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Cultura

Il Festival dove si mangia carne di cane

A Yulin, in Cina, dal 21 al 30 giugno di ogni anno, si festeggia il solstizio d’estate mangiando carne di cane, ritenuta fonte di salute, fortuna e vigore sessuale.
I numeri parlano chiaro: ogni anno 30 milioni di cani vengono uccisi e mangiati in Asia, 10mila solo durante la festa nazionale proprio a Yulin. Il festival nasce ufficialmente nel 2009, ma il consumo di carne canina in Cina ha origini ben più radicate: sotto la dinastia Han (202 – 220 dC), la carne di cane era considerata una prelibatezza. Successivamente, però, le dinastie Sui-Tang (581-907 d.C.) bollarono il consumo di cani come “abitudine indecente”.
Una ricerca condotta dalla CNN su un campione di 771 abitanti in 28 province, prefetture autonome e municipalità, ha fatto emergere che solo l’8,2% degli intervistati prende un cane per mangiarlo; inoltre, tra le giovani generazioni, influenzate dalla cultura occidentale, la consumazione di carne di cane è una pratica sempre più rara.
Il 70% degli abitanti intervistati ha dichiarato di aver misteriosamente perso un cane e, nel 73,6% dei casi, la scomparsa sarebbe avvenuta in inverno, in concomitanza con l’avvio del festival; in effetti, durante la cattura degli animali destinati al Festival, sono proprio i cani da compagnia ad essere presi di mira, perché più amichevoli e facili da catturare, oltre alla convinzione che la carne di un cane che in vita sia stato amato e coccolato sia ancora più benefica per la salute.
In Cina, la carne di cane è apprezzata come piatto nutriente per l’inverno e viene prescritto dai medici per curare malattie come l’impotenza e la cattiva circolazione. I cani per il Festival di Yulin provengono dal centro e nord della Cina, Henan e Shandong, a più di 1.000 miglia di distanza.
Il trasporto avviene in gabbie metalliche, con zampe e muso legati, senza cibo né acqua. Oltre che per motivi logistici, ciò avviene perché, secondo una credenza comune, lo stress e la paura provocherebbero il rilascio di ormoni che migliorano il gusto della carne. Senza contare il rischio per la salute umana, rappresentato dalla possibilità di contrarre rabbia e altre malattie infettive a causa delle mancate vaccinazioni.
Di recente, Davide Acito, attivista italiano impegnato in Cina a salvare i cani dal Festival di Yulin, ha raccontato alcuni particolari macabri di ciò che avviene nelle strade della città:”Questi cani si fanno la pipì sotto, tremano di paura, poi gli legano le zampe e li buttano nelle pentole. Vedi per strada cani che vengono picchiati, uccisi e macellati. I cani vengono bolliti vivi e l’acqua deve essere ad una temperatura bassa perché l’animale deve cucinare molto lentamente”.
Nei giorni scorsi, l’Associazione Animalisti italiani ha protestano davanti all’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese a Roma, ma, per tutta risposta, l’Ambasciatore cinese Li Ruyu si è rifiutato di incontrare i manifestanti.
Anche alcuni artisti, tra cui Tiziano Ferro, hanno divulgato sui propri social inviti a sostenere la campagna:“Chiediamo all’Ambasciata cinese in Italia di aiutarci a fermare questa barbarie, perché la civiltà possa regnare”.
Il governo cinese chiude gli occhi e minimizza l’evento come “una forma di raduno sociale che non è mai stata istituita da nessun governo o organizzazione civile”. Eppure ciò che avviene nelle strade di Yulin è innegabile grazie a decine di video e immagini che documentano il macello, oltre alle testimonianze dirette di attivisti locali e stranieri.
Le mobilitazioni internazionali e le raccolte di centinaia di firme contro il massacro spingono il governo a prendere consapevolezza sulla questione: dal 2014, le autorità locali hanno voluto prendere le distanze dal festival, ordinando in alcuni casi la chiusura di mercati e mattatoi illegali.
Dietro le scuse della cultura e della tradizione, si cela ovviamente il guadagno economico: il commercio di carne canina è un business milionario per molti Paesi asiatici, tra cui Thailandia e Indonesia. Non solo, ad indignare è soprattutto il sadismo e la crudeltà che si evincono da queste pratiche: video e immagini mostrano che le mattanze avvengono anche in presenza di bambini, i quali rimangono impassibili di fronte a tanta crudeltà.
Un “festival” dovrebbe essere un momento gioioso e sereno, senza spargimenti di sangue o violenti barbarie. D’altro canto, le tradizioni dovrebbero consegnare e tramandare qualcosa di costruttivo ed edificante, capace di rendere migliore le generazioni successive. Il passato diventa tradizione se può servire al presente, ma “la maggior parte delle tradizioni non sono altro che le malattie di una società”.
di Antonella Gioia