Alla base del comportamento di un popolo ci sono le sue abitudini: perfino in una materia impettita come il diritto, la tradizione è la prima delle fonti. Ne consegue che dall’educazione dei cittadini derivano le qualità e i difetti di una Nazione.
Nel caso dell’Italia, la cosa è più che evidente: partendo dalla scuola fino ad arrivare alle abitudini quotidiane, stiamo assistendo ad una generale corruzione dei costumi. E questo non significa scuotere la testa come vecchi bacchettoni puritani, ma, semplicemente, prendere atto della realtà. Bestemmiare ad alta voce per strada, sputacchiare come gechi, negare la precedenza a donne o anziani, mangiare spazzatura e nutrire di spazzatura i propri neuroni, sono prassi comuni, in quest’epoca felicemente post-americana.
Tuttavia, è di un vizio specifico e, per i miei gusti, davvero insopportabile, che voglio lamentarmi in questa puntata di “Un Bergamasco in Rendena”: vizio sdoganato, diventato tollerabile, per merito o per colpa dei nostri politicanti romani.
Mi riferisco alla bugia.
Non all’innocente piccola panzana che può scappare a chiunque: da chi esagera nelle dimensioni della trota che ha pescato al ragazzino che fa tardi a cena e si giustifica con la prima balla che gli viene in mente. Io parlo del mentire sistematicamente: del mentire per la gola, come autentico vizio, come abitudine. Ormai, questa prassi odiosa è del tutto invalsa: mi verrebbe, anzi, da dire che i saltimbanchi dei palazzi romani ne hanno fatto un vero e proprio strumento politico.
Insomma, non solo mentono sapendo di mentire, ma mentono come strategia. Non so dire se questo dipenda dall’inconsistenza morale e culturale di chi, oggi, occupa i posti di potere: per certo, questo bruttissimo difetto si è trasformato in una ricorrente certezza, comunicato dopo comunicato, decreto dopo decreto.
E’ come se costoro dicessero: è vero, non abbiamo mantenuto le promesse precedenti, ma vi promettiamo che, da domani, tutto andrà meglio, tutto cambierà. Un continuo sommare bugie a bugie, nella serena certezza che, comunque, il gran gregge del popolo italiano se le berrà come acqua fresca. E la cosa peggiore è che hanno ragione: mese dopo mese, settimana dopo settimana, gli Italiani hanno introiettato una quantità mostruosa di gigantesche panzane, accettandole di buon grado, quasi fossero verità di fede.
Con un’improntitudine superlativa, uomini e donne di governo ci hanno assicurato, garantito e spergiurato che i nostri sacrifici sarebbero serviti ad aprire le scuole, a salvare il Natale, a garantire la ripresa: e adesso, che ci siamo tappati in casa, che i nostri figli hanno rinunciato alla propria vita, che commercianti e imprenditori si sono svenati per organizzarsi, per adattarsi, per adeguarsi, questi cialtroni ci vengono a dire che non è servito a nulla.
E fosse solo questo: per colmo di menzogna, riescono ad incolpare gli Italiani del fallimento delle loro demenziali strategie profilattiche. Il che è davvero il colmo: un ministro che si loda e si imbroda per il meraviglioso lavoro fatto per aprire, indefettibilmente, le scuole il 7 gennaio e che, poi, ci dice che apriranno, forse, l’11 oppure il 24, non è soltanto un’incapace da cacciare istantaneamente. E’ una mentitrice seriale.
E lo stesso si può dire di tutti i membri di quest’accozzaglia di pellegrini, che qualcuno si ostina a definire un governo. Solo che, siccome ‘exempla trahunt’, gli Italiani stanno imparando, a loro volta, a raccontar balle, come se piovesse: lo fanno i grandi, perché non dovremmo farlo noi piccini?
E la bugia diventa normale. E’ così che si va a remengo, un passino alla volta.
Ma vedrete che, caduto questo governo, chi lo sostituirà ci porterà fuori dal tunnel: torneremo ricchi, sani e felici.
Ve lo giuro sul mio onore.
Marco Cimmino