Al governo Meloni si sta discutendo circa l’adozione di un provvedimento che garantisca il «salario minimo» per legge e viene dato a questo «provvedimento» priorità. Una «priorità» richiesta anche dall’opposizione che, guarda caso però nessuno lo rimarca e lo mette in evidenza, in questi ultimi quindici anni ha governato il Paese senza però mai metterlo prioritario.
Ma, come anche loro sanno, il «salario minimo» garantito per legge è un falso problema. Perché il «problema» nel nostro Paese non è il salario minimo, che si affronta applicando ed estendendo a tutti i lavoratori le tutele dei contratti collettivi e combattendo e dichiarando fuori legge i tanti «contratti pirata» , a cominciare da quelli ammessi per le cooperative e delle agenzie private di lavoro temporaneo, siglati al ribasso con l’accordo e firma dei sindacati, e non meno importante la soppressione della «scala mobile» avvenuta il 31 luglio 1992 con la firma del protocollo triangolare di intesa tra il Governo Amato I e le parti sociali (leggasi sindacati e associazioni dell’imprenditoria e commercio), dimenticando che questa era lo strumento economico in tema politica del salario volto ad indicizzare automaticamente i salari in funzione degli aumenti dei prezzi di alcune merci, al fine di contrastare la diminuzione del potere d’acquisto dovuto all’aumento del costo della vita, secondo quanto valutato con un apposito indice dei prezzi al consumo. Uno «strumento», la scala mobile, che il governo Meloni dovrebbe rimettere immediatamente in funzione per adeguare i salari al costo della vita attuale.
A questi, che sono i veri punti iniziali, deve aggiungersi la vera questione che è la mancanza di lavoro, soprattutto nel Sud d’Italia dove più di un giovane su due (il 51,9%) NON HA LAVORO. Si tratta di 1,5 milioni di persone senza prospettiva futura.
MANCA IL LAVORO, qualche esempio: il monte di ore lavorate é diminuito di 1,1 miliardi (-5%); aumenta il lavoro povero, precario, stagionale; restiamo tra i primi Paesi per percentuale di Neet sul totale della popolazione tra i 15 e 29 anni: 24,1%. Quelle tante vertenze aperte al MISE che continuano ad essere irrisolte, sono la cartina di tornasole non solo delle perduranti difficoltà del nostro sistema economico e produttivo ma soprattutto della mancanza, in questi ultimi dieci anni, di una strategia e di capacità di indirizzo da parte di chi ha governato il Paese (ed oggi è all’opposizione) sulla «politica industriale».
Loro, quelli che hanno governato ed oggi sono all’opposizione, hanno pensato di risolvere il problema occupazionale con la cassa integrazione e il RdC ed oggi chiedono a chi governa, al governo Meloni, di garantire il salario minimo e una politica di occupazione, dimenticando pero’ che la politica di occupazione sono le imprese che possono farla. Chi governa l’unica cosa che può fare per mettere il lavoro al centro delle proprie scelte è una strategia di «politica industriale», investimenti sulle infrastrutture con l’immediato sblocco dei cantieri fermi, un piano di rafforzamento del sistema di formazione e istruzione ( il mercato del lavoro ha bisogno di migliaia di figure professionali che non ci sono) con fondi economici per l’alternanza scuola-lavoro e di assunzioni nella Pubblica Amministrazione e, infine, politiche attive del lavoro attente all’occupabilità delle persone al Nord come al Centro, al Sud e isole.
Marco Affatigato