Norma Jean Baker Mortensen nacque nel 1926 a Los Angeles. La famiglia si presentava già ingarbugliata, come più o meno si legge in quasi tutte le biografie degli attori americani.
La mamma Gladys Monroe, ancora molto giovane, aveva già alle spalle un primo matrimonio e due figli con il sig. Baker, e un secondo in via di fallimento con tale Mortensen (o Mortenson), quando nacque questa bimba bionda e graziosa. La paternità è incerta: si trattava probabilmente di un collega della madre, tale Stanley Gifford, già sposato e in fuga da grane extraconiugali.

Gladys soffriva di disturbi nervosi, ma non è vero che non capisse più nulla. Forse non diede molto affetto a quella figlia “scomoda”, ma fu aggiornata, più o meno con regolarità, sulle sue vicende. Norma e la sorellastra Bernice si frequentavano e si sentivano.

Finché esse furono ragazze si tenevano di tanto in tanto riunioni di famiglia con zii e cugini (il fratellastro era morto giovanissimo): in qualche modo, molto americano, esisteva una famiglia. Norma aveva anche una nipotina, Mona Rae, figlia di Bernice. La ragazza e la madre furono ospiti, anni fa, di un programma italiano, e diversi parenti e amici fecero lo stesso, segno di un interesse davvero spiccato del nostro paese verso la bionda delle bionde. Le fu attribuito un David di Donatello nel 1959; lei andò a ritirarlo all’ambasciata italiana a New York, imbambolata dai complimenti nella nostra lingua, nonostante gli sforzi di Ruggero Orlando per metterla a suo agio. Le consegnò il premio e le tradusse le congratulazioni una Anna Magnani inviperita dall’eccessiva attenzione verso la Monroe, suggerendole di rispondere: grazie, sono commossa.

Una volta arrivata al successo Norma pagava puntuale la retta del ricovero dove la madre viveva. Dopo la prematura scomparsa della figlia, Gladys cercò di fuggire dall’istituto per cercarne la tomba, anche se non riuscì a trovarla; espresse disappunto per la carriera di Marylin, che lei non aveva mai approvato. Aveva lavorato come operaia, addetta alle pellicole, nell’industria del cinema e quello che ne sapeva in proposito non le era mai piaciuto.
La piccola Norma fu sottratta alla madre dai servizi sociali per darla in affido a famiglie che ricevevano un contributo per ogni bambino, monitorate da un supervisore a tutela: una sua tutrice, Grace McKee, morì suicida. Si possono facilmente immaginare un’infanzia e un’adolescenza difficili.
E’ stato detto che la ragazzina fu molestata proprio dal marito della McKee, Marilyn lo lasciò credere: vero? Fu costretta a fare la serva di queste famiglie affidatarie, come lamentò in tante interviste e confidenze private?
Sul fronte scolastico Norma Jean era una studentessa svogliata e poco incentivata, ovviamente, a continuare e le piaceva solo giocare a soft ball; in seguito divenne una lettrice appassionata, si portava sul set borse pieni di libri e qualcuno la accusò di posare a impegnata.
Nell’ultima di queste famiglie, come spesso accade negli States, i “genitori” dovevano cambiare residenza, trasferirsi lontano: fu deciso di mandare la ragazza in un istituto per orfani o ragazze sole, a meno di non trovarle un marito così, a tavolino.
Infine la ragazza non aveva grandi alternative alle nozze un po’ forzose, ma probabilmente si piegò di buon grado, un po’ rassegnata e un po’ incuriosita dal candidato marito, che in fondo era un bel ragazzo e un tipo a posto.

Lei non commentò mai più di tanto il primo matrimonio; lo ha fatto lui, Jim Dougherty, la prima volta negli anni ’70, su pressione di giornalisti e biografi e una volta divorziato dalla seconda moglie, gelosa di quella ingombrante ex; fu anche ospite di Paolo Limiti, nel 1997.
Jim, operaio alla Lockheed, di qualche anno maggiore di Norma, tenne a dire che lei arrivò vergine al matrimonio; che aveva un carattere allegro e vivace e non sembrava affatto quel groviglio di nodi come venne descritta in seguito; non pareva traumatizzata da qualcosa e gli inizi furono felici. La madre gli aveva proposto il matrimonio con quella ragazzina. Lui la conosceva, per averla portata a ballare qualche volta, senza seguiti ulteriori o romantici: probabilmente le famiglie già tramavano. Gli venne detto che, se non l’avesse sposata, la poverina sarebbe tornata in orfanotrofio e lui accettò senza esitare. Norma, in abito bianco, andò all’altare a sedici anni. Era il 1942 e il ragazzo si ritrovò distaccato nel Pacifico per la guerra in corso. Della vita in comune racconta con serenità, descrivendo due giovani allegri e un po’ incoscienti di essere realmente sposati, anche se parlarono di avere un figlio.
Lei andò a lavorare in una fabbrica per la verniciatura di aerei, dove aveva come collega il futuro divo Robert Mitchum (reciteranno insieme in “La magnifica preda”); incontrò un fotografo, André De Dienes, che la convinse di essere fotogenica e la fece posare per le riviste. Norma si concesse una divagazione extraconiugale con André e nel 1946 chiese il divorzio, parlando a Jim delle sue ambizioni attoriali. Lui incassò: il suo dovere, l’aveva fatto e un grande amore non era riuscito a sbocciare, Attore amatoriale, nel firmare le carte scherzò “credevo di essere io il divo di casa”. In seguito Dougherty entrò in polizia, dove rimase fino alla pensione; ha scritto qualcosa su di lei, già in là con gli anni, ma non ha mai speculato su quel pezzo di vita in comune con l’idolo sessuale degli americani.
Era l’epoca del boogie – woogie. In campo cinematografico i divi del momento erano Ingrid Bergman e Gary Cooper, dopo il declinante Clark Gable, intristito dalla vedovanza. Bette Davis e Joan Crawford, ancora gagliarde e in attività, guardavano tuttavia l’imbocco del viale del tramonto e l’arrivo delle nascenti stelle, la svedese Ingrid Bergman e la fulgida bellezza del sud Ava Gardner. Sempre in gran spolvero era Humphrey Bogart. John Wayne cavalcava impavido. Nel 1937 era mancata a ventisei anni, in mezzo a chiacchiere infami, la prima bionda “esplosiva”, attrice brillante sempre ricordata Jean Harlow: ne serviva un’altra.
Norma Jean entrò così nel grande circo, anche se l’abbrivio è tuttora incerto. Qualcuno segue la versione “normale”, secondo cui le foto di De Dienes furono notate dai talent scout; così sarebbero arrivati gli ingaggi pubblicitari, con qualche immagine più osé, come quella di lei nuda su sfondo rosso, ma tutto sommato il percorso era in linea. Qualche uomo potente l’aveva aiutata; si facevano i nomi del produttore Johnny Hide e del regista Elia “ Gadge” Kazan. Il primo voleva mollare la famiglia e sposarla: anche per il rifiuto della ragazza si dice abbia accusato un declino fisico che lo portò alla morte. Lei gli doveva il biglietto d’ingresso nell’olimpo di Hollywood e ne pianse la scomparsa.
Esiste il versante più piccante sulla sua ascesa. Si dice che Marilyn abbia fatto la squillo; sia andata con tutti quelli che a Hollywood contavano; che abbia abortito un sacco di volte, a causa della frenetica attività sessuale e perfino avuto un figlio segreto, ipotesi che si è ripetuta nel tempo con asfissiante costanza e scarse probabilità di essere veritiera. Un giorno sbottò a buon diritto, in un’intervista, sulla sua presunta “disponibilità” al sesso, soprattutto con i produttori. Sostenne, con ragione, che la pratica era diffusa e molti la negavano per ipocrisia.
Mentre si metteva a punto la sua immagine, la giovane fu ribattezzata Marylin Monroe. Il cognome fu preso dalla famiglia materna; sul nome ci sono varie ipotesi, ma si propende per un’ispirazione derivata dalla figura di Marilyn Miller, un’artista morta a sua volta prematuramente. Nella vita l’interessata si firmava, talvolta, con il cognome di entrambi i padri che non erano i suoi, Baker Mortensen, e sperava sempre, per quello che se ne sa, di incontrare quello vero; raccontò in giro che era riuscita a vederlo e lui l’aveva rifiutata, ma questa è considerata da tutti un’invenzione, anche se di recente sono spuntati degli scritti attribuiti a Gifford, apparentemente diretti a una Marilyn.
Pare che il principe Ranieri di Monaco l’avesse considerata come eventuale sua sposa. L’attrice avrebbe risposto all’intermediario (Aristotile Onassis) che era lusingata, ma non sapeva neppure dove fosse Monaco. Più tardi non esitò a congratularsi con Grace Kelly.
Sulla modifica dei suoi lineamenti dal chirurgo plastico si è detto molto. Naso rialzato? E il mento, gli zigomi? Lo facevano tutti. Solo la Bergman rifiutò di farsi toccare. Certamente la Monroe portò una grande novità nel cinema, copiata anche in Europa: il sedere. Fino ad allora questo attributo veniva considerato volgare, e sacrificato, nelle inquadrature, a favore del seno, più materno. Le attrici, fino agli anni ’40, camminano con vestiti ampi, dove tutto può essere, ma non è evidenziato. In “Niagara”, del 1952, lei entra in scena addirittura di spalle e si vedono solo queste due natiche, definite “due cagnolini che lottano sotto un lenzuolo”. In seguito, si è demistificato anche questo suo attributo e qualcuno ha insinuato che il suo lato “b” fosse un po’ artefatto. Quanto a lei, cercava sempre di eludere la censura e le regole dell’abbigliamento.
Le majors imponevano clausole contrattuali a piacimento e potevano licenziare con una certa facilità. Marilyn si tirò dietro, per diversi anni, un contratto con la Fox alquanto svantaggioso economicamente. Nel 1947 aveva subito un licenziamento per aver flirtato con il fidanzato della figlia del capo, Darryl Zanuck, col pretesto che non ci fossero ruoli adatti, e faticò a riguadagnarsi un posto. Il primo film dove si trova accreditata la sua presenza è ”Scudda hoo Scudda Hay”, storia di un contadino e del suo allevamento di muli; la sua parte fu tagliata e rimane solo un’inquadratura dove lei saluta.
La prima fase della carriera della Monroe era stata simile a tante altre: particine, poi ruoli sempre più lunghi – e capelli sempre più biondi – con protagonisti sempre più famosi.

E’ evidente che di questa bella figliola, perfino un po’ pacioccona, all’inizio non si sapeva bene che fare. Interpretò la femme fatale, la pazza furiosa, la monella, la fidanzatina, modificando di continuo stile, atteggiamento, movenze. A insegnarle un po’ il mestiere fu Natasha Lytess, ex attrice tedesca, divorziata con una figlia e, secondo molti, sua amante.
Natasha le consigliò le giuste letture professionali e l’atteggiamento da tenere dentro e fuori scena, ma un bel giorno venne licenziata. Naturalmente anche su questo episodio si è favoleggiato e costruito versioni differenti. La sola certezza è che Monroe tagliò i rapporti e la Lytess tornò in Europa. Probabilmente, mentre era in corso l’operazione di ascesa del nuovo sex symbol di Hollywood, gli studios non volevano di mezzo strane figure mitteleuropee. A quel punto I buoni registi non le mancarono, le sceneggiature le venivano disegnate addosso.
La ragazza voleva diventare un’attrice migliore e la natia Los Angeles l’aveva stordita. Si trasferì a New York quasi di nascosto, viaggiò con il nome di Zelda Zonk e si iscrisse all’Actor’s Studio, stellare scuola di recitazione dei coniugi Strasberg, da cui sono passati tutti i divi di allora.
I suoi film mostrano un’evoluzione, dalle stucchevoli espressioni accademiche inculcategli dalla Lytess, allo sgrezzamento dell’Actor’s Studio con il metodo Stanislavskij : il monologo in “Fermata d’autobus” è coinvolgente e sembra autobiografico. Non dello stesso parere apparve il divino Laurence Olivier, quando la diresse ne “Il principe e la ballerina” di cui era anche protagonista maschile: si mostrò inviperito per i capricci all’americana di Marilyn, che irritarono la troupe regalmente anglosassone, e per le interferenze di Paula Strasberg, che aveva seguito la sua pupilla in Inghilterra e le suggeriva anche il tono dei respiri. Durante le riprese arrivò la visita della regina Elisabetta, che salutò tutti ma indugiò davanti a lei, una coetanea dalla vita uguale e contraria. Kenneth Branagh ha girato un film su questa esperienza londinese, che getta nuova luce sulla vita dell’attrice.
Sono passate alla storia le interminabili sedute necessarie quando Marylin non ricordava, o fingeva di non ricordarsi, le battute, mentre i partner sbuffavano (o perdevano occasioni di lavoro) e la produzione sperperava migliaia di dollari. Il regista Billy Wilder dichiarò che, dopo aver lavorato con lei, desiderava picchiare tutte le donne.
Marilyn fumava, beveva, prendeva droghe?
Alle sigarette non era particolarmente affezionata e smise verso i trent’anni, presumibilmente a favore di cose diverse e che le servivano allo scopo: stare sveglia, dormire, fare bella figura ai party. Pillole e alcool erano senza dubbio suoi fedeli compagni ma, nell’ambiente, questo connubio era diffuso.
La ricordano accanita nudista, quando la situazione lo consentiva; dipendente dall’analisi (cambiò molti terapeuti e fu ricoverata almeno una volta); poco puntuale, anzi ritardataria cronica, ai limiti della villania; brava ballerina nella vita privata, meno in scena; poco amante dei viaggi. Non si muoveva quasi mai dal suo perimetro abituale, Los Angeles, Tijuana, i casinò del Nevada, se non per lavoro. Va detto che, le rare volte che lo fece, ebbe difficoltà sul fronte della stabilità psicologica. C’erano problemi per procurarsi sonniferi e tranquillanti e lei scalpitava.
Commetteva piccole infrazioni, come la guida senza patente, senza preoccuparsene: ci avrebbero pensato agli amici a rimediare. Svegliava la gente nel cuore della notte per parlare o il suo massaggiatore per un trattamento; peraltro era generosa nel ricambiare e si ricordava sempre delle ricorrenze.
Per la cronaca, le domestiche hanno “rivelato” che lei non amava “arginare” il ciclo mensile con assorbenti e non si asteneva da flatulenze: rivelazioni che non aggiungono nulla al mito.
Di recente sono state “sdoganate” registrazioni delle sue sedute psicanalitiche in cui lei rivelerebbe di una sua storia con Joan Crawford. Questo genere di “scoop” viene centellinato, perché la fonte di guadagno costituita da libri e servizi televisivi non venga mai a seccarsi.
Man mano che la carriera proseguiva trionfalmente, le vicende sentimentali divennero così intricate da confondere i più scafati “giornalisti” di cronache mondane di Hollywood: Edda Hopper, Louella Parsons, Walter Winchell, Elsa Maxwell, Doroty Kilgallen, nomi molto temuti, che diedero filo da torcere a personaggi del calibro di Charlie Chaplin. Ma il fenomeno Marylin, tutto sommato, fu trattato con prudenza da certa stampa. Con il figlio di Chaplin, Charles Jr, lei ebbe una storia. Altro amante celebre fu Marlon Brando.
In parte la star era protetta dagli appositi uffici degli studios; si decise di assecondarla, perché era divertente, finché lo fu, e faceva vendere riviste e tabloid. E poi che spasso, per i lettori. Fece sognare il matrimonio (approvato dai capi) con l’eroe italoamericano del baseball Joe Di Maggio, nel 1954, poi avversato perché lui non giocava a favore di carriera della moglie: dopo nove mesi di gelosie feroci da parte di Joe, lui si stancò di vederla con le gambe al vento e divorziarono.
A quel punto Monroe era un nome; a “Niagara” erano seguiti “Come sposare un milionario”, “Gli uomini preferiscono le bionde“, “ Quando la moglie è in vacanza”: bingo. La convocarono per le impronte davanti al Chinese Theatre, con la “bruna” Jane Russell.

L’amore bussò di nuovo alla porta: nel 1956 si arrivò al terzo matrimonio, che sembrava quello giusto anche se lui, il grande drammaturgo Arthur Miller, per sposarla lasciò moglie e due figli. All’inizio erano molto uniti e lei fu ben accolta nella famiglia dei suoceri.

L’unione sembrava ideale. La trentenne e maturata attrice trovava una sponda intellettuale; il quarantenne Miller, dal canto suo, riceveva un raggio di sole sulle sue plumbee atmosfere letterarie lower Manhattan. I due tentarono subito di avere figli e lei rimase incinta, ma di mezzo c’erano gli impegni, soprattutto l’esplosivo “A qualcuno piace caldo” del 1958, che lei girò ai primi mesi del secondo tentativo di gravidanza con Miller, dopo un primo aborto spontaneo.

Andò male anche questa seconda volta. Secondo le testimonianze, i precedenti procurati aborti e le dissennatezze con le pillole le impedivano una proficua gestazione; altri parlano di impegni di lavoro che la stressavano; sia come sia, la situazione precipitò. Monroe girò “Facciamo l’amore” ed ebbe una relazione con il co – protagonista italo/francese Yves Montand, sposato con la collega Simone Signoret, al momento in Italia per girare “Adua e le compagne”. Simone si riprese il marito, Arthur per il momento abbozzò.
Sul set del successivo “Gli spostati”, le liti erano continue. Arthur lasciò la casa coniugale sulla 57^ ovest di New York, rimise su famiglia in un lampo con la fotografa Inge Morath, e pare che Marylin ne sia uscita distrutta. In seguito lo scrittore, nella autobiografia “Timebends: a life”, scriverà di non aver mai conosciuto una ragazza così triste.
Miller, scomparso novantenne nel 2005, è una figura che gode di altissima considerazione e i suoi drammi sono tuttora rappresentati. Si scagliò contro il maccartismo imperante nel paese e per questo pagò un alto prezzo. Marylin fu forse una moglie difficile, ma lo aiutò finanziariamente e a risolvere alcune grane con l’FBI, dovute alla sua reputazione di marxista, oltre a regalargli il ranch nel Connecticut. Inoltre quel matrimonio contribuì al suo successo: come marito della Monroe, Miller non poteva essere ignorato. Tuttavia non rinunciò alla rivalsa e la massacrò, ormai morta, in un dramma teatrale molto criticato, “Dopo la caduta” del 1964: “La Kitty (Marilyn) adorata dal mondo intero non esiste. È uno scherzo, un fantasma, una voluta di fumo. È una sopravvissuta che cammina su dei pezzi di vetro”. Secondo recenti sussurri, Miller ebbe un figlio down di cui non volle mai parlare. Vedovo della Morath, si spense con accanto una compagna molto più giovane.
Marilyn lottava per cambiare registro interpretativo, ma l’ambiente le si rivoltava contro. Anche le appassite star degli anni passati, che avevano alle spalle curriculum di stravizi di tutto rispetto, parevano inspiegabilmente disprezzarla e rinfacciarle il suo presunto scarso talento. Più tentava di migliorarsi, più la deridevano. Hanno detto che il suo ultimo psichiatra, Ralph Greenson, abbia sbagliato il trattamento e commesso l’imperdonabile errore di farla entrare nella propria famiglia, per alleviare la sua solitudine. Secondo alcuni fu anche visitata dalla figlia di Freud, che l’avrebbe definita “instabile e paranoide“. Pare inoltre che Marylin abbia conosciuto il dr. Timothy Leary,il quale l’avrebbe avviata all’uso dell’LSD; si insinua allegramente che i Kennedy, fratelli e cognati, se la passassero come una pallina da ping pong.
Qualche sbandamento dovette verificarsi. Nell’ultimo anno di vita gli unici momenti di evasione erano quelli in cui l’occasionale compagno di letto, Sinatra, se la portava a spasso, in barca o in elicottero, per tristi baldorie, che finivano in coma etilici o poco meno. Joe Di Maggio, che lo credeva un amico, la prese male e lo tagliò fuori. L’ ultimo partner “ufficiale” della Monroe fu il messicano José Bolanos, collaboratore del regista Bunuel, che si vantò senza risparmio della conquista; in realtà sperava di emergere grazie a tale vicinanza e venne mollato senza complimenti.
Carmen Gueye