simpson, nel 1986. La duchessa aveva regalato a Diana, per le nozze, un proprio preziosissimo anello, ma per il resto fu ignorata, se non odiata.

Un cenno merita la sorella minore di Elisabetta, Margaret, morta nel 2002. Nei primi anni ’50 la ragazza si fidanzò con un divorziato, uno scudiero di nome Peter Townsend. Non si sa se mediante minacce o lusinghe, “Maggie” rinunciò ad un matrimonio che sarebbe stato possibile, a patto di perdere alcune prerogative principesche.

Da allora, però, la ragazza non si acquietò mai. Si sposò con un fotografo platealmente libertino, Tony Armstrong-Jones (un rango ridicolo al suo cospetto) ed ebbe due figli, ma i coniugi conducevano vite così indipendenti e disinvolte che, per dignità di tutti, la regina li autorizzò a divorziare.

Margaret si diede a dissipatezze ovvie per una stellina del cinema, ma non consone a lei: all’isola di Mustique, nei Caraibi, praticamente suo feudo, la signora folleggiava a tutte le ore, frequentando cantanti pop. Non disdegnava un linguaggio “popolare”, fumava come una locomotiva a vapore, beveva e trattava il prossimo secondo le lune, senza curarsi delle forme.

Mettersi “contro” l’apparato non paga. Tuttavia permane la sensazione che Carlo, oltre a non essere particolarmente coraggioso, sia anche un po’ cinico e, con lui, tutta l’augusta famiglia.

Cresciuto in severi collegi dove veniva temuto o deriso, incompreso dal padre, abituato a non vedere la madre per settimane, era legato soprattutto al proprio stile di vita. All’epoca delle prime nozze, lottare per amore non gli deve essere interessato un granché: tra viaggi, cavalli, giardinaggio e l’attività di pittore di acquerelli, l’ultimo dei suoi pensieri era far questioni di principio sul matrimonio. La ragazza era accattivante, vivace e ambiziosa. Così il principe, con l’atteggiamento di chi va a firmare un registro di presenze, (e dopo il matrimonio di Camilla), portò all’altare Diana, la candidata prescelta.

Indifferenza: questo esprimeva il suo sguardo, il giorno delle nozze, oltre alla speranza che la sposina portasse pazienza, in cambio del futuro status di regina. Nessuno, a quanto risulta, si pose il problema del marito della Parker Bowles: consenziente in nome della bandiera inglese? E se ci fosse un po’ di verità anche in quanto sosteneva Diana, ossia che lei e il marito si amarono, anche se l’entourage remò sempre contro?

Nel concedere il consenso alle seconde nozze Elisabetta contava sul figlio e la nuova moglie per le attività di pubbliche relazioni del nuovo millennio, ma le aspettative sono andate deluse. Carlo e Camilla hanno preferito le passeggiate in campagna; è risaputo che anche la Parker Bowles si è mostrata allergica agli impegni di corte. E poi ora ci sono William e Kate.

Va però detto che il principe conta anche degli estimatori, che ne apprezzano l’amore per la natura, l’apertura mentale, l’umorismo, la tolleranza. E da babbo single, ha comunque condiviso i grattacapi di molti genitori. La madre di Diana è scomparsa qualche anno dopo la figlia, accusando i reali di crudeltà mentale verso la ragazza, pur sempre la madre dell’erede al trono.

Non si può valutare il sentimento dei componenti il clan Windsor secondo comuni parametri. Il principale compito dei loro educatori consiste nell’indurli a nascondere le emozioni, mostrarsi impeccabili e all’altezza del ruolo, sempre. In anni recenti l’ancora principe chiamò l’augusta genitrice “mommy” in pubblico: lei lo incenerì con un’occhiata.

Se dolore c’è stato, per la morte di Diana, doveva essere contenuto.

La notte tra il 31 agosto e il primo settembre 1997 si è verificato un cosiddetto “evento mediatico” per eccellenza, che ha raggiunto probabilmente anche qualche anziano abitante della steppao capo villaggio della Repubblica Centrafricana.   

A margine dei partecipati funerali fu intercettata qualche voce diversa, che si diceva indifferente alla morte di “una privilegiata”. Il leader del famoso gruppo rock Oasis disse agli inglesi, più o meno: “dovrete divertirvi con qualcos’altro”.  

Mohammed Al Fayed, nonostante tutte le indagini abbiano concordato sulla tesi dell’incidente, ha continuato per anni a sostenere che la coppia è stata uccisa da killer inviati dall’”alcolizzato filonazista” Filippo di Edimburgo (le origini tedesche di Windsor e parenti pesano sempre su di loro, a torto o a ragione). Infine il miliardario si è rassegnato alla sentenza definitiva.

Forse Diana non era l’eroina che qualcuno vorrebbe fosse. La definirono bisbetica, ribelle, manipolatrice, sarcastica, irriconoscente. D’altronde, non fece neppure in tempo a scoprire le proprie disposizioni. Colpisce, tuttavia, l’ostilità del mondo britannico nei suoi confronti. Il suo amato popolo l’ha presto dimenticata. I giornalisti ne parlano con annoiata derisione, schieratissimi con la “royal family”. Anche gli storici inviati dall’Italia, come Sandro Paternostro e Antonio Caprarica, l’hanno massacrata con uno zelo degno di miglior causa.

Qualcuno doveva avvisare la giovane che le regole si cambiano solo quando sei in vetta e mai in corsa.

Anche volendo prendere in considerazione un agguato, ci hanno detto che gli “uomini in nero” vanno sul sicuro. Un incidente stradale non offre certezze di conclusioni risolutive, non assicurava la morte della principessa. E, fosse lei sopravvissuta, ciò avrebbe costituito un guaio aggiuntivo. Che poi, volendo accontentarsi, la vendetta di Diana si è compiuta. Sulla famiglia reale, in fondo, peserà sempre qualche sospetto.

…segue

Carmen Gueye

Riguardo l'autore

carmengueye

Carmen Gueye genovese laureata in lettere antiche, già pubblicista e attiva nel sociale, è autrice di romanzi, saggi e testi giuridici