Home » L’OPINIONE: Il “giorno della memoria”. La «persecuzione degli ebrei» non iniziò con le camere a gas!
Attualità Cultura

L’OPINIONE: Il “giorno della memoria”. La «persecuzione degli ebrei» non iniziò con le camere a gas!

Il Giorno della Memoria, come è giusto che sia, si commemora anche quest’anno, ma quel che si dimentica comunque di dire è che la Shoah non iniziò con le camere a gas, ma con un processo di normalizzazione legale della discriminazione razziale. Un processo subdolo che preparò il terreno allo sterminio e non solo di ebrei.

C’è chi usa la memoria della Shoah per mostrare come anche ai giorni nostri vi siano categorie perseguitate e come il rischio dello sterminio fisico totale sia sempre dietro l’angolo. Dall’altra parte, le comunità ebraiche, che la Shoah l’hanno vissuta realmente, si oppongono a quel che vedono come una strumentalizzazione politica di un genocidio forse non unico nella storia (penso al genocidio armeno, per citarne ancora uno).

Oggi, mi sento di dire, vengono effettuati paragoni impropri che pure vengono accettati pacificamente dal mondo della politica e della cultura. Ed è questo un errore.

Per evitare strumentalizzazioni e paragoni forzati, è bene ricordare che cosa realmente precedette la “Soluzione Finale”. Perché allo sterminio, non solo degli ebrei, ci arrivarono per gradi e pochi se ne resero conto. Ricordiamolo: non iniziò con le camere a gas! Non iniziò con i forni crematori! Non iniziò con i campi di concentramento e di sterminio! Non iniziò con i 6 milioni di ebrei che persero la vita. E non iniziò nemmeno con gli altri 10 milioni di persone morte, tra polacchi, ucraini, bielorussi, russi, jugoslavi, rom, disabili, dissidenti politici, prigionieri di guerra, testimoni di Geova e omosessuali. Iniziò con i politici che dividevano le persone tra “noi” e “loro”. Così come accade oggi. Iniziò con i discorsi di odio e di intolleranza, nelle piazze e attraverso i mezzi di comunicazione. Così come accade oggi. Iniziò con promesse e propaganda, volte solo all’aumento del consenso. Così come accade oggi. Iniziò con la «schedatura». E poi arrivarono le leggi che distinguevano le persone in base alla “razza” e al colore della pelle. Arrivò la «ghettizzazione» e i bambini cominciarono ad essere espulsi da scuola, perché figli di persone di un’altra religione. I «diversi» private di tutti i loro beni, dei loro affetti, delle loro case. Inizio con le persone private del lavoro e della loro dignità. Arrivo la deportazione. Ma soprattutto INIZIO’ QUANDO LA GENTE SMISE DI PREOCCUPARSENE, QUANDO LA GENTE DIVENNE INSENSIBILE, OBBEDIENTE E CIECA, CON LA CONVINZIONE CHE TUTTO QUESTO FOSSE» NORMALE» … Ecco quando iniziò! Perché tutto era «normale».

Pensate quanto subdolo sia stato il processo che portò, in meno di un decennio, dalle prime leggi razziali locali fino alla macchina dello sterminio “industriale”. Iniziò con i discorsi di odio e di intolleranza, come oggi, nelle piazze e attraverso i mezzi di comunicazione: i nazisti non fecero mai mistero del loro antisemitismo. Anzi, ottennero il voto di un terzo dei tedeschi, nelle elezioni del 1932 e 1933, promettendo di separare gli ebrei dagli “ariani” e di privarli di tutti i diritti. La tesi della “pugnalata alla schiena” era diffusa sin dal 1918: non accettando la sconfitta improvvisa e per molti ancora inspiegabile della Grande Guerra, si diffuse, soprattutto fra gli ufficiali, la tesi che l’esercito fosse rimasto vittima di una grande congiura di imboscati, profittatori, industriali e spie: tutti ebrei. Rudolph Hess, prima ancora di Hitler, tornato folle e collerico dal fronte mediorientale, fu uno dei primi a cadere vittima della fascinazione di questa tesi e ne divenne uno dei maggiori diffusori. Hitler, anch’egli reduce, deluso e ferito al fronte occidentale ne rimase subito conquistato. Perché gli ebrei, che avevano perso circa 12mila uomini in guerra (su 100mila arruolati), nei ranghi dell’esercito tedesco, vennero accusati della sconfitta? Perché, secondo il nazionalismo tedesco, dal romanticismo in avanti, la Nazione si fonda sul sangue e la terra. Dunque gli ebrei erano “corpo estraneo”, perché non avevano lo stesso sangue dei tedeschi e “cosmopoliti”, perché le loro famiglie non risiedevano solo in terra tedesca. La Rivoluzione Russa, oltre alla sconfitta tedesca, venne considerata come una macchinazione ebraica. Un bel paradosso, considerando che furono i tedeschi ad innescarla, finanziando e trasportando in tutta segretezza Lenin in Russia per portare a termine la sua attività sovversiva.

Ma gli intellettuali tedeschi di allora, e non solo loro, videro nel comunismo, in Karl Marx, una emanazione diretta del giudaismo. Dal 1918 in poi, tutti gli orrori della Russia bolscevica vennero imputati agli ebrei.

Iniziò con le leggi che distinguevano le persone in base alla “razza” e al colore della pelle: il nazismo era dichiaratamente razzista. Non era l’unico, nel mondo della scienza e della politica di allora, che prendeva molto sul serio il darwinismo sociale, dunque una teoria dell’evoluzione in cui si considerava normale che gli uomini fossero divisi in “razze” e che la razza superiore potesse e dovesse prevalere su quelle inferiori, come nella selezione naturale delle specie animali. Anche gli Stati Uniti d’America erano razzisti e pure gli inglesi e i francesi ma il nazionalsocialismo fu comunque l’unica ideologia che portò questa idea alle sue estreme conseguenze.

Il nazismo identificava nella “razza ebraica” una stirpe inferiore che, prevalendo da usurpatrice nel mondo della cultura, della scienza e della morale, impediva alla razza ariana superiore di prevalere e ottenere il suo giusto primato. Essendo razzista, la dottrina nazista non distingueva fra ebrei amici o nemici: identificava la razza nel suo insieme come nemica.

Gli ebrei avevano subito millenni di persecuzioni in passato, ma, per la prima volta venivano identificati come “razza”, non più come comunità religiosa. Quindi anche l’ebreo non praticante, quello convertito al cristianesimo, o anche l’ebreo convinto nazionalista tedesco e l’eroe di guerra, o quello appena nato o troppo piccolo per saper leggere, scrivere e parlare erano tutti indistintamente perseguibili in quanto membri di una “razza”. Le Leggi di Norimberga del 1935 identificavano l’ebreo come l’individuo con almeno tre nonni ebrei. I legislatori tedeschi misero dunque mano agli alberi genealogici e tracciarono un confine invalicabile fra ebrei e ariani, oltre ad una zona grigia di “misti”, cioè coloro che avevano uno o due nonni ebrei. Si veniva discriminati (poi uccisi) per quel che si era e non per quel che si pensava o faceva. Anche l’URSS aveva fornito, almeno in parte, un modello simile, discriminando o uccidendo, sin dal 1918, gli appartenenti ad una “classe” sociale, identificata e giudicata dal Partito come nemica del popolo. Ma dalla accusa classista era ancora possibile una via di salvezza, aderendo al Partito e collaborando con esso (magari anche contro i propri stessi parenti). Dall’accusa razzista, non c’era salvezza alcuna.

Iniziò quando la gente smise di preoccuparsene, quando la gente divenne insensibile, obbediente e cieca. La normalizzazione della persecuzione fu data dalla sua graduale legalizzazione. I nazisti non si mossero come un «partito rivoluzionario» che viola la legge dello Stato, al contrario usarono lo Stato per emettere una nuova legge positiva che permettesse di mettere in pratica la loro ideologia. Per un tedesco di allora, discriminare o cacciare un ebreo, era un dovere. Per una cultura abituata a pensare allo Stato come all’unica fonte del diritto e di conseguenza anche della morale, obbedire era la maggior virtù. La prima legge fu un banale ordinamento locale: la città di Berlino, il 31 marzo 1933, sospese i medici ebrei da tutte le attività di volontariato svolte nella capitale. Una settimana dopo, una prima normativa nazionale, quella del Ripristino del Servizio Civile, ordinava il licenziamento degli ebrei da tutti gli enti pubblici. Il giorno stesso, un’altra legge nazionale vietava agli ebrei di diventare avvocati. A far chiarezza sull’attività normativa antisemita furono soprattutto le Leggi di Norimberga del 1935, che chiarirono definitivamente chi si potesse definire ebreo, quali fossero i requisiti per essere “cittadini” e cosa si dovesse fare per “proteggere l’onore e il sangue” dei tedeschi. L’attività legislativa, sulla falsariga delle Leggi di Norimberga, divenne frenetica soprattutto nel 1938 (l’anno in cui vennero adottate le leggi razziali anche in Italia).

All’inizio del 1939, per legge, un ebreo (o una ebrea) non era già più cittadino, ma suddito, non poteva più: essere naturalizzato tedesco, avere rapporti sessuali con ariani, sposare ariani, esercitare la professione del consulente fiscale, esercitare la professione del veterinario, cambiare il suo nome, commerciare armi, cambiare il nome alla sua azienda, recarsi alle terme, possedere un’azienda, possedere più di 5mila marchi, trasferire liberamente beni a non ebrei, frequentare una scuola pubblica, uscire liberamente dai confini nazionali, possedere piccioni viaggiatori, far valere contratti stipulati con lo Stato, esercitare la professione di ostetrico, possedere oro, argento, diamanti e altri oggetti preziosi, comprare un biglietto alla lotteria. Queste sono le leggi principali, in ordine cronologico, che dal 1935 al 1939 limitarono sempre di più le attività consentite agli ebrei. Fu un assedio, sempre più stretto, effettuato a colpi di leggi e decreti, locali e nazionali. Agli ebrei venne imposto di identificarsi in pubblico, aggiungendo la J (di Jude) al passaporto e aggiungendo il nome Israel (per i maschi) e Sara (per le femmine) al proprio nome.

Quando scoppiò la guerra il terreno (politico e giuridico) era già pronto per lo sterminio, anche se la “soluzione finale” venne proclamata solo nel 1942.

Un po’ di memoria anche a noi non ebrei fa bene… per evitare che l’orrore si ripeta.

Marco Affatigato

Riguardo l'autore

Marco Affatigato

nato il 14 luglio 1956, è uno scrittore e filosofo laureato in Filosofia - Scienze Umane e Esoteriche presso l'Università Marsilio Ficino. È membro di Reporter Sans Frontières, un'organizzazione internazionale che difende la libertà di stampa.

Nel 1980 la rivista «l’Uomo Qualunque» ha pubblicato suoi interventi come articolista. Negli ultimi anni, ha collaborato regolarmente con la rivista online «Storia Verità» (www.storiaverita.org) dal 2020 al 2023.