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Art. 43 del PNRR : ecco come il governo Conte II e il governo per far piacere alla Germania hanno rinunciato ai risarcimenti economici tedeschi per gli “schiavi di Hitler” Italiani

Dell’art.43 del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, approvata nel gennaio 2021 dal governo Conte II e successivamente, a seguito della crisi del governo Conte II e della sua sostituzione da parte del governo Draghi, quest’ultimo riscrisse parzialmente il PNRR ma senza apportarne modifiche sostanziali) pochi, anzi nessuno, parlano di un dettaglio molto grave: l’Italia di fatto rinuncia ai risarcimenti dello Stato tedesco per tutti i deportati italiani nei campi di concentramento dopo l’8 settembre 1943. Di più è lo Stato italiano che si sostituisce alla Repubblica Federale Tedesca quale soggetto obbligato al risarcimento.

Ricordiamo quanto accadde.

Subito dopo l’entrata in vigore dell’armistizio dell’8 settembre 1943 tra Italia ed anglo americani, e sino al 1945, le truppe tedesche catturarono e deportarono nei campi di concentramento, in Germania in Polonia e in Ucraina, circa 800mila fra soldati e civili italiani, cui non venne riconosciuto lo status di prigionieri di guerra e che vennero destinati ai lavori per lo sforzo bellico tedesco.

Negli anni successivi alla fine della guerra venne loro negato qualsivoglia forma di indennizzo e si arrivò all’instaurarsi nei primi anni 2000, di alcune vertenze in Italia da parte degli ex internati o loro familiari diretti contro la Repubblica Federale Tedesca. Alcune di queste vertenze ebbi a promuoverle anch’io nei Tribunali di Lucca e di Pisa, assistendoli con l’associazione che all’epoca presiedevo a Lucca.

Sarà ancor oggi possibile? Questa è la domanda da porsi.

Nell’ambito delle misure relative all’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (e di cui al Decreto legge 30 aprile 2022 n. 36 convertito con modificazioni dalla Legge 29 giugno 2022 n. 79) è stato istituito presso il Ministero delle Finanze il “Fondo per il ristoro dei danni subiti dalle vittime di crimini di guerra e contro l’umanità per la lesione di diritti inviolabili della persona, compiuti sul territorio italiano o comunque in danno di cittadini italiani dalle forze del Terzo Reich nel periodo tra il 1° settembre 1939 e l’8 maggio 1945“.

E sin qui sembrerebbe tutto bene, ma in realtà, la norma introduce nei suoi commi tre disposizioni:

a) deroga all’articolo 282 del codice di procedura civile ossia al principio di immediata esecutività delle sentenze di primo grado, prevedendo anche per i procedimenti in corso, che le sentenze ottenute nei confronti della Repubblica Federale Tedesca divengano esecutive al momento del passaggio in giudicato e siano eseguite esclusivamente sul Fondo istituito presso il Ministero delle Finanze;

b) sancisce l’estinzione dei giudizi di esecuzione già eventualmente intrapresi su beni siti nel territorio italiano e di proprietà della Repubblica Federale Tedesca medesima ed il divieto di incominciare nuove azioni esecutive senza, peraltro, che sia intervenuto sollecitamente il decreto del Ministero delle Finanze attuativo delle norme previste e che avrebbe dovuto regolamentare la procedura di accesso al fondo, le modalità di erogazione degli importi agli aventi diritto;

c) introduce un termine decadenziale di 180 giorni dall’entrata in vigore del Decreto Legge (termine modificato in sede di conversione perché inizialmente era previsto un termine decadenziale di trenta giorni) per le azioni di accertamento e di liquidazione dei danni non ancora incominciate alla data di entrata in vigore del presente decreto.

È evidente quindi che lo Stato italiano si sostituisce alla Repubblica Federale Tedesca quale soggetto obbligato al risarcimento.

Personalmente mi sfuggono i motivi di questa regalia alla Germania. E non convince per nulla la giustificazione contenuta nella norma, ossia che le misure adottate darebbero continuità all’Accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica Federale di Germania del 2 giugno 1961, reso esecutivo con decreto del Presidente della Repubblica 14 aprile 1962, n. 1263.

L’articolo 2 dell’Accordo, infatti, prevede che siano definite tutte le rivendicazioni e richieste della Repubblica Italiana, o di persone fisiche o giuridiche italiane, ancora pendenti nei confronti della Repubblica Federale di Germania o nei confronti di persone fisiche o giuridiche tedesche, purché derivanti da diritti o ragioni sorti nel periodo tra il 1° settembre 1939 e l’8 maggio 1945 e che il Governo italiano terrà indenne la Repubblica Federale di Germania e le persone fisiche e giuridiche tedesche da ogni eventuale azione o altra pretesa legale da parte di persone fisiche o giuridiche italiane per le rivendicazioni e richieste suddette.

Ora tanti Tribunali italiani hanno condannato la Repubblica Federale Tedesca al risarcimento dei danni patiti dagli ex internati sul presupposto che la deportazione nei campi di concentramento rappresenta un crimine contro l’umanità che integra un fatto illecito ex art. 2043 c.c., imprescrittibile, il cui diritto al risarcimento del danno non può essere considerato estinto per la rinuncia espressa dallo Stato italiano nell’art. 77 del trattato di pace del 1947 (reso esecutivo con d.P.R., 28 novembre 1947 n. 1430) e nell’art. 2 dell’accordo di Bonn del 2 giugno 1961, posto che il primo è inerente alle pretese relative ai danni materiali e non ricomprende anche quelli morali mentre l’ambito applicativo del secondo è sulle questioni economiche pendenti e non su quelle ancora non pendenti al momento della stipula (Tribunale di Firenze 6 luglio 2015 n. 2469; Tribunale di Firenze, sezione II 22 febbraio 2016 che richiamano le statuizioni sul punto della Corte di Cassazione penale sez. I 21.10.2008 n.1072, Tribunale di Torino sentenza 19 maggio 2010, e dalla Corte d’Appello di Firenze sentenza 11 aprile 2011 n.480).

La Repubblica Federale Tedesca è ricorsa (per la seconda volta) alla Corte di Giustizia internazionale dell’Aja (http://www.schiavidihitler.org/, centro studi Schiavi di Hitler) contro l’Italia, proprio, guarda caso, a ridosso dell’emanazione del Decreto Legge, invocando nuovamente il difetto di giurisdizione dei giudici italiani, ritenendo che l’Italia non avrebbe ottemperato alla sentenza della Corte di Giustizia dell’Aja del 3 febbraio 2012 che, nell’accogliere un precedente ricorso sempre della Germania, aveva intimato all’Italia di adottare le misure necessarie perché tutte le pronunce dei propri tribunali che contravvenissero al principio consuetudinario di diritto internazionale dell’immunità degli Stati, fossero dichiarate prive di effetto.

Occorre ricordare che con la legge n. 5 del 2013 l’Italia aderì alla convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, recependo all’articolo 3 anche il “dictat” della Corte internazionale dell’Aja, senonché con la storica sentenza della Corte Costituzionale del 22 ottobre 2014 n. 238 venne, però, dichiarata l’illegittimità costituzionale di tale norma. La Corte Costituzionale affermò, pure, in quell’occasione l’illegittimità delle norme che impediscono l’accertamento giurisdizionale delle responsabilità civili di un altro Stato nel caso di crimini di guerra e contro l’umanità commessi nel territorio nazionale, lesivi dei diritti inviolabili della persona garantiti dagli artt. 2 e 24 della Costituzione e che l’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati, generalmente riconosciuto nel diritto internazionale, non opera nel nostro ordinamento, qualora riguardi comportamenti illegittimi di uno Stato qualificabili come crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona garantiti dalla Costituzione.

Ne seguirono poi numerose sentenze delle Sezioni Unite che affermarono la sussistenza della giurisdizione del giudice italiano a sentenziare.

Allora perché i governi Conte II e Draghi hanno optato per sottoscrivere un provvedimento a beneficio alla Germania? Un ‘’provvedimento’’ che certamente crea e creerà situazioni di incertezza in contrasto con i principi già affermati dalla Corte Costituzionale nella sentenza 238/2014. Con tale pronuncia la Consulta ritenne, infatti, che il riconoscimento dell’immunità degli Stati dalla giurisdizione, anche dove dichiarato dalla Corte Internazionale di Giustizia, fosse da considerarsi contrario al principio di accesso al giudice da parte di chi si trova sul territorio della Repubblica. Ad avviso del giudice del rinvio, «il legislatore statale sembra aver creato una fattispecie di ius singulare, che, spiegando i suoi effetti in un processo già iniziato, determina un evidente sbilanciamento a favore della parte esecutata del presente procedimento, esentando il solo Stato della Repubblica Federale di Germania dagli effetti pregiudizievoli della condanna giudiziaria ed, in particolare, dal suo eventuale adempimento forzoso. «Questo squilibrio fra le parti processuali – si legge nell’ordinanza – non pare trovare un contrappeso idoneo nella costituzione di un fondo di ristoro presso il ministero dell’Economia e delle Finanze previsto dal primo comma della norma. I creditori, eredi di cittadini italiani o comunque di persone lese in territorio italiano, sarebbero, infatti, immediatamente e definitivamente privati del diritto al giudice dell’esecuzione mentre, di contro, sarebbe loro contestualmente riconosciuto un diritto di mero accesso al fondo, senza che sia attualmente prevista la disciplina del procedimento amministrativo ad esso relativo, l’entità parziale o totale del futuro ristoro, le modalità di erogazione di quanto sia loro eventualmente riconosciuto dal ministero dell’Economia e delle Finanze».

Cosa dire ai figli e figlie , in alcuni casi nipoti degli ‘’schiavi di Hitler’’ trentini, ex militari residenti in provincia di Trento, deportati ed internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra dei quali è rendere loro onore menzionandoli: Adalgiso Apolloni, Valerio Benedetti, Sebastiano Bordato, Bruno Braus, Mario Broli, Carlo Brugnara, Bortolomeo Dallapè, Angelo Della Serra, Giuseppe Forti, Oscar Franceschini, Nella Lilli (unica donna), Ezio Maistri, Matteo Menegatti, Salvino Moranduzzo, Andrea Simoni, Albino Sordo, Antonio Labianco, Luigi Holzknecht ed Eugenio Pancheri. Certamente dimenticandone molti altri poiché tantissimi furono gli ufficiali, sottufficiali, soldati, medici, cappellani militari di tutte le forze armate, seicentomila uomini, chiusi nei carri ferroviari e trasferiti nei campi della Polonia, dell’Ucraina e della Germania, a languire di inedia o a lavorare come schiavi nelle miniere e nelle fabbriche di guerra. Oltre 40 mila di loro morirono di fame o di tubercolosi a causa delle sevizie subite ed in esecuzioni sommarie o sotto i bombardamenti. Loro non vennero qualificati dai nazisti come «prigionieri di guerra», per sottrarli al controllo ed all’assistenza degli organismi internazionali previsti dalla Convenzione internazionale sul trattamento dei prigionieri di guerra firmata a Ginevra nel 1929. Li definirono «Internati Militari Italiani» (in tedesco Italienische Militärinternierte – IMI) catturati, rastrellati e deportati nei territori della Germania nei giorni immediatamente successivi alla proclamazione dell’armistizio dell’Italia, l’8 settembre 1943.

Il 20 settembre 1943 è proprio Hitler a intervenire d’arbitrio affinché la condizione giuridica degli italiani sia ridotta da “prigioniero” a “internato”. La derubricazione da “prigionieri” a “internati” implicava la sottomissione dei deportati a un regime giuridico non convenzionale secondo gli accordi di Ginevra del 1929, e – sebbene formalmente riconosciuti da altre convenzioni – gli “internati” in realtà venivano a trovarsi in un limbo giuridico legato all’arbitrio totale di Berlino. Il 20 novembre 1943, infatti, il responsabile tedesco respinge le richieste della Croce Rossa Internazionale di poter assistere gli internati perché essi “non erano considerati prigionieri di guerra“. Tale situazione diplomatico-istituzionale condizionò negativamente la vita di centinaia di migliaia di italiani, molti dei quali morirono in prigionia. Divennero così le vittime predestinate al «castigo esemplare» che Hitler aveva promesso agli italiani, rei di essere venuti meno al patto di alleanza. Un patto di alleanza che quasi da subito divenne in realtà un rapporto di soggezione alla Germania hitleriana. I tedeschi, infatti, consideravano gli italiani “traditori” poiché il governo italiano aveva siglato un armistizio con gli anglo-americani (l’armistizio di Cassibile, annunciato dal proclama Badoglio dell’8 settembre 1943). Le truppe internate furono spregiativamente definite «Badoglio-truppen» dai tedeschi e reputate infide. Inoltre non era estraneo alle decisioni tedesche anche un fondo di razzismo anti-italiano, come testimonia il diario di Goebbels. Infine Hitler, nonostante la personale amicizia con Mussolini, non intendeva rinunciare a quella che – nei fatti – si rivelava un’ulteriore arma di ricatto verso l’Italia mussoliniana: sostanzialmente si trattava di avere in mano 800.000 ostaggi. Del resto le autorità del Terzo Reich, inoltre, vedevano nella cattura di centinaia di migliaia di italiani una preziosa risorsa di manodopera sfruttabile a piacere. Per questo motivo ostacolarono ogni tentativo da parte della Repubblica Sociale di riportare in Italia grossi contingenti di internati e sabotarono anche il reclutamento dei volontari, cosicché il loro numero fra gli internati rimase estremamente basso. Gli internati furono così impiegati nei campi e nelle fattorie, nelle industrie belliche (alcuni anche nella produzione di V2, gli antenati dei droni attuali, incarico nel quale moltissimi persero la vita in condizioni disumane di lavoro), nei servizi antincendio delle città bombardate.

Questo vuol dire che per i parenti dei “dimenticati di Stato”, vittime del Terzo Reich, per ottenere il ristoro del male ingiusto patito dai loro cari è scaduto per sempre il tempo massimo pur avendone titolo? Non è detto! Tutto dipenderà dal nuovo governo Meloni. Con un Decreto Legge o con un «emendamento» ai decreti attuativi del PNRR potrebbe infatti intervenire … ma a volte il potere si scontra con il volere e viceversa.

Un dato è certo : il governo Meloni può agire poiché anche se con il Decreto Legge n. 36/2022, art.43, la costituzione presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze di un fondo italiano di 50 milioni di euro dal Pnrr per il risarcimento delle vittime di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità commessi dallo Stato tedesco, mancano comunque e ancora le disposizioni di attuazione, con previsione delle modalità di accesso al fondo, delle tempistiche di pagamento, della graduazione delle domande.

Da qui’ la possibilità di inserire ‘’nuove disposizioni’’ da parte governo Meloni che possano inficiare l’azione posta già in essere dai governi Conte II e Draghi che, con la decretazione di urgenza, prevedevano l’estinzione immediata delle procedure esecutive in corso sugli immobili della Repubblica Federale in Roma, pregiudicando gravemente i diritti riconosciuti con sentenze esecutive emesse da Tribunali del nostro Stato (pregiudizio particolarmente grave non solo perché si tratta del ristoro di danni per crimini contro l’umanità, ma perché senza alcuna garanzia di effettività di risarcimento, di determinazione delle modalità di erogazione dello stesso, di determinazione temporale, di individuazione delle amministrazioni competenti, che pongono nel nulla le procedure esecutive e si impedisce di fatto il conseguimento della tutela giurisdizionale).

Ma non solo, una eventuale «modifica attuativa» da parte del governo Merloni si adeguerebbe alle decisioni della Corte Costituzionale.

Marco Affadigato

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