Sono passati poco meno di tre mesi da quando il boss italiano dei dolciumi al cioccolato, Giovanni Ferrero, aveva superato Mark Zuckerberg nella classifica Bloomberg degli uomini più abbienti al mondo conquistandosi il ventunesimo posto con i suoi 38,6 miliardi di dollari, eppure, malgrado la situazione ora si sia capovolta nuovamente a vantaggio del creatore di Meta, la crescita dell’imprenditore italiano non si è minimamente arrestata, anzi.
Analizzandola in forza dei soli numeri, ne risulta già un bilancio positivo con oltre 4 miliardi di ricchezza in più, ad oggi. Prendendo in considerazione anche il percorso intrapreso dall’ex CEO ora Presidente esecutivo della compagnia, il tesoro cresce: da quando è rimasto da solo al timone, in seguito alla morte del fratello Pietro in Sud Africa nel 2011, Ferrero ha messo da parte un discreto “gruzzoletto” per finalizzare sei nuove importanti acquisizioni in un oceano di cui è marinaio esperto – il settore dolciario. Con un investimento di quasi 2 miliardi di dollari e una fusione di società confluite nella CTH Invest, Ferrero ha rilevato aziende in giro per il mondo, partendo dall’americana Ferrara Candy (marchio produttore delle caramelle Trolli, giusto per capirci) e della parte dolciaria di Nestlé, fermandosi poi in Belgio per assimilare i rinomati biscotti da tè Delacre e in Danimarca per acquisire la Royal Dansk, madre dei frollini al burro nella loro famosa scatola di latta blu (dove la nonna tiene il materiale da cucito), e ripartendo per andare ancora più a nord, dove la cultura del tè è più radicata e tale è anche la sua accoppiata con i biscotti della Fox’s -nel Regno Unito, rifacendosi qui anche sulle barrette Eat Natural.
Malgrado abbia differenziato leggermente il suo campo d’azione, spostando il suo interesse principale dai prodotti al cioccolato estremamente redditizi ai dolciumi in forma più generale, l’indice di sviluppo della sua rete commerciale sembra ottimistico. Se da un lato, infatti, i prodotti dei nuovi accorpamenti sono largamente diffusi, dall’altro i grandi classici Ferrero e Kinder sono molto più remunerativi in termini tanto economici quanto di immediatezza mediatica: basti pensare alla Nutella, epopea dell’azienda e famosissima da un capo all’altro del mondo, talmente iconica da superare i numerosi momenti difficili del mercato sin dal 1964, anno della sua commercializzazione per mano del padre dell’attuale chairman, Michele Ferrero, e del suo collaboratore William Salice. Al 2018 la società deteneva il 13.5% del segmento del cioccolato a livello globale e il lockdown del 2020 non ha intaccato la sua corsa al fatturato, alimentandola piuttosto con tanto latte, cacao e nocciole.
Ma fermiamoci un attimo. Osservando la classifica Bloomberg sopracitata, non si può ignorare la tendenza che la domina: oltre la metà delle figure al suo vertice sono rinomate e ricche per le loro innovazioni nel campo della tecnologia., un ambito che smuove ingenti capitali. Lo stesso Zuckerberg può essere definito come il pioniere dei social network come li conosciamo oggi, il quale ha basato la sua fortuna su un modello di piattaforma virtuale di interazione che ha saputo cogliere la stella cometa guida della società al momento della creazione di Facebook e poi di Instagram. Ma allora cosa ha permesso lo strabiliante successo di un’impresa del settore Food & Beverage nata come pasticceria di famiglia?
La risposta è tanto semplice quanto difficile è stato metterla in pratica con così tanto favore dei consumatori: fortemente promossa da Michele Ferrero, da sempre uno dei principali valori della ditta italiana è stata la ricerca, coniugata con l’innovazione e un concept globale, a discapito di un ingrandimento societario agevolato dall’acquisizione dei competitors tipico delle multinazionali. La storia dei prodotti marchiati Ferrero e Kinder, infatti, comprende vari intramontabili oltre la Nutella, quali il Ferrero Rocher, il Kinder Sorpresa, riconducibile ai ricordi più belli dell’infanzia di molti italiani, il Pocket Coffee, i Raffaello e così via; si tratta di prodotti originali creati ad hoc che negli anni sono stati diversificati e declinati in molte versioni per far fronte alle esigenze del pubblico (in versione dark, light, liquida, solida, ecc.), arrivando ad essere riprodotti anche sotto forma di gelati per la prima volta nel 2018. Quindi l’affermata strategia – finora performante – del Gruppo Ferrero di scommettere su pochi (ma gustosissimi) brand che possiedono l’approvazione dei mercati è ancora percepibile nei loro ultimi movimenti di espansione? Non c’è una risposta precisa (ancora). Data l’impronta globale che l’impresa ha sempre voluto trasmettere, attaccata all’Italia per la secolare cultura del buon cibo e dei valori familiari, al contempo staccata dal bel Paese per il lancio di un’idea di imprenditorialità non legata al Made in Italy, è lecito chiedersi come e quando la società svolterà ad un bivio rispetto all’originale credo di Michele Ferrero, perché il “se” sembra essere già stato deciso.
Luisa Burdino