“[..]La storia è creatrice di sensi. All’effimero della condizione umana, oppone il sentimento dell’eternità delle generazioni e delle tradizioni[..]”
(Dominique Venner)
E’ disponibile in tutte le librerie italiane “Storia e tradizione degli europei. 30.000 anni d’identità” di Dominique Venner. Il saggio, pubblicato dalle edizioni L’arco e la Corte, a cura di Manlio Triggiani e tradotto da Gaetano Marabello, è passato quasi in sordina. Una cosa inspiegabile, soprattutto in quegli ambienti “culturali” che dovrebbero leggere con maggiore attenzione gli scritti di Venner, invece di esaltarne solo la magniloquenza del Samurai d’Occidente. Insomma, analizzare attentamente le opere e capirne la personalità è ben altra cosa. Ma come spesso accade, per costoro, costruire attorno alla tragica fine di Dominique il solito panegirico che ne offende persino il ricordo, viene prima di tutto. Ma questo è un saggio in cui non vi è quasi traccia dell’ultimo atto, dello «scuotere le coscienze anestetizzate e risvegliare la memoria delle nostre origini». In particolare, è uno scritto che consigliamo ai tanti che non ne conoscono le opere, la sua passione per la Storia e, al contempo, le sfumature dello storico dal talento descrittivo e narrativo fuori dal comune.
Nell’Introduzione di Gaetano Marabello, sulla scorta di un articolo di Francesco Borgonovo pubblicato sul quotidiano La Verità del 1° ottobre 2018, intitolato “Ora difendiamo gli uomini mansueti e basta con la retorica del ribelle”, campeggia la solita querelle: Dominique Venner, il ribelle o il rivoluzionario? Borgonovo pare non avere dubbi. Secondo il giornalista, lo storico francese rientra nella folta schiera delle catalogazioni di una Destra dalle facili etichette, iscrivendolo di diritto all’albo dei rivoluzionari. Peccato che Venner, fosse sì cosciente delle peripezie travagliate della nostra epoca, leggendole tra l’altro con occhi sgombri e privo degli assilli ideologici della modernità; l’humus delle rivoluzioni del Secolo Breve. Uno dei tratti distintivi di Venner era il rifiuto dell’ordine dominante. I suoi valori non collimavano con quelli della modernità. La sua condotta umana, raffigurava la sua interiorità. A comprova di questo, basti pensare in che maniera fu a lungo ostracizzato perché contro ogni ortodossia. Anticonformista e lucido nel tratteggiare le peculiarità del «pensiero unico», messo al bando e spesso deriso dai parolai e dagli scribi benpensanti, disdegnava tutto ciò che cercavano gli altri. Dominique Venner, il cuore ribelle, sapeva dire ‘No’.
Finito questo piccolo e doveroso preambolo, è giunta l’ora di occuparci del saggio in questione. Pubblicato in Francia nel mese di febbraio del 2002 dalle Éditions du Rocher, “Histoire et tradition des européens: 30.000 ans d’identité”, mette in chiaro sin dalle prime pagine che non esiste una “Tradizione” dei popoli europei ma delle tradizioni. Le quali, fanno parte della nozione di Ethnos, intesa come una comunità caratterizzata da omogeneità di civiltà, lingua, storia, cultura, costumi, tradizioni e memorie storiche, stanziata tradizionalmente su un determinato territorio. Il punto di vista di Venner, impresso nella sua esposizione accattivante, è quello di uno «storico testimone dei suoi tempi». Dunque, la Storia e le tradizioni europee, fanno inevitabilmente parte di una comunità di cultura non riscontrabili «in alcun modo altrove». Le sue disamini, fanno breccia in un’epoca che ha come caratteristica principale il totale disconoscimento delle particolarità di un intero continente, vittima dello sradicamento, la patologia sociale dei nostri tempi. Ma per comprendere il caos in cui viviamo, occorre osservare le cose ponendosi dei quesiti importanti.
Da buon francese qual era, la domanda era scontata: cos’è la Francia? Da un punto di vista di chi crede in un’Europa molto diversa dalla burocratizzazione e dall’egida della finanziarizzazione dell’economia: cos’è l’Europa? Ma il nodo focale, l’assillo, era soprattutto l’interrogativo su cosa siamo e dove stiamo andando. Per Dominique Venner, l’Europa o si erge mediante una volontà di potenza, oppure, è destinata a perire per mano di uomini “snaturati”, senza più trarre la sua ricchezza dai popoli che la costituiscono. E l’unico modo che conosceva per esprimere il suo pensiero, era quello di viaggiare attraverso la Storia, mettendo in luce un patrimonio spirituale alla mercé dell’ideologia della mondializzazione che si fa beffe delle poesie omeriche, delle leggende celtiche e nordiche, dall’eredità romana, dell’immaginazione medievale e dell’amore cortese. L’obbiettivo di Dominique, possiamo riassumerlo con quello di fornire elementi utili per non precludere la possibilità a nessuno di intraprendere una ricerca autentica delle nostre tradizioni, riaffermando l’unico modo che conosciamo di «essere di fronte alla vita, alla morte, all’amore e al destino».
Spingendosi nei meandri della mitologia greca, in quella romana e nordica, assomiglia molto ad un invito a vivere pienamente «un certo tipo umano» che scorre nel profondo dei popoli europei. Da Achille a Ulisse che «esprimono un mondo interiore» ben al di là delle contestualizzazioni fornite da una certa storiografia. Discorrendo a lungo dei due eroi, dalle opposte passioni ma dalla stessa volontà che «attraversano il tempo sin dai poemi omerici», senza far altro che raccontarci in che modo abbiano dedicato la loro esistenza alla «costruzione di sé attraverso l’esercizio del corpo e dello spirito»; parlandoci, della Storia come noi la intendiamo, il «teatro della volontà» che è poi «un’invenzione europea» e non il frutto dell’eredità dell’esotismo del Settecento e dell’Ottocento; riaggiornato in continuazione, con ulteriori stilemi universali a tinta naïf. In questo saggio invece, l’Oriente ha la sua giusta collocazione, spoglio degli orpelli e dell’assimilazione delle peculiarità altrui: «Noi diciamo Oriente, ma l’oriente ha tutti i volti. L’Egitto non è la Cina, il mondo semitico non è quello dell’India», perché il substrato dei popoli della Terra è formato dalla pluralità dei popoli e dalle culture particolari. Nascoste da quella civilizzazione universale prima e dalle «culture multiple» dopo, tanto elogiate da Lévi-Strauss e dall’etnocentrismo che permea l’ideologia del progresso.
Nel paragrafo cui ha dato un titolo inequivocabile, “Tendenze suicide contemporanee”, al pari di una visione anticipatrice sul disastro che stiamo vivendo oggi, Venner pone l’accento su quelle pulsioni autolesioniste dei popoli europei, nel provare a darsi la morte con l’incensante suicidio collettivo: «Non esiste esempio storico di civiltà che abbia spinto a tal punto il rifiuto di sopravvivere e la volontà di sopprimersi». Uno dei lasciti delle due guerre mondiali che si intreccia con lo sviluppo borghese di un certo protestantesimo (vedasi anche i postulati di un certo cattolicesimo), assieme al mantra di una soteriologia dell’assoluzione dei peccati commessi per mezzo dell’espiazione perpetua, in ottica di una possibile redenzione e salvezza. Ma per uscire da questa dipendenza e dai residui delle utopie universaliste, «siamo costretti a uno sforzo intellettuale e spirituale all’altezza della sfida», badando a tutte quelle sfumature che neppure pensavamo. In particolare, approfondendo ed elaborando con nuove sintesi anche quell’ermeneutica creatrice già trattata da Mircea Eliade, fonte di ispirazione per il motivo che «svela interpretazioni che non si coglievano in precedenza» a causa della tendenza di trattare i problemi, con delle griglie interpretative-ideologiche sullo stato delle cose.
Ma il lungo viaggio di Venner, tiene conto dei 30.000 anni di cultura europea, dello spazio geografico dove si è sviluppata, antecedente persino alle testimonianze simboliche ed estetiche che troviamo nella grotta Chauvet, nella regione dell’Ardèche nel sud della Francia. Un filo conduttore che lega il racconto dei popoli indoeuropei alle specifiche delle personalità dei protagonisti dell’Iliade e dell’Odissea, per ciò che riguarda la linguistica da Émile Benveniste a Georges Dumézil, dai Túatha Dé Danann irlandesi al calderone celtico, dal viaggio di Pitea al mistero degli Iperborei etc. Giungendo, a termine della sua circumnavigazione ad epoche più recenti, a fare una comparazione delle vicissitudini dei “poemi fondatori” della cultura europea. Quali sono La Chanson de Roland scritta nella seconda metà del XI secolo con Omero, Achille, Priamo, Sigfrido, Ettore, «dell’eroe davanti al Destino», illustrandone l’essenza ed il celebre «sentimento di una comunità di destino». Fornendo una chiave di lettura che assomiglia al proseguimento di un lungo viaggio, in compagnia di Telemaco, uno sprono per il lettore a scoprire nuovamente le esperienze ed il valore del viaggio: i differenti significati di “essere” in relazione a noi ma di certo non “univoci”.
Roma è morta a causa delle sue conquiste, quando «i suoi imperatori hanno smesso di essere di origine romana» e gli stessi romani furono soppiantati da masse di immigrati provenienti da tutti i popoli conquistati, assimilando le tradizioni, le identità, le culture ed il senso del «Sacro». Passando senza accorgersene dall’ordine del cosmo alla mortificazione radicale dell’autosufficienza dell’uomo (unicum peccatorum), sancendo così l’inversione dei poli, dalla misura alla dismisura. In questo lavoro di Venner, uno dei più importanti, campeggia in guisa l’interlocutore molto preoccupato dalle dinamiche negative che hanno investito il Vecchio Continente. Il suo, vuole essere anche un invito a rileggere attentamente, l’ingiunzione delfica che recita “Conosci te stesso”. Dominique, lo storico che maneggiava con cautela ma consciamente i segreti della cavalleria, il senso della dignità e dell’onore, della lealtà e generosità, della cortesia e del donarsi all’etica del servizio, aveva indubbiamente una visione delle cose del mondo verticale. Riuscendo perfettamente a coniugare, le sue disamini sul nichilismo ed il saccheggio della natura, avvicendandole agli studi sulle opere di Huxley e Orwell, Guy Debord e gli scritti di Flora Montcorbier. Un cultore dai pensieri lunghi che lesse accuratamente “Le Communisme de Marché: De l’Utopie Marxiste a l’Utopie Mondialiste” della filosofa ed economista, inserendo in questo lavoro alcuni suoi spunti su «la fabbricazione degli zombi», la religione dell’Umanità d’Occidente e l’homo œconomicus dell’avvenire, per una rinnovata metafisica della storia. È intuibile che Dominique, riuscì a scorgere la ridiscesa di Hypnos e Thanatos, il Sonno e la Morte, pronti a condurre lo spirito d’Europa d’innanzi all’ultimo destino.
Storia e tradizione degli europei. 30.000 anni d’identità I Dominique Venner, traduzione a cura di Gaetano Marabello e con postfazione di Manlio Triggiani, L’arco e la Corte, Collana “Historiae”, pp. 278, euro 18.
(Francesco Marotta, “La storia delle tradizioni europee secondo il ribelle Dominique Venner”, https://www.barbadillo.it/, 30 gennaio 2021)