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Attualità Cultura Un bergamasco in Rendena

Scuola e “tempi supplementari”: la boutade superficiale di Draghi

Intendiamoci, la nomina di Patrizio Bianchi a Ministro dell’Istruzione è un’ottima notizia, anche se spero che il neoministro non esordisca, al pari di altri luminari che l’hanno preceduto, fingendo di stupirsi per i miseri stipendi degli insegnanti, salvo non fare nulla per modificarli.

In ogni caso, dopo l’Azzolina, anche un opossum sarebbe stato accolto stappando champagne e, perciò, l’urbanista romano rappresenta, almeno sulla carta, un indubitabile colpo d’ala. Tuttavia, dato il mio carattere saturnino, riguardo al rapporto tra Draghi e la scuola, un sassolino dalla scarpa me lo devo levare: ed è un sassolino piuttosto voluminoso. Draghi, infatti, per voler sottolineare che la scuola è una delle sue priorità, ha esordito con una bischerata sesquipedale, che ha dimostrato la sua totale ignoranza della situazione attuale, oltre che una significativa sudditanza psicologica nei confronti di un detestabile pregiudizio che riguarda gli insegnanti.

Il Nostro, infatti, ha postulato che si possa prolungare l’anno scolastico fino alla fine di giugno, per recuperare il tempo perduto con la didattica a distanza integrata. La qual cosa testimonia perlomeno due cose: la prima è che Draghi (o il furbacchione che gli ha suggerito questa sciocchezza) ritenga che in Italia la DDI abbia sostanzialmente fallito e che, mercè la svogliatezza o l’incapacità del corpo docente, i programmi e la preparazione degli studenti abbiano subito ritardi. La seconda è che il sistema dei recuperi funzioni: il che non accade, sulla scorta dei vari PIA, PAI e altri risibili acronimi assortiti, che si sono dimostrati solo fuffa burocratica, senza alcuna utilità didattica.

Cominciamo col dire che, dopo un comprensibile disagio che è toccato, nella prima fase della pandemia, a molti insegnanti, del tutto ignari di smart working e di didattica in regime di lavoro a distanza, la scuola italiana ha compiuto uno sforzo gigantesco per adeguarsi alle nuove esigenze, raggiungendo un regime di normalità digitale in questo anno scolastico. Sforzo collettivo, sia sul piano professionale che su quello tecnologico, che si deve ai docenti, non ad altri: il che vuol dire fatica improba, applicazione raddoppiata, impegno e dedizione, nel disinteresse del governo, che giocherellava coi banchi a rotelle, e nello scetticismo del popolo.

Tutte cose che andrebbero premiate e non mortificate. Senza contare che uno deve recuperare il tempo perduto, se ne ha perduto: chi non ha perso un secondo di lezione e non ha mancato un solo obbiettivo cosa dovrebbe recuperare: gli intervalli? Insomma, miopia e pregiudizio.

Io non so come siano andate le cose a Mazara del Vallo o a Otranto: voglio sperare che siano andate esattamente come a Brunico o a Pinerolo. A Bergamo, per certo, non ci sono stati ritardi e non c’è bisogno di alcun recupero. Un sistema per scoprirlo, comunque, ci sarebbe: basterebbe che, anziché vivere di report e di soffiate di sedicenti esperti, i nostri amministratori alzassero le berze dalla poltrona e andassero di persona a visitare le scuole di tutta la Penisola. Osservassero, annotassero, riflettessero e, infine emettessero le loro lapidarie sentenze, un tantino più a ragion veduta.

Va da sé che un prolungamento dell’anno scolastico non si farà: troppe le controindicazioni, dalle vacanze degli studenti al calendario degli esami, dall’economia del turismo ai tempi organizzativi. Tuttavia, questa boutade d’esordio del Draghi la dice lunga sull’approccio di questo governo alla questione scuola: di fronte a una catastrofe che potrebbe essere scongiurata solo con un radicale ripensamento del sistema educativo, si pensa a recuperare un tempo perduto che non è stato perduto.

In sostanza, potremmo sintetizzare dicendo: non ce ne frega nulla, ma facciamo finta di preoccuparci.

Ad maiora.

Marco Cimmino