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Società

Edoardo Agnelli, il figlio sbagliato, il figlio amato. -seconda parte-

Immerso fino al collo nello studio teologico, Edoardo fece esperienza di ogni fede o filosofia sulla faccia della terra, incappando nell’Islam sciita propugnato da Khomeini, che per qualche ragione lo interessava più di altri rami muslim. Fu così che egli venne immortalato durante un incontro pubblico di fedeli a Teheran, scatenando ipotesi su una sua conversione; circostanza data per certa in quel paese e presso alcune loro comunità in Italia, che organizzano pellegrinaggi sulla sua tomba, o almeno ci provano. In realtà Edoardo non ha mai fatto dichiarazioni in tal senso e non è uscito un certificato di conversione, unica forma di attestato che potrebbe confermare tale scelta, unitamente a quello di sbattezzo cattolico.

Le tesi cospirazioniste vorrebbero dunque che il supposto neofita Agnelli sia stato ucciso per questa scomoda adesione, da un ramo ebraico di parenti. Seppure volessimo ragionare in termini di cinismo, gli Elkann avevano già le mani sul potere: poteva far loro paura questo parente emarginato, solo perché ogni tanto esternava contro la globalizzazione e la disumanizzazione mondiale? O perché aveva criticato le decisioni prese all’indomani della tragedia dell’Heysel, risalente ormai al 1985?

Secondo altri orientamenti, il giovane aveva ereditato una vena di fragilità presente nel ramo paterno. Infatti lo zio Giorgio, fratello di Gianni, morì suicida nel 1965 in una clinica psichiatrica. Sulla vicenda qualcuno, nel tempo, ha insistito si sia trattato di morte in circostanze poco chiare.

Due tesi contrapposte

A favore della tesi del suicidio di Edoardo sussistono molti elementi. Per cominciare, come detto, Edoardo era amareggiato dal mobbing familiare, pur se magari attenuato dall’affetto di qualche parente più sensibile; era generalmente accreditato come lo “spostato” di famiglia e questa reputazione varcava i confini nazionali, per cui avrebbe ben potuto minarlo nel morale. Il Corriere della Sera in un articolo lo chiamò “crazy Eddy”.

Se si guardano poi le immagini degli ultimi anni, la sua trasformazione fisica è inquietante. Su un soggetto come lui, alto circa uno e novanta, un aumento di peso si mostrava subito nella sua appariscenza, e l’interessato si abbigliava, nelle rare uscite ufficiali, come una figura ottocentesca, uscita da un racconto di Edgar Alla Poe. Non dava l’impressione di una persona sana, dentro e fuori.

Ci dicono che in quell’autunno egli fosse reduce da una battuta di caccia in Scozia, particolare che striderebbe con l’immagine di un soggetto descritto vicino alle sensibilità ambientaliste e amante degli animali; durante tale attività si sarebbe infortunato a una caviglia.

Secondo la vulgata, il 15 novembre 2000 egli esce con la sua Fiat Croma dalla villa sulle colline torinesi, senza scorta. I teorici del complotto osservano che la scorta avrebbe dovuto accompagnarlo sempre, ma a noi tale asserzione sembra discutibile. Una cugina sostiene che lui si divertiva a sgattaiolare seminando i “gorilla”; altri affermano invece che i bodyguard avevano l’ordine tassativo, da parte di Gianni e Marella, di non mollarlo mai. Nessuno che non le conosca, però, è in grado di afferrare le dinamiche che sovrintendono a queste gerarchie. Parliamo di un individuo di 46 anni, non di un bambino: se avesse intimato ai guardaspalle di starsene a casa, costoro avrebbero osato disobbedirgli? Erano questi signori (ex appartenenti alle forze dell’ordine) così certi di poter opporgli un rifiuto senza rischiare la sua collera?

L’autopsia. Sappiamo che essa non fu effettuata, a favore di un cosiddetto esame necroscopico effettuato, pare, da un medico di fiducia della famiglia. Sembra tutto irrituale, ma parliamo di un ceto di notevole esposizione; è normale che il clan sia intervenuto per limitare i danni di immagine, visto che poi tutto portava ad accreditare l’atto anticonservativo ed esisteva il rischio che emergesse l’uso di sostanze o farmaci estremi.

Nel rapporto sarebbero errati peso e altezza della salma. Abbiamo ascoltato altre volte di dati non congruenti e anche noi saremmo curiosi di sapere perché questo a volte accade. Nondimeno succede, quando si tratta di personaggi famosi, che per evitare speculazioni si scrivano relazioni frettolose, ma si tratta di elementi ininfluenti sulla verità sostanziale. In questo caso, buttato o auto – precipitato, la circostanza non sposterebbe il problema. La stessa osservazione vale per scarpe e bretelle. Edoardo indossava dei mocassini che furono trovati perfettamente calzati, così come ben agganciate stavano le sue amate bretelle. Se di caduta si tratta, poco importa chi l’abbia provocata, sotto questo profilo. Di più, potrebbe essere stato pietosamente ricomposto prima delle fotografie

Il viadotto. ” quel viadotto portava il nome di un indimenticato generale dei Carabinieri, Franco Romano, precipitato nell’elicottero su cui viaggiava nel dicembre 1998. Il generale… era amico di Edoardo” (lospiffero.com).

Quel tratto autostradale, a quell’ora, è (o almeno, era allora) scarsamente battuto, secondo la generalità degli osservatori, ma tutto sta a capire cosa si intenda per ridotta frequenza; o se non vada analizzato, piuttosto, il volume medio di passaggio, vagliando quante probabilità ci fossero di attuare un’azione senza essere intercettati da un mezzo in transito. Anche sotto questo aspetto, vale quanto detto per gli indumenti: è un elemento che non discrimina tra atto autoinflitto o provocato. I fautori del complotto rilevano che Edoardo, appesantito e claudicante per l’infortunio scozzese, senza il fedele bastone (lasciato nell’abitacolo) avrebbe faticato non poco per scavalcare la barriera New Jersey e il modulare in metallo. Si tratta di un manufatto di un metro e cinquantatré, non proibitivo vista l’altezza di lui. Una volta sollevata una gamba, era sufficiente lasciarsi cadere. Il corpo fu trovato sull’ortogonale. Il bastone accompagna Edoardo fin dalle foto giovanili e per molti era un vezzo.

Tuttavia anche in caso di omicidio, anzi forse di più, si pone lo stesso problema: sollevare Edoardo (ci volevano minimo due persone), fosse pure già stordito, e scaricarlo oltre l’ostacolo avrebbe implicato un certo tempo e una visibilità anche maggiore.

Ancora, non si raggiunge una conclusione parlando dell’orario della precipitazione. Un mandriano che da quelle parti pasturava i bovini, poco lontano dai piloni, ha testimoniato di aver notato il corpo già verso le otto e trenta, descrivendolo non particolarmente martoriato e appena sanguinante dalla bocca, ma non avrebbe visto le modalità di precipizio. Se l’orario ufficiale è poi stato fissato alle dieci o oltre, ciò può essere dipeso da altri fattori, come il momento della scoperta ufficiale, dato per convenzionale.

Altra obiezione di chi non crede al suicidio: Edoardo era un grafomane, ma non ha lasciato nulla di scritto. Non è poi detto che l’uomo sentisse il bisogno di comunicare alcunché: aveva già “salutato” tutti quelli che gli stavano a cuore per telefono, pur senza precisare che si trattava di un addio. In mattinata risulta anche una comunicazione col papà, tentata o riuscita non è chiaro. In generale, non tutti i suicidi scrivono righe di commiato.

Carmen Gueye

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