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Siamo una generazione senza sentimento e voglia di far l’amore

Douglas Martin, un noto professionista statunitense degli e-sports, e youtuber, ha lasciato il 20 luglio scorso la fidanzata Yanet Garcia. Il motivo: doveva allenarsi al noto videogioco Call of Duty per un torneo mondiale, e non aveva tempo da dedicarle. Chi non è all’interno di quell’ambiente, forse non può capire quanti soldi siano in gioco: è un business che si potrebbe paragonare, in termini di capitali e di notorietà, al calcio in Italia. Douglas Martin può avere avuto le sue buone ragioni, ma, strano a dirsi, la maggior parte delle reazioni su internet parteggiano per l’avvenente modella e presentatrice messicana.
La vicenda di per sé non è molto rilevante: si tratta di pura cronaca rosa. Ma offre uno spunto interessante da cui partire, per poter riflettere in realtà su quali valori oggi possano essere considerati attuali, e quali altri invece no. La triste constatazione, seguendo il ragionamento di un articolo uscito su Repubblica, è che oggi una relazione sentimentale viene vista sempre più come una prigione da cui bisogna fuggire il prima possibile: per paura, o per egoismo. L’insicurezza e, bisogna dirlo, l’egocentrismo sono presenti soprattutto tra le giovani generazioni; che non vogliono catene.

Il matrimonio non è contemplato, piuttosto si pensa prima di tutto alla propria felicità: non si riesce a condividere un progetto di vita comune; se da una parte la società contemporanea è giunta ad un punto in cui i suoi membri sono specializzati nel proprio lavoro, il rovescio della medaglia è l’incompetenza di instaurare e gestire un rapporto sentimentale. Perché non sono più abituati né allenati a rapportarsi con l’altro. E perché sono cresciuti con il mito dell’autorealizzazione e del perseguire i propri obiettivi e ambizioni personali: l’amore, il desiderio di creare una famiglia, sia chiaro, non sono svaniti nel nulla.
Sono sentimenti accessori. Insorgono tardi. L’importante è fare carriera. Poi, più avanti, se c’è ancora tempo, forse si può pensare ad una convivenza e ad un matrimonio. Se si vuole esagerare, pure a dei figli. Ma intanto è meglio lavorare. Sia chiaro: nessuno mette in dubbio che per vivere serva un lavoro; sarebbe da stolti affermare il contrario. Piuttosto è necessario un cambio di paradigma: quando mutano le istanze economiche e tecniche, segue di conseguenza una trasformazione radicale anche dei valori su cui si fondava una certa società; l’ipercompetizione nel mercato del lavoro, infatti, modifica l’orizzonte di senso di ciascuno che vuole rimanere a galla nel mondo professionale: si estremizza l’individualismo, non si vuole dipendere da nessuno, nemmeno in ambito sentimentale. Significherebbe debolezza: la sensazione di disagio e di inadeguatezza di avere una persona al proprio fianco deriva da una serie di fattori che incidono fortemente sulla stabilità mentale di ciascuno. Uno di questi è l’assenza di una legislazione che assicuri la salvaguardia del posto di lavoro a chi vuole sposarsi e formare una famiglia. E un altro è la percezione che si ha dell’altro come un peso spesso e volentieri insostenibile, da abbandonare alla prima difficoltà o alla prima divergenza di vedute. La stabilità, la durata di un rapporto è un lusso che oggi non ci si può  più permettere. Forse è meglio un rapporto occasionale: non ci sono legami, se non quelli carnali. Non si rischia alcunché. Ci si diverte, e basta. E’ una situazione complessa, e complicata: l’affettività non sembra più essere percepita come un bisogno, o quanto meno non lo si esteriorizza; perché oggi è un tabù. Per essere young, wild and free bisogna apprezzare la fluidità dei rapporti, che vanno e vengono (come i soldi); l’opposto è la tara atavica di una relazione seria e duratura. D’altro canto, è pur sempre presente anche nella vita che si annuncia già precaria dei giovani il desiderio di avere qualcuno al proprio fianco. L’uomo è un animale sociale strano: il suo istinto naturale è quello di relazionarsi con gli altri, di costruire una famiglia e una comunità politica. Così è sempre stato. Però i mutamenti avvengono anche in questo versante: lo stato, la nazione di appartenenza non è più vista come un faro verso cui orientare le proprie azioni, anzi è un concetto oggi travisato e storpiato, indi per cui è meglio pensare all’Europa unita o ad un mondo senza frontiere – sono tutti cittadini del mondo -; nessuno sa più cosa significhi stringere un’amicizia, questo legame che oggi si rende sempre più necessario per affrontare le avversità della vita e del tempo non è più inteso nella sua accezione originaria, ma spesso l'”amico” e il “conoscente” sono diventati sinonimi, erroneamente: l’amicizia è la tappa finale del processo di conoscenza. E in questo marasma confusionario, pure la famiglia rientra nel gioco: se si perdono i contatti con la realtà nazionale e filiale, pure le relazioni sentmentali traballano e arrancano su un’equilibrio piuttosto instabile. Non si riesce a giostrarsi.

Pure perché mancano riferimenti cui rifarsi. Dunque, alla fine, viste queste problematiche, quali possono essere le prospettive in cui inserire la sfera dell’affettività? Attualmente non si intravedono soluzioni o possibili risposte: ma non è possibile ragionare in un respiro più ampio, senza che siano coinvolti tutti. Forse è necessaria una rivoluzione culturale che preveda un ritorno alle origini, per così dire, dove il sentimento sia rivalorizzato; e dove l’erotismo, da non confondersi con la volgarità, venga ripreso nella sua sua forma originaria, poetica, armonica e artistica. E questa rivoluzione deve prevedere l’abbandono del nichilismo, passivo e debole, ed oltrepassare la jungeriana linea, per arrivare la’, per giungere a quella meta di un nuovo (oltre)uomo e che ridia senso alla terra, alla vita. Insomma, che faccia riscoprire cosa significhi essere uomini, intrecciare legami solidi, subordinare il lavoro a se stessi, amare: vivere appieno la vita.
Alessandro Soldà