Il 4 gennaio 2025 è caduto il decimo anniversario dalla scomparsa di Pino Daniele. Napoletano doc, classe 1955, cresciuto in una famiglia numerosa e indigente, e in seguito da amorevoli zie, Pino non si scoraggiò e compì il suo percorso fino al diploma da ragioniere, con l’hobby della chitarra, da autodidatta.
La passione musicale lo portò ad esibirsi per le truppe americane in locali portuali, fino a giungere, a ventiquattro anni, al primo successo nazionale con il singolo “Je’ so pazzo”, inserito nell’album che portava il suo nome: dove fu inserita la parolaccia italiana più popolare, che il linguaggio di Daniele faceva perdonare, unico cedimento, giovanile, alla popolanità grezza.
Fu subito amore tra il pubblico italiano, tutto, e la nuova stella partenopea. Napoli ci ha abituato ai talenti artistici, tuttavia, negli anni settanta, la creatività “classica” sotto il Vesuvio languiva e l’arrivo di questo ragazzo, robusto e “capellone”, riaprì il cuore.
E’ difficile analizzare, sia pure ai minimi termini, il suo stile, che ha attraversato vari generi, segnatamente il blues, senza mai perdere l’aggancio con la terra natale, sia perché molti brani erano cantati in dialetto, che per i testi innovativi.
Se infatti il cantautore, schierato politicamente a sinistra, non nascondeva l’impegno sociale nel descrivere la situazione ancora difficile del territorio da cui proveniva, vero è che non risultava né giulebboso, né aggressivo né altezzoso, collocandosi in una poetica emozionale e dolente, aiutato da una voce leggera, da menestrello buffo e un po’ dolce, senza perdere in serietà: nulla a che vedere con il tenebroso Venditti o il trasognato venereo De André, o con il beffardo Guccini, non accusando, né rivendicando superiorità morali. E per questo, forse, non fu così idolatrato da una fazione in particolare e riuscì a toccare l’anima di un popolo, trasversale, lieve, ma potente.
Chi scrive assisté a un suo concerto a Genova, nel 1981, accompagnato da Tony Esposito, James Senese e Tullio De Piscopo, che scaldò i gelidi cuori sotto la Lanterna, senza provocare risse o sballi o isterismi che si verificavano di solito ai concerti delle nuove e vecchie star: Pino era accogliente e severo.
Non di meno fu stimato da tanti colleghi stranieri, con cui collaborò, ricevendo la stima, uno per tutti, di Eric Clapton.
La sua morte ha provocato anche qualche interrogativo. Di stanza nella sua residenza vicino a Orbetello, quando accusò un malore dovuto a pregressi problemi cardiaci, Daniele fu trasportato fino a Roma, dove i tentativi di rianimazione furono vani.
Pino è stato l’ultimo grande artista canoro italiano, impegnato ma non esente da soffici ballate d’amore, senza eccessi, né sbavature né provocazioni: l’arte non ne ha bisogno.
Carmen Gueye