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Economia

Attacco russo, le PMI del Trentino Alto Adige guardano con preoccupazione agli ultimi sviluppi

L’attacco dell’Ucraina da parte della Russia sta provocando un terremoto sull’economia globale che preoccupa, inevitabilmente, anche le PMI del Trentino Alto Adige. Se da una parte ci sono gli autotrasportatori già sul piede di guerra da giorni che devono fare i conti con il costo del carburante salito ancora proprio nelle ultime ore, dall’altra si guarda con grande attenzione all’evolversi della situazione energetica. Gli aumenti degli ultimi mesi hanno già messo in difficoltà molte attività dell’artigianato. Ora i venti di guerra nel cuore dell’Europa fanno prefigurare un’ulteriore accelerazione dell’inflazione, già giunta ai massimi livelli a Bolzano e Trento. Si impennano i prezzi del gas e delle materie prime. Claudio Corrarati, presidente di CNA Trentino Alto Adige: “In queste ore non possiamo che esprimere la nostra massima solidarietà alla popolazione ucraina. L’angoscia per questo dramma umanitario è accompagnata da un’inevitabile preoccupazione per l’economia del nostro territorio. Reduci da due anni di pandemia, le nostre piccole e medie aziende stanno combattendo da mesi con il caro-prezzi e la mancanza di materie prime. Queste ulteriori impennate rischiano di mettere in ginocchio le imprese. Mentre a livello nazionale si sta ragionando su una possibile proroga dei prestiti Covid, CNA Trentino Alto Adige propone a livello regionale di mettere in rete le banche locali per studiare una moratoria territoriale sui crediti, avvalendosi delle competenze delle cooperative di garanzia, Garfidi in Alto Adige e Confidi in Trentino, che possono certificare la situazione debitoria delle aziende”. La Confederazione chiede inoltre ai governi delle due Province Autonome di Trento e di Bolzano di attivare subito un gruppo di lavoro: dobbiamo studiare insieme come aiutare le nostre aziende a diventare il più possibile autonome sul fronte energetico, puntando sulle fonti rinnovabili.

Con il caro petrolio spinto dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia il prezzo medio del gasolio per la pesca è praticamente raddoppiato (+90%) rispetto allo scorso anno costringendo i pescherecci italiani a navigare in perdita o a tagliare le uscite e favorendo le importazioni di pesce straniero. E’ quanto emerge da una analisi di Coldiretti Impresapesca diffusa in occasione della mobilitazione di allevatori, agricoltori e pescatori della Coldiretti con barche, trattori e animali da nord a sud del Paese, per esprimere solidarietà al popolo ucraino contro la guerra che affossa l’economia e il lavoro.

L’effetto dell’incremento del prezzo medio del gasolio – spiega Coldiretti – si sta abbattendo come una tempesta sull’attività dei pescherecci. Fino ad oltre la metà dei costi che le aziende ittiche devono sostenere è rappresentata, infatti, proprio dal carburante. Con gli attuali ricavi la maggior parte delle imprese – spiega Coldiretti Impresapesca – non riesce a coprire nemmeno i costi energetici oltre alle altre voci che gli armatori devono sostenere per la normale attività.

Senza adeguate ed urgenti misure per calmierare il costo del carburante le imbarcazioni saranno dunque costrette a pescare in perdita se non addirittura a restare in banchina con gravi ripercussioni sulla filiera e sull’occupazione per un settore che – sottolinea la Coldiretti – conta complessivamente 12mila imprese e 28mila lavoratori, con un vasto indotto collegato.

La crisi energetica aggrava una situazione già resa difficile dalla riduzione dell’attività di pesca scattata dal 1° gennaio 2022 per un corposo segmento produttivo della flotta nazionale a causa delle nuove disposizioni dell’Ue e del Consiglio Generale della Pesca nel Mediterraneo (Cgpm). Le uscite in mare si sono così ridotte a poco più di 120 giorni o 130 giorni in base alle dimensioni delle imbarcazioni, pari ad un terzo delle giornate annue, mettendo – spiega Coldiretti – a rischio quasi il 50% del valore dell’ittico Made in Italy in zone strategiche come l’Adriatico, il Tirreno ed il Canale di Sicilia.

Per questo – afferma Coldiretti – serve un impegno forte del Governo e del Ministero delle Politiche agricole per spingere l’Ue a fare marcia indietro sui drastici tagli alle attività e rimettere al centro delle scelte strategiche dell’Italia il settore della pesca.

Un intervento ancora più necessario se si considera che l’estensione della Cisoa (Cassa Integrazione Salariale Operai Agricoli) al settore della pesca, che aveva l’obiettivo di garantire finalmente un ammortizzatore sociale strutturato anche a questo settore, si è dimostrato in realtà una scatola vuota a causa dell’esclusione dei vari periodi di fermo pesca dalle causali.

Le imprese – denuncia Coldiretti Impresapesca – sono gravate così di ulteriori costi, ma nulla in concreto cambia per il sostegno al reddito dei lavoratori. Peraltro la contribuzione, in assenza di previsioni ad hoc, è calcolata sulla base dell’aliquota dovuta per gli operai agricoli ed è a carico delle imprese a partire da questo mese.

Lo scenario economico in cui sta navigando la flotta nazionale mette quindi a rischio il prodotto ittico 100% Made in Italy favorendo invece quello straniero di importazione, con gli arrivi dall’estero che nei primi undici mesi del 2021 sono aumentati del 25% in valore, secondo l’analisi Coldiretti su dati Istat.

Un trend che impatta sulle scelte a tavola degli italiani che mangiano circa 28 chili di pesce all’anno – conclude Coldiretti –, sopra la media europea anche se decisamente meno di altri Paesi con un’estensione di costa simile, come ad esempio il Portogallo, dove se ne consumano quasi 60 chili, praticamente il doppio.