Qualche decennio fa si inaugurò un programma per la ricerca di persone in difficoltà, in onda su Rai Tre. Si chiamava “Posto Pubblico nel verde”, lo presentava Donatella Raffai ed è considerato antesignano del successivo “Chi l’ha Visto?”.
Quest’ultimo iniziò nel 1989, presentato dalla stessa Raffai con Paolo Guzzanti, poi da lei sola, di nuovo in coppia (con l’avvocato Di Majo) e via via in seguito condotto da altri, fino ad arrivare a Federica Sciarelli, che se lo tiene stretto dal 2004.
In seguito il format prese una piega più ”Augias/Leosini”, da giornalismo investigativo, entrando nella cronaca nera, fino a giungere a occuparsi dei grandi gialli irrisolti del passato. Oggi, su questo versante, ogni sorta di canale offre filmati, repliche, documentari e servizi “alternativi”, che tali poi non sono più che tanto.
Molti casi forse ricevono una sana spinta dallo stimolo giornalistico, altri meno, secondo anche il livello di pruriginosità del fatto, con più o meno sesso, faide familiari, droga, mafia. Il tutto viene ripreso da altri programmi “contenitore” in settimana.
Sopraggiungono sempre “grandi novità”, intercettazioni telefoniche di cui gli interessati sono perfettamente a conoscenza e che ci chiediamo su quali basi vengano date in pasto alla platea (diritto di cronaca batte privacy? Tutti d’accordo?)
Fino agli anni ottanta la giustizia, tra l’altro ancora sprovvista delle moderne tecniche sul DNA, che tutto dovrebbe illuminare, lavorava come poteva. Molti casi irrisolti sono stati ripescati e denominati “cold cases” (letteralmente tradotto, casi freddi).
Si è proceduto a rimetterci le mani, se si trovava qualche investigatore di buona volontà o un familiare ancora in vita e ostinato, potente, interessato, comunque motivato; sempreché nei depositi giudiziari si rinvenisse ancora qualche reperto in condizioni tali da essere analizzato e confrontato. Ma alcuni misteri restano tali.
Eccoci dunque al caso di Ettore Majorana, fisico/ingegnere eclettico, nato a Catania nel 1906 e sparito nel 1938, approdato a “Chi l’ha visto?” per “clamorose scoperte”.
La vicenda è nota. Ettore era un genio in una famiglia di eccellenze, ma si differenziò sempre dal resto dei parenti per il carattere ombroso, forse talora perfino scostante, l’indole riservatissima, una ”beautiful mind”, con tutti i vantaggi e gli oneri di tale condizione.
Naturalmente è impossibile, da profani, addentrarsi nella natura dei suoi lavori, per confrontarli con quelli di illustri colleghi e valutare le divergenze professionali con gli altri “ragazzi di via Panisperna”.
Tuttavia lo abbiamo definito eclettico non a caso poiché, specialmente negli ultimi anni della sua breve vita, Ettore si interessava molto ad altre discipline, non strettamente legate alle sue materie professionali.
Tornato alla ribalta a partire dagli anni novanta, l’enigma dello scienziato scomparso in realtà non è stato affatto risolto e, anzi, si sono aggiunti elementi inquietanti. Se esistono discendenti di quella famiglia, non fanno più sentire la loro voce, pertanto tutto si basa su vecchie testimonianze.
Spiace dover riconoscere che, anche tra le menti superiori della scienza, allignano invidie, malumori, conflitti, ma si tratta di umani e dunque ciò accade. Per uno spettatore che sa poco o nulla di intrighi tra scienziati e beghe sui protoni, solo alcuni punti appaiono cruciali, a prima vista.
In via Panisperna e in ambito universitario gli attriti per carriera non mancavano e Majorana non era affatto contento della piega presa dalla propria. A quanto pare, contrasti sui risultati delle ricerche e sul modo di divulgarle erano emersi soprattutto con Enrico Fermi, soprannominato “il papa”; mentre, a far saltare, per Majorana, eventuali ambizioni di cattedra nella capitale, ci aveva pensato addirittura Giovanni Gentile, che aveva manovrato per l’avanzamento del proprio figlio Giovanni Jr.
Majorana, nel corso delle sue ricerche, aveva vissuto in Germania; qualcuno, tuttora, ritiene non fosse affatto contrariato dal nazismo e lo descrive in empatia con i colleghi tedeschi e le loro scoperte in campo atomico. Resta sempre l’eccentricità della sua figura, a complicare la comprensione degli eventi. Nulla si conosce della sua vita privata; trascorse diversi anni praticamente segregato in casa a studiare, dimenticando perfino di tagliarsi i capelli; non amava restasse per iscritto molto di quello che andava dicendo o scoprendo. Non ritirava lo stipendio, era un fratello a versarglielo in banca.
Tutto inizia il 25 marzo del 1938 e qui è d’obbligo il condizionale. Ettore Majorana avrebbe spedito una lettera al professore Antonio Carrelli, direttore dell’Istituto di Fisica di Napoli, dove Majorana era finito suo malgrado, nella quale comunicava l’intenzione di togliersi la vita. Sul tavolo del suo alloggio, presso l’albergo partenopeo “Bologna”, avrebbe lasciato un’altra lettera indirizzata alla sua famiglia, con cui chiedeva ai suoi familiari di non portare il lutto per più di tre giorni. Però avrebbe fatto una cosa strana, non da lui: ritirare lo stipendio.
Si sarebbe poi imbarcato sul piroscafo “Postale”, ma non esistono conferme; invece il giorno dopo, da Palermo, avrebbe scritto, su carta intestata, una seconda lettera a Carrelli, dove lo informava che sarebbe tornato a Napoli il giorno dopo perché “il mare mi ha rifiutato”; e avrebbe inviato, sempre a Carrelli, un telegramma con il quale chiedeva di non tenere conto della lettera scritta quando ancora era a Napoli. La sua presenza nuovamente sul “Postale” che riparte da Palermo per Napoli è controversa, le testimonianze sono incerte. E, infine, su tutti quegli scritti, furono eseguite perizie grafologiche? La famiglia suggerì la pista conventuale, che portò ai soliti avvistamenti discutibili.
Su una personalità di tale levatura, non potevano che scatenarsi congetture di elevato spessore neuronico. Pare che un fisico ucraino ne abbia elaborata una, la “sparizione quantistica”, che arriva al paradosso del “gatto di Schrödinger”: Majorana avrebbe inteso contemporaneamente essere e non essere, assecondando una tendenza da personaggio pirandelliano. C’è poi chi ha parlato di fuga in Sudamerica, con qualche amico nazista: nel qual caso Ettore sarebbe abilmente sfuggito alla caccia spietata di Simon Wiesenthal, segnalato in quel periodo nei paraggi, in cerca anche di ex nazisti additati quali amici di Ettore.
Enrico Fermi, sulla scomparsa del collega, si attestava sulla razionalità estrema: ci sono tutti gli indizi di tendenze anticonservative, le premesse di una personalità in bilico, precedenti specifici di scienziati suicidi e la spiccata intelligenza necessaria per sparire nel nulla, con una sofisticata macchinazione che solo un intelletto raffinato può concepire e attuare.
Se fossero veri gli avvistamenti, il fisico sarebbe vissuto ancora decenni senza essere “scoperto”. Come abbiamo visto, di certo non v’è nulla, suicidio compreso, che potrebbe essere stato inscenato adombrando un omicidio, essendo lo scienziato al centro di interessi nevralgici per le sorti dell’umanità. A noi è sempre piaciuto immaginarlo in fuga volontaria, in qualche luogo sperduto che ben pochi, in possesso di cognizioni approfondite, potevano allora conoscere.
Con un salto di quarant’anni arriviamo alla scomparsa, nel 1987, dell’economista di fama Federico Caffè. Insigne cattedratico, nato a Pescara nel 1914, maestro/mentore di Draghi e Visco, egli era forse, nella vita, meno problematico del fisico siciliano, ma si sa che negli ultimi tempi era rimasto colpito dalla lettura del libro di Leonardo Sciascia “La scomparsa di Majorana”; e, di più, faceva strani discorsi, in apparenza del tutto campati in aria, per esempio sulle proprie difficoltà finanziarie. In teoria non gli mancava nulla, non era sposato, viveva con il fratello.
Quest’ultimo non si accorse di alcunché, pur dormendo nella stessa abitazione, quando la mattina del 15 aprile trovò che Federico era scomparso, lasciando in casa effetti personali, tra cui gli occhiali, che, come si nota in molte foto, gli erano indispensabili.
Era cresciuto, nello studioso, un certo sconforto per l’abbrivio disinvolto che l’economia aveva preso e, dunque, per il totale disinteresse verso la sua linea “solidaristica”. Il parallelo con Ettore fu facile, anche se forse un po’ azzardato. Majorana aveva 32 anni e ancora aspettative, seppur ben celate dalla sua riservatezza; Caffè, passata la settantina, era probabilmente caduto in depressione.
Tuttavia dalla Napoli degli anni trenta, dove si persero le tracce di Majorana, alla Roma degli anni ottanta, qualcosa era pur cambiato. Fu organizzata, inutilmente, una ricerca a tappeto dai suoi studenti.
La sparizione volontaria con intenti suicidari, finalizzata a non essere mai svelata, di un adulto lucido, di casta intellettuale superiore, famoso e autorevole, (che quindi non passerà inosservata) dovrebbe essere, giocoforza, frutto di una programmazione; implicherebbe la tenuta di una prolungata volontà autodistruttiva, che viceversa, in genere, ci dicono, dura un tempo relativamente breve e sfocia in gesti plateali (defenestrazione, colpo di pistola, annegamento). Nel caso in questione non è da escludere un aiuto esterno, magari nascondendo il fine ultimo della fuga: il sedentario studioso non avrebbe potuto fare tutto da solo, nemmeno buttarsi a Tevere.
Caffè, uomo discreto, era stato ascoltato amareggiarsi per la tipologia di suicidio scelta da Primo Levi, dolorosa per i parenti e “pulp“: lui, casomai, lo avrebbe fatto con discrezione. Le date inquietano. Levi si tolse la vita l’11 aprile 1987, Caffè sparì quattro giorni dopo, mai ritrovato.
Menti superiori, appunto beautiful mind : difficile capirli.
Carmen Gueye