Quale è il modo più “politicamente corretto” per indicare il periodo che va dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, quando l’Italia visse il momento più drammatico e complesso della sua storia? Cerchiamo di fare chiarezza per non incappare in spiacevoli inconvenienti.
Dopo l’armistizio con gli Alleati il paese fu diviso in due: al Sud il governo del re e di Badoglio, al Nord la Repubblica Sociale Italiana di Mussolini, sostenuta dalla Germania nazista. In questo contesto nacque la Resistenza, ovvero la lotta armata dei partigiani contro l’occupazione tedesca e il fascismo.
La memoria degli italiani rispetto a questo complesso periodo storico è differente; anzichè parlare di fascismo e antifascismo è interessante soffermarsi su come viene vista e interpretata questa dura fase della storia del nostro Paese.
Gli storici e gli studiosi hanno dato interpretazioni diverse a seconda del momento in cui si sono espressi: alcuni parlano di guerra civile, altri preferiscono parlare di guerra di liberazione. Vediamo perché.
La discussione si apre nel 1991 quando uno storico partigiano, Claudio Pavone, pubblica il libro Una guerra civile (1991), nel quale spiega che tra il 1943 e il 1945 in Italia si combatterono contemporaneamente tre guerre ovvero una guerra patriottica, contro l’occupante tedesco straniero, una guerra civile, quella tra italiani gli fascisti della RSI e gli antifascisti della Resistenza e infine una guerra di classe, tra chi voleva una rivoluzione sociale e chi voleva solo liberarsi dal fascismo.
Sul filone di Pavone si schiera anche il famoso professore e divulgatore storico Alessandro Barbero il quale in una conferenza del 2023, in occasione della ricorrenza del 25 aprile, spiega che vi fu un grande sconcerto quando Pavone pubblicò per Einaudi il suddetto libro in quanto, nonostante lui fosse un partigiano, scrisse che la guerra tra italiani – tra il ‘43 e ‘45 – fu una guerra civile perchè vide contrapporsi gli italiani della Repubblica sociale di Salò e quelli antifascisti della Resistenza. Dice Barbero: ‘’Per un pò di tempo si preferì evitare di dirlo benchè all’epoca della Resistenza fosse ovvio che tutti sapevano che era una guerra civile. Se uno legge cose scritte in quegli anni tutti parlano della guerra civile in corso’’. Lo storico continua spiegando che sono numerose le fonti in cui si parla di guerra civile ma che, con gli anni, si preferì parlare di guerra per la liberazione dallo straniero e non di una guerra fratricida fra italiani. Prosegue dicendo che ‘’Oggi è il caso di dire che l’Italia ha combattuto una guerra civile perchè una parte dell’Italia era fascista’’. Secondo lui, chiamare quel conflitto “guerra civile” non sminuisce la Resistenza, ma anzi aiuta a comprenderne meglio la complessità del periodo.
Renzo De Felice, uno dei più importanti storici italiani del Novecento, ha fornito un’interpretazione della Resistenza che ha suscitato ampi dibattiti: ha interpretato il periodo 1943-1945 come una guerra civile tra italiani, affiancata alla lotta contro l’occupazione tedesca.Nel suo saggio Rosso e Nero, afferma: “Ridurre […] gli avvenimenti del 1943-45 alla contrapposizione antifascismo – fascismo e alla lotta armata tra la Resistenza e la RSI non è in sede storica sufficiente.” — Renzo De Felice, Rosso e Nero, p. 19
Inoltre, nel suo libro Mussolini e il Fascismo, sottolinea come la definizione di “guerra civile” sia stata a lungo evitata: “Assai pochi furono coloro che riconobbero che si trattava di una guerra civile, fermissimi nel negarlo furono soprattutto i comunisti […] solo col 1985-86 si è ripreso a parlare di guerra civile.” — Renzo De Felice, Mussolini e il Fascismo, p. 69
De Felice ha anche introdotto il concetto di “zona grigia”, riferendosi alla parte della popolazione italiana che non si schierò né con la Resistenza né con la Repubblica Sociale Italiana, evidenziando la complessità delle scelte individuali in quel periodo.
Altri studiosi e protagonisti dell’epoca, invece, preferiscono usare l’espressione guerra di liberazione. Secondo loro, la Resistenza è stata prima di tutto una lotta per liberare l’Italia dalla dittatura fascista e dall’occupazione nazista, e ridurla a “guerra civile” rischia di mettere sullo stesso piano chi lottava per la libertà e chi stava con un regime violento e oppressivo.
Ad esempio Norberto Bobbio, filosofo e storico, pur riconoscendo l’aspetto di guerra civile, enfatizza la Resistenza come un momento di rinascita democratica per l’Italia. In un saggio del 1972, afferma: “Resistenza e Repubblica democratica fanno tutt’uno, altrettanto fanno tutt’uno fascismo e negazione radicale di ogni principio di democrazia.” Bobbio quindi vede la Resistenza come una frattura rispetto al passato fascista e un punto di partenza per una nuova Italia democratica. Egli, pur riconoscendo l’aspetto “civile” del conflitto, ricordava che non tutte le guerre civili sono uguali, e che qui c’era una chiara differenza etica tra chi combatteva per la libertà e chi difendeva una dittatura.
Anche Sandro Pertini, partigiano e poi presidente della Repubblica, sosteneva che la Resistenza è stata una guerra giusta, morale, necessaria, che ha ridato dignità al popolo italiano e ha sempre descritto la Resistenza come una guerra di liberazione.
Un altro storico e parlamentare, Giuseppe Galasso, ha sostenuto che il termine “guerra civile” è corretto solo se lo si usa per definire il conflitto al Nord, tra RSI e partigiani. Ma aggiunge che sul piano politico-morale, la definizione di “guerra di liberazione” resta dominante perché c’era un aggressore (i nazisti) e un collaborazionista (la RSI).
La risposta alla domanda iniziale per la giusta conclusione si può riscontrare nelle parole di Giovanni Sabbatucci, storico italiano di rilievo, il quale ha analizzato il periodo della Resistenza italiana (1943-1945) riconoscendo la complessità del conflitto. Nel manuale universitario Il mondo contemporaneo. Dal 1848 a oggi, coautore con Vittorio Vidotto, descrive la situazione dell’Italia centro-settentrionale durante l’occupazione tedesca: “Le regioni del centro-nord diventavano così teatro di una guerra civile tra italiani, che si sovrapponeva a quella combattuta dagli eserciti stranieri.” Questa affermazione evidenzia come Sabbatucci riconosca l’esistenza di un conflitto interno tra italiani, affiancato alla lotta contro l’occupante straniero. Tuttavia, non si limita a questa definizione, considerando anche la Resistenza come una guerra di liberazione nazionale. In un seminario del 1999 su “Fascismo, antifascismo e resistenza nell’interpretazione di Renzo De Felice”, Sabbatucci discute le diverse interpretazioni della Resistenza, sottolineando la necessità di una visione equilibrata che riconosca sia l’aspetto di guerra civile sia quello di liberazione. Pertanto, Sabbatucci adotta una posizione intermedia: riconosce la dimensione di guerra civile nel conflitto tra italiani, ma sottolinea anche l’importanza della Resistenza come lotta per la liberazione nazionale e la democrazia.
Entrambe le letture, se spiegate con competenza e contesto storico, aiutano a capire la complessità di quegli anni, evitando semplificazioni e rispettando il coraggio di chi ha combattuto.
F.M.