Non è frequente trovare qualcuno che conosca, anche per sommi capi, la storia dei paesi africani. Letteratura e cinema hanno celebrato allo sfinimento il Kenya, con buona ragione, trattandosi di un posto magnifico; si è parlato del Sudafrica, per l’apartheid.
Nel tempo molti europei, e diversi americani, si sono stabiliti nel continente nero a seguito della colonizzazione e per combinarvi affari, del più svariato genere. L’Italia fece la sua parte in Africa orientale, pur senza essere all’altezza dei colonizzatori professionali: riuscì solo a costruire strutture, prima di essere beffardamente cacciata.
Sempre magnetico è il Maghreb, terra di nomadi e di dune, confine che traghetta il viaggiatore nell’Africa Nera; molto studiato è l’Egitto, per ragioni storiche, la cui civiltà è tuttora considerata la prima del mondo conosciuto..
Il nostro ipotetico studente medio sarebbe in difficoltà appena si accennasse al Camerun o al Ghana; qualcosa di più potrebbe ricordarsi dell’Uganda, segnata dalla folkloristica dittatura di Idi Amin Dada o del Rwanda, fiume di sangue versato a causa delle guerre etniche e degli eccidi ben fomentati nelle stanze del poetere; potrebbe tentare qualche accenno al Sudan e ai massacri nel Darfour.
Il turismo ha reso famosi Costa d’ Avorio, Senegal, Madagascar.
Quanti conoscono la povera storia del Burkina Faso? Povera di eventi, non certo di sostanza. Scarna di personaggi, fino al 1987.
Le potenze coloniali pensarono di tracciare i confini dei paesi africani con righello e compasso, creando entità bizzarre, spezzando i popoli fratelli, creando inimicizie estranee alle logiche locali. Pur non prive di rivalità tribali, le lotte trovavano una minima ragion d’essere nella notte dei tempi, nel costume di quelle genti. Ed è bene ricordare che anche gli europei si scazzottavano spesso.
L’Africa esiste per noi da pochi secoli, da quando ci si accorse di quale serbatoio di risorse naturali ed umane potesse rappresentare, gratis e senza chiedere parere.
Thomas Sankara nacque nel 1949, in quello che allora si chiamava Alto Volta, territorio a nord dell’omonimo fiume, amministrato dai francesi.
Il padre s’era infilato nel corpo di gendarmeria in tempo di guerra ma, congedato, era ridisceso in una miserabile condizione.
Terzo di dieci figli, cattolico, il ragazzo Thomas, di spiccata intelligenza, non aveva alternative per migliorare la propria esistenza e realizzare i sogni nel cassetto, se non gli studi nelle missioni religiose, seguiti dalla carriera militare. Riuscì in tal modo ad affrancarsi dalla miseria, ricevere un’adeguata educazione e andare in Europa per l’addestramento. L’Alto Volta, unitamente ad altri paesi africani, divenne indipendente nel 1960.
Thomas, attratto da grandi obiettivi, non rinunciò a perseguirne alcuno.
Il primo, rovesciare la dittatura militare, era raggiungibile con un solo metodo, alla portata di un ufficiale dell’esercito come lui e praticato normalmente in Africa: il colpo di stato. In questo modo, nel 1983, si insediò al potere, provvedendo a cambiare nome al paese, divenuto “Burkina Faso, ossia “paese degli uomini integri”. Annunziò senza remore il suo programma, con un candore e una franchezza che ancora oggi stupiscono.
I punti erano pochi, semplici, chiari. Eliminare gli sprechi, poiché una nazione così depressa, leader nella classifica della povertà mondiale, non poteva permettersi una classe dirigente con abitudini miliardarie e un apparato statale opulento e parassita. Detto fatto, defenestrò i papaveri al potere e obbligò i pubblici dipendenti, gli unici con un salario garantito a fine mese, a un regime di vita austero. Lui stesso diede l’esempio, girando in bicicletta – in Burkina si va in bicicletta quasi prima ancora di imparare a camminare – o, per lunghi tragitti, con una scassata R5; o ancora, se costretto a volare, elemosinando un passaggio da altri capi di stato ( sistema scherzosamente definito”aerostop”).
Incentivare le attività produttive locali era un altro suo chiodo fisso, per smettere di tendere la mano alle sovvenzioni internazionali, che finivano regolarmente nelle tasche di pochi. Diede impulso allo sfruttamento delle risorse agricole, a piccole imprese autogestite, al commercio locale o con paesi limitrofi. Fu istituita una specie di corvée, immaginiamo quanto gradita, per cui tutti dovevano dedicare almeno un giorno alla settimana ai lavori nei campi.
Favorire l’emancipazione femminile era la punta di diamante del suo programma. Promosse l’educazione sessuale e un programma per le prostitute che avessero desiderato togliersi dal marciapiede.
Sposato con due figli, Thomas tuttavia metteva al primo posto il servizio al popolo, tra cui rientravano un acceso pacifismo e una rete di alleanze con paesi africani che condividessero i suoi medesimi fini. Fu schematicamente (e velocemente) inserito dagli osservatori tra i leader marxisti. L’ideologia appare, nel suo caso, più un fatto personale, utile a comprendere gli eventi e la storia. Thomas non pretendeva di imporla nel lungo periodo, più di tutto amareggiato dall’immaturità dell’Africa. Come dargli torto, quando ridicolizzava la guerra da cortile che anni addietro si erano dichiarati il Burkina e il Mali, dotati in tutto di qualche vecchio blindato avanzo di deposito e un paio di elicotteri scassati? Per buona misura, questo giovane presidente sosteneva l’idea di uno stato laico, con ampia libertà religiosa.
Un tale manifesto programmatico, attuato senza indugio, metterebbe in difficoltà un politico dei nostri giorni: allora, e in quel territorio, dovette sembrare blasfemo: troppi obiettivi, tutti insieme. Gli amici e i sostenitori, anche quando ti vogliono bene e forse proprio per questo, sono le forze di difesa più vulnerabili. Dovette aver buon gioco chi iniziò a soffiare sul fuoco per destituirlo.
La nomenklatura statale e il suo sottobosco erano contrariati dalla perdita dei privilegi. Dal canto loro i tradizionalisti non apprezzavano che egli tentasse, almeno dal loro punto di vista, di scardinare le antiche usanze. Parte del popolo, in questi casi, dopo un primo entusiasmo, ragiona sulla fatica che costa una riforma, fatta di lacrime e sangue: i risultati si fanno vedere nel lungo termine, mentre gli aiuti internazionali garantiscono un tozzo di pane nell’immediato, senza guardare tanto lontano. I simpatizzanti si stancano, i nemici sono sempre all’erta.
Sankara era un ragazzo impegnato, ma sorridente. Chitarrista per hobby, amante delle manifestazioni artistiche e sportive, da una sua idea nacque il più grande festival del cinema africano, che si tiene ogni anno in Burkina ed ha risonanza internazionale.
Dopo i primi anni di duro lavoro, Sankara cominciava a pensare alle libere elezioni e all’organizzazione di uno stato democratico con pluralità di partiti; il tutto richiedeva prudenza e pazienza, doti rare tra i suoi avversari ( e non solo tra loro). Rilasciò la sua ultima intervista al “Manifesto”, poco prima di morire. Conobbe Marco Pannella. In occidente, l’etichetta di marxista estremo o radicale ostinato lo emarginò ulteriormente.
Nell’ottobre 1987 Thomas, durante la giornata dello sport, fu ucciso in un agguato a colpi d’arma da fuoco. Gli succedette Blaise Compaoré, suo fidato collaboratore, da sempre sospettato di aver partecipato al complotto per eliminarlo, in accordo con frange filofrancesi della Costa d’Avorio.
Blaise è stato al potere fino al 2014, poi ha trovato riparo in Costa d’Avorio, storicamente nemica del Burkina; a un certo punto la pressione popolare (manovrata?) lo ha costretto alle dimissioni, ma finora non si vedono risultati apprezzabili. Ci vuole pazienza. Qualcuno perfino lo rimpiange, sostenendo che teneva lontano il terrorismo. Il mondo africano può vivere ancora di questi ricatti? Oppure essere conosciuto perché qualche famosa cantante indossa la maglietta con la faccia di Sankara, senza mostrare particolare conoscenza di questa figura?
L’Africa, questa sconosciuta. Terra di conquiste. Terra di deserti e di foreste, dove vivere è difficile, se non per quegli occidentali in cerca di tranquillità e di un posto dove ricrearsi un eden perduto. Che rapporto c’è tra l’Africa delle galere schiaviste, americane o arabe, e quella di Karen Blixen e Kuki Gallmann?
E’ possibile una conciliazione, dove l’africano esca dall’immagine di “bisognoso” ed entri in quella di cittadino del mondo? Una persona che vive liberamente e ospiti l’altro, il diverso, senza diventarne un dipendente, magari amato, magari di lusso, ma sempre subordinato?
I governi coloniali furono il male assoluto? Di fatto essi formarono, in alcuni casi, classi dirigenti africane volenterose e bene intenzionate, che talvolta hanno ben operato, seppure rappresentate da personaggi sottoposti al sospetto di tradimento culturale.
Spesso costoro, nelle neonate e malferme democrazie africane, non avevano tempo per formulare e attuare serie riforme, occupati a conciliare la convivenza tra etnie diverse, tra modernità e tradizione, o a reperire nuove risorse per la sopravvivenza, visto che gli antichi padroni gestivano ancora le materie prime .
Per giunta, i nuovi leader dovevano destreggiarsi tra gli appetiti e le rivalità dei protagonisti della guerra fredda: da quale parte? USA o URSS? Erano del tutto impreparati a un lavoro che avrebbe impensierito un navigato statista. Vittime di tali baraonde ideologico/politiche furono, ad esempio, Mobutu del Congo e Nkrumah della Costa d’Avorio. Quest’ultima, relativamente ricca rispetto ad altri stati del continente, è da sempre accusata di piaggeria filofrancese e scarso senso di fratellanza africanista.
L’Africa ha espresso figure di potere talmente oscure e discusse, da non lasciare spazio alla speranza. Nella mente dei più gira l’immagine del dittatorello messo in sella dalla potenza di turno, dall’ex padrone rimasto a comandare di fatto, dopo l’indipendenza, oppure dalle multinazionali.
L’Africa parla con la sua gente, priva com’è della mediazione dell’arte ricca, e le questioni si toccano subito. E’ lacrime o gioia, sangue o musica, potenza reale e mistica del potere.
Sankara aveva modelli precisi di riferimento per orientare il suo agire; i modelli da seguire, come quelli da evitare. Alle “conventions” panafricane osò sfidare il presidente francese Mitterrand con pesante sarcasmo, ricevendone in cambio una distaccata, parigina condiscendenza, che sottintendeva il presagio di una triste fine; parlò all’ONU con aggressività e sarcasmo. La sua famiglia, dopo la morte, si divise su come portarne avanti la memoria.
Violenze e regimi sanguinari non sono appannaggio dell’Africa, ma questo a Sankara non interessava. Egli sognava un continente diverso, che avesse fatto tesoro delle esperienze per affrancarsi dalla schiavitù dell’anima, oltre che di quella materiale, cronica e sempre più drammatica.
Era un sognatore, un illuso, un rivoluzionario senza futuro? Nemmeno la sua figura ispira unanimi consensi.
L’Africa oggi riceve la Cina. L’occidente ha fallito. Il mare ci porta senza posa immigrati allo sbando.
Chi scrive visitò il Burkina Faso nel 2013. Illusa dai documentari degli anni passati, che parlavano di una sorte in progress e dell’eliminazione della povertà, la vostra cronista verificò che la situazione era ancora peggiore di quella che aveva immaginato. Le organizzazioni umanitarie si contendevano il territorio e le adozioni a distanza ( motivo per cui la scrivente vi si era recata) sembravano puntare a un’occidentalizzazione selvaggia, irrispettosa e manipolatrice.
Da qualche anno governa una giunta paramilitare alle prese con aggressioni jihadiste le quali, più che a una rivoluzione islamista, paiono puntare a ostacolare il progresso del paese in direzione di nuove alleanze sganciate dalla Francia: che poi, era il programma di Sankara.
Thomas era un’idealista troppo astratto o un teorico strumentalizzato? Secondo la scrittrice, attrice e giornalista Marie Reine Doe, precocemente scomparsa nel 2015, figlia di un diplomatico della vecchia guardia pre- Sankara che aveva subito persecuzioni dopo l’insediamento sankarista, Thomas aveva ceduto a pressioni oltranziste che lo avevano condotto su una strada senza uscita, assecondando pulsioni vicine al ribellismo cubano irrealizzabili in Sahel, incurante della mediazione con il tradizionalismo burkinabé che avrebbe potuto aiutarlo. Marie Reine, amica dell’autrice di questo articolo, sconvolta dal giorno in cui la “revolution” del suo paese la sorprese durante un pacifico giro in bicicletta per le strade di Ouagadougou, e suo padre venne, a detta sua, torturato, se n’è andata, quarantenne, prima di poter meglio spiegare punti di vista alternativi.
Noi tuttavia conserviamo un ricordo positivo di Thomas Sankara, sepolto in un cimitero di periferia, in un sepolcro a volte adorato, altre vandalizzato, perché l’utopia un poco ci piace; ma pensiamo anche che, fosse tra noi, avrebbe capito chi erano i suoi veri nemici: coloro che vogliono l’Africa sempre in ginocchio, per recitare la parte dei benefattori.
Carmen Gueye