Eleonora era figlia del suo tempo. Classe 1953, sorta di hippy di lusso, pariolina cosmopolita (famiglia in parte inglese e ungherese) con regolari viaggi in India e soggiorni a Londra, prima che la metropoli divenisse il rifugium peccatorum di italiani avventurieri di ogni estrazione, diventò famosa, quasi in tandem con Ornella Muti, in parti di maliziosetta adolescente. In seguito l’attrice avrà a lamentarsi, non la sola in verità, di essere rimasta all’oscuro, per inesperienza, dei trucchi del montaggio, per cui un film di denuncia diventava quasi erotico: vero o giustificazione postuma?
Per un periodo Giorgi ebbe come boy friend colui che i critici chiamarono, a posteriori, il James Dean italiano, quell’Alessandro Momo, più giovane di lei, divo bambino poi ragazzo, in “Malizia” e “Grazie zia”, di Samperi, con Laura Antonelli, e il formidabile “Profumo di donna” con Gassman, diretto da Dino Risi. Alessandro si fece prestare dalla sua “fidanzata” una maximoto che, per età non poteva portare e andò a schiantarsi a diciotto anni, sul lungo Tevere, nel 1974: per il che Eleonora riporterà anche una denuncia, in seguito archiviata, per incauto affidamento
Come per la Muti, panterona di padre napoletano e madre estone, anche per lei si aprì infine il palcoscenico della massima serie, con commedie all’italiana di punta interpretate a fianco delle star del momento come Renato Pozzetto e Adriano Celentano, o film più inquieti quali “Nudo di donna, con Nino Manfredi; nel momento del massimo fulgore venne accostata a Charlotte Rampling.
Per qualche ragione, ci dirà in seguito lei stessa, Eleonora sviluppò una dipendenza dall’eroina, da cui sarebbe uscita solo col matrimonio, nel 1979 ( nella cripta di San Marco, a Venezia), con l’allora potentissimo Angelo Rizzoli da cui, di lì a breve, ebbe il primo figlio, Andrea. Rizzoli venne coinvolto nello scandalo P2 e la moglie chiese il divorzio: con una precipitazione che le attirerà molte critiche, visti anche i sontuosi alimenti ottenuti.
La bionda star vantò amori con Massimo Troisi (flirt in Costa d’Avorio), Pino Daniele e perfino con Warren Beatty, ma nel frattempo per noi era diventata “Nadia” Vandelli, personaggio iconico del primo esplosivo successo cinematografico di Carlo Verdone, “Borotalco”, nel 1982.
Vale la pena di indugiare su questa bellissima interpretazione (David di Donatello) di una coatta intraprendente e un po’ ingenua, pazza di Lucio Dalla, che entra nelle spire di uno sfigato collega di vendite porta a porta (Verdone) il quale, per conquistarla, si finge un architetto à la page con attico nei quartieri alti: un vero simbolo dei rampanti anni ottanta, dei desideri di gloria sempre sventolati davanti ai nostri occhi, ma mai davvero alla portata del popolo, sullo sfondo di una Roma decaduta, ma ancora in grado di offrire squarci di crepuscolare dolcezza, in mezzo a tanti co – protagonisti e comprimari di valore ( Angelo Infanti, Mario Brega, Roberta Manfredi, Christian De Sica).
Il finale rosa acido è presago di quello che ormai stava diventando la coppia italiana: una struttura non più portante, pronta a disfarsi quando un’emozione promette la svolta che ci sarà forse, o forse no.
Eleonora sarà ancora ottima protagonista in “Sapore di Mare 2”, dove incontrerà il secondo marito Massimo Ciavarro ( con lui il secondo figlio, Paolo) e in “Compagni di scuola”, sempre con Verdone, già nostalgico del tempo che fu ( ispirato a “Il grande freddo” di Lawrence Kasdan): negli anni ottanta c’è già aria di fallimento ed il personaggio interpretato da Eleonora, durante la tragicomica festa tra ex amici, non troverà di meglio che rimettersi con l’ex, che a suo tempo l’aveva delusa.
E con gli ottanta se ne va anche il successo, per la Giorgi: altri lavori, la regia, una lunga storia con lo scrittore Andrea De Carlo, ma la ribalta era lontana.
I figli, insolitamente, dopo la scomparsa della madre non hanno rilasciato frasi mielose o proposto ricordi struggenti, descrivendola dura ( come non sembrava nelle interviste) e difficile da gestire.
Infine, come altri famosi, Giorgi ha presentato un’epifania della malattia terminale, dispensando consigli; ma noi preferiamo ricordarla come la “nostra” Nadia.
Carmen Gueye