A una settimana dall’inizio del conflitto tra Israele e Iran, l’Italia osserva con apprensione. Ma, sorprendentemente, non lo fa davanti alla colonnina del distributore. Nessuno choc, nessuna impennata: anzi, il prezzo della benzina è addirittura in lieve calo.
Un déjà-vu al contrario se pensiamo alla guerra in Ucraina: allora, nel giro di 15 giorni, il diesel salì del 24% e la benzina sfiorò i 2 euro al litro. Stavolta, con la nuova crisi mediorientale, i timori sono altri.
Perché i prezzi non stanno esplodendo?
Il motivo è semplice: l’Iran, a differenza della Russia, non ha lo stesso peso specifico sui mercati petroliferi. Produce circa 3,8 milioni di barili al giorno, contro gli 11,2 milioni della Russia. E finché lo Stretto di Hormuz – il “collo di bottiglia” da cui passa il 30% del petrolio mondiale – resta aperto, i mercati reggono.
Ma se la situazione dovesse precipitare, lo scenario potrebbe cambiare rapidamente. Un blocco di Hormuz significherebbe turbolenze energetiche a livello globale.
Nessun rincaro sulla benzina, ma luce e gas fanno paura
La vera stangata, per le imprese italiane, arriva altrove: +13,7 miliardi di euro è il conto stimato per luce e gas nel 2025, un +19,2% rispetto all’anno precedente. Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto guideranno la classifica degli aumenti.
E i settori più esposti? Dalla metallurgia al commercio, dalla logistica alla produzione alimentare, con impatti sensibili anche su bar, ristoranti e alberghi.
Un rischio sottovalutato?
“Parlare di rincari in Italia mentre in Medio Oriente si muore può sembrare cinico”, osserva l’Ufficio Studi CGIA. “Ma comprendere gli effetti economici serve a prepararsi a possibili ricadute concrete”.
Anche se oggi i prezzi alla pompa restano stabili – 1,70 euro per la benzina in modalità self, 1,60 per il gasolio – la prudenza resta d’obbligo. Perché se la crisi dovesse allargarsi o se l’instabilità colpisse i flussi globali, i riflessi sull’economia italiana non tarderebbero.