L’Ucraina è l’argomento chiave del vertice Nato negli USA, con la partecipazione del presidente Volodymyr Zelensky. I 31 Paesi della Nato offrono a Kiev una «promessa di sostegno a lungo termine», che mira certamente ad approfondire i legami ma senza farne subito parte. Insomma, una specie di adesione ma ritardata. Perché? Semplicemente per evitare che la decisione possa attrarre a entrare nell’Alleanza Atlantica altri Paesi vicini alla Russia ma anche per «pensare la guerra» anche con l’approvazione, per la prima volta dalla fine della ”Guerra Fredda”, di tre piani di difesa regionali che spiegano in dettaglio come i Paesi difenderanno il territorio se viene attaccato dalla Russia o da gruppi terroristici e approvare un piano d’azione per rafforzare l’industria della difesa Nato.
Era il 24 febbraio 2022 quando la guerra è riaffiorata, brutale, all’Est dell’Europa ma senza stupirci talmente siamo abituati a vederle sulle reti televisive e nelle fictions. Come non ci ha stupito, anzi direi ch’era inosservata, la guerra che già si stava consumando dal 2014 sempre nella stessa area e sempre per le stesse motivazioni. Veniva chiamata «guerra a bassa intensità» ma da otto anni già era in essere nel Donbass. Era silente perché ‘’silenziata’’ dai media e quindi non presente ai nostri occhi. Ma quel 24 febbraio 2022, giorno in cui i carri armati russi con la sigla «Z» sono penetrati in Ucraina, allora, quella «guerra interstatale» è riapparsa nel cuore del continente e tutte le reti televisive mondiali ne hanno dovuto dare informazione ed ogni Paese del Mondo prenderne atto.
Prenderne atto e pensare la guerra. Non alla ‘’possibilità’’ di una guerra, ma proprio la guerra e nella guerra ‘’guadagnare tempo per organizzarsi’’ è una fase essenziale. Cosa che è in atto.
Carl Philipp Gottlieb von Clausewitz (1º giugno 1780 – 16 novembre 1831) generale, scrittore e teorico militare prussiano, combattente durante le guerre napoleoniche, e famoso per avere scritto il trattato di strategia militare «Della guerra» (Vom Kriege), pubblicato per la prima volta nel 1832, ma mai completato a causa della morte precoce dell’autore, sapeva di cosa parlasse ricordando che nella guerra niente accade di ciò che si può prevedere. Citare Clausewitz è necessario per prendere la misura, contestualizzandolo, di ciò che potrebbe accadere: da guerra a bassa intensità (similitudine di una guerra civile interna ad un Paese) infatti si è passati ad una guerra interstatale (Ucraine-Russia o Russia-Ucraine, come la si voglia leggere) che invece di ‘’raffreddare’’ si spinge sempre più agli estremi, verso una guerra assoluta, guerra totale, annientamento. Quindi, senza che lo si sappia, ci riportiamo a Clausewitz quando inconsapevolmente lo si ammira avendo saputo premeditatamente pensare i conflitti che, da circa duecento anni, hanno acquisito dei mezzi di distruzione ch’egli non era neanche in grado solamente di immaginare.
Certamente Carl Philipp Gottlieb von Clausewitz fu un uomo del suo tempo. Arruolatosi a 12 anni nell’esercito prussiano contro la Francia rivoluzionaria, partecipa come ufficiale nelle battaglie contro Napoleone, poi passerà un periodo al servizio dello Zar (1812) fino al punto di ritirarsi nel 1818, come generale e direttore della Accademia di Guerra di Berlino, e scrivere. Scrivere diversamente e in reazione ai pensatori del movimento dei Lumières, che cercavano e cercano tutt’ora nella storia o nella ragione i principi di una «scienza universale». von Clausewitz pensa la guerra come un’arte. Un’arte che ha una capacità creatrice e di mettere insieme elementi per raggiungere l’obiettivo fissato. Ed è questo che dovremmo chiederci: quale è l’obiettivo fissato che la Nato vuole raggiungere?
Ma von Clausewitz è anche un uomo del suo tempo che pensa il cambiamento tra le «guerre limitate» dell’Ancien Régime (di cui minimizza comunque il potere distruttivo) e quelle che chiama «guerre assolute» (absoluter Krieg), essenza della guerra stessa, concetto puro ma che all’epoca solo Napoleone incarnò. von Clausewitz è ancora un uomo del suo tempo che riflette sulla «piccola guerra», quella che noi oggi chiamiamo «guerra a bassa intensità», al primato della «difesa» o al «punto culminante» di una campagna militare.
Solamente in questi ultimi giorni abbiamo sentito dire che la Nato, oltre ad essere «strumento militare difensivo», è anche «strumento politico». Questo ci porta quindi dentro, con tutti e due i piedi, al rapporto politica e guerra nel conflitto che si sviluppa nel cuore dell’Europa. E ancora torno a ripensare a von Clausewitz. Egli spinge a distinguere tra ‘’tattica’’ (che mira al successo nei combattimenti) e ‘’strategie’’ (che vengono utilizzate nei combattimenti per avere la vittoria nella guerra), ovvero al rapporto tra la politica e la guerra che, quest’ultima, non è altro che la continuazione della politica per altri mezzi.
Trent’anni dopo il collasso dell’URSS, questa formula che sottomette il militare alla politica riappare e riappare quando l’opzione nucleare ci riporta in quei tragici tempi che tutti noi abbiamo chiamato di «guerra fredda».
Spero solo che però la Nato non conti su von Clausewitz per prevedere l’esito del conflitto o, soprattutto, fino a che punto la Nato si spingerà in questo conflitto, che definirlo ‘’interstatale’’ non è più possibile ed a cui la stupefacente capacità di resistenza di un popolo ha definitivamente dato forma.
L’ufficiale prussiano sapeva di cosa parlasse ricordando che nella guerra niente va mai come previsto e la stessa azione militare russa del 24 febbraio 2022 lo ha dimostrato. Forse anche la Nato dovrebbe pensarci.
Marco Affatigato