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Attualità Cultura Un bergamasco in Rendena

L’idea moderna dell’uomo cellula: genesi degli olocausti del Novecento

Ieri era Metz Yeghern, il Grande Male, il giorno in cui la comunità armena ricorda lo spaventoso massacro che la colpì durante la prima guerra mondiale. Questo mi dà l’occasione di parlarvi un po’ degli olocausti del Novecento, facendo, una volta tanto, il mio mestiere.

Tanto per cominciare, va detto che, di solito, si ha un’impressione del tutto sbagliata delle ragioni profonde di queste gigantesche stragi: si tende, infatti, a pensare che siano una sorta di rigurgito medievale, che, attratto in superficie da particolari fattori storici, riemerga in un’epoca apparentemente civile, e colpisca con tutto il suo terrificante orrore. Non è affatto così: tutti i principali genocidi moderni, a partire da quello vandeano e con l’esclusione di quello Hutu-Tutsi, sono figli della modernità e dell’idea scientista dell’uomo-cellula, della società come organismo.

Gli olocausti si assomigliano un po’ tutti proprio per questa tensione di fondo verso il miglioramento della società: che diventa chirurgico, quando non riesce a essere farmacologico. Spiace dirlo, ma il papà degli olocausti è stato Voltaire più che Torquemada. Infatti, i genocidi partono, di solito da premesse analoghe: una missione salvifica, un forte nazionalismo (che può diventare classismo, in certi casi), una comunità ritenuta un tumore nel corpo dello Stato e una sconfinata fiducia nella ragione, a scapito della semplice umanità.

Insomma, quel “Capriccio” di Goya, tanto caro a certa sinistra, in cui si dice che il sonno della ragione genera mostri, perlomeno nel caso dei genocidi novecenteschi si è rivelato un’immane cazzata: fu la fede cieca nella ragione a partorire i mostri peggiori. Fatto sta che non solo le radici degli olocausti sono comuni: anche il loro svolgimento e perfino i tentativi di occultarli sono tristemente simili. Scheubner-Richter, console tedesco a Urzurum, è tra i pochi testimoni del massacro degli Armeni: torna in Germania, aderisce al NSDAP e informa il suo capo del fatto che certi problemi si possono risolvere con certe soluzioni, se si possiedono, come i Giovani Turchi, pieni poteri.

L’importante è che ci sia qualche fattore che impedisca la diffusione all’estero delle notizie riguardanti le stragi: una guerra, nel caso di Armeni ed Ebrei, una chiusura politica e diplomatica, nel caso di Holodomor, il terribile genocidio ucraino. E proprio questo considerare un Armeno, un Kulak, un Vandeano, un Ebreo, qualcosa di diverso da un essere umano, qualcosa di più simile a un virus, fa sì che gli assassini possano tornare a vite apparentemente normali, dopo avere svolto il proprio orrendo compito.

E, se il Male è banale, come postulava Hannah Arendt a proposito di Eichmann, i tentativi di nasconderlo sono banalissimi: negazionismo, distorsionismo, giustificazionismo, sono gli strumenti ovvi e risaputi di questa campagna di sbianchettatura. Lo hanno fatto i Tedeschi, lo hanno fatto i comunisti sovietici, lo fanno i Turchi, che negano sia esistito un Olocausto armeno, lo fanno certi individui italiani, a proposito del dramma delle foibe.

Tutti tristemente uguali, tutti malvagiamente banali. Anche per questo, oggi, è bene che ricordiamo la tragedia che ha colpito gli Armeni, come la Shoah, le Foibe, la Vandea, l’Ucraina.

Non per una vuota celebrazione, ma per capire davvero quel secolo meraviglioso e sanguinario che è appena finito.

L’unico modo genuino per non dimenticare.

Marco Cimmino