«Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei», ma oggi dovremmo aggiungere: dimmi cosa non ti lasciano più mangiare, e capirai chi comanda davvero. Questo il cuore filosofico esposto ne La dittatura del sapore, il nuovo saggio di Diego Fusaro, presentato il 24 maggio a Soave in occasione dell’evento culturale “Soave – Città del Libro”. Un’opera che riflette non solo sul gusto, ma soprattutto sul potere che oggi tenta di determinarlo.
Fusaro parte da una verità tanto semplice quanto rivoluzionaria: l’uomo è l’unico animale che mangia in modo simbolico. Non è solo ciò che ingerisce, ma anche ciò che rifiuta. Ogni cultura definisce i propri confini anche attraverso ciò che considera non commestibile. E ciò che per alcuni popoli è lecito, per altri è abominio. Il cane, per esempio, viene mangiato in alcune aree del mondo, mentre è da noi intoccabile. Il maiale, fondamentale nella cucina italiana, è proibito tutt’ora per ebrei e musulmani.
Ed è proprio la cultura ciò che oggi si cerca di sradicare. L’ideologia alimentare dominante si presenta sotto le spoglie del bene comune: salute, sostenibilità, innovazione. Ma il suo effetto reale è una deculturalizzazione forzata, un vero e proprio scientismo gastronomico che pretende di stabilire cosa si debba mangiare sulla base di algoritmi nutrizionali e interessi di mercato.
Fusaro nel corso del suo intervento ricorda come si stia imponendo una nuova ortodossia del gusto, quella del gastronomicamente corretto. Ovvero una specie di demagogia alimentare che, nel nome della scienza e della sostenibilità, pretende di rieducare i popoli a nuovi paradigmi del mangiare, censurando tutto ciò che non rientra nei criteri stabiliti dalle élite. Nei fatti così come esiste il politicamente corretto, esiste oggi il suo equivalente culinario. Così facendo, però, si espelle la cultura dal piatto e si annulla la libertà del sapore.
Secondo Fusaro, il passaggio dal pane alle larve non è solo un cambio di dieta, ma un ribaltamento simbolico. Il pane, il vino, l’olio – elementi fondativi della cultura mediterranea, e perfino sacri nel cristianesimo – vengono denigrati o rimossi. Il corpo di Cristo è pane, il suo sangue è vino: eliminarli dalla tavola significa attentare alla nostra identità più profonda. Oggi, invece, ci viene chiesto di sostituirli con farina di grillo, insetti, cavallette. Se, ad esempio, i pomodori o le patate erano semplicemente sconosciuti prima della scoperta dell’America, gli insetti li conosciamo da sempre, e da sempre nella nostra cultura li riteniamo disgustosi.
Il filosofo, infatti, ricorda come le cavallette siano il flagello di Dio, i vermi rimandano alla morte e alla putrefazione, le mosche all’idea dello sporco. Questi elementi non sono solo “non buoni da mangiare”: danno cattivi pensieri e non è solo una questione di gusti, ma di simboli e civiltà.

Fusaro ricorda che l’identità alimentare italiana non è immobile, ma ha conosciuto nei secoli tre grandi momenti di trasformazione: l’incontro con le popolazioni germaniche, che hanno introdotto formaggi e carni; l’influenza della cultura islamica, che ha portato spezie, agrumi e melanzane; e l’apporto del Nuovo Mondo, con patate, pomodori, mais. In tutti questi casi si è trattato di innesti che hanno arricchito, senza stravolgere mentre con gli insetti si tenta di cancellare, non di integrare.
Ma saranno davvero una scelta, questi nuovi alimenti? Fusaro, rivolgendosi al pubblico, ha spiegato come l’introduzione di insetti e farine alternative venga presentata con il volto moderno e progressista della libertà di scelta, ma che in realtà si tratta di un’imposizione mascherata, un’uniformità forzata del gusto. Dietro la narrazione della “possibilità” si cela una dinamica ben nota: le classi meno abbienti saranno progressivamente indirizzate verso questi alimenti per ragioni economiche.
Oggi, invece, prevale la logica dell’individualizzazione alimentare: il precariato del gusto, fatto di pasti consumati da soli, a orari improbabili, con cibo ultra-processato e culturalmente anonimo. Si è passati dalla convivialità al consumo, e il ristorante stesso – nato dopo la Rivoluzione Francese – ora si trova a dover reinventare la propria missione.
La battaglia del gusto è anche una battaglia educativa. Le nuove generazioni, cresciute nell’universo del capitalismo integrale, non hanno più una tradizione da trasmettere o da difendere. Si nutrono di hamburger cosmopoliti, privi di radici, e ignorano che sapere e sapore sono legati. Chi domina oggi ha creato un reticolo sottile, ma pervasivo. Resistere non significa tornare al passato, ma difendere le piccole cose, riscoprire che mangiare è essere la propria civiltà.
La dittatura del sapore è, insomma, un invito alla disobbedienza culturale, una rivoluzione non violenta che parte dal piatto. Perché difendere la tavola è difendere l’uomo. E resistere al grillo è un modo – simbolico e concreto – per restare italiani.
La dittatura del sapore
di Diego Fusaro
Edito da Piemme, 2024, 208 pagine
ISBN: 9788856694010
Il volume è disponibile nelle principali librerie fisiche e online, tra cui:
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F.M.