Al primo comma, l’articolo 68 della Costituzione, recita: “I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere per le opinioni espresse o i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”. Una cosa semplice e chiara, non trovate?
Eppure, classica meraviglia italiana, la disciplina normativa in materia è stabilita dal decreto-legge per la realizzazione dell’articolo 68 della Costituzione, ratificato all’indomani della riforma dell’articolo 68 e arrivato ormai alla diciottesima reiterazione con il decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 555, tuttora in corso di esame presso il Parlamento. Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza.
Art. 68: “I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza.”
Ciò significa che esiste un cono d’ombra, per quanto i giuristi e i politici a volte si sforzino di non farlo notare, nel quale gli atti e le parole dei secondi oscillano fra legittima espressione del proprio pensiero politico e boutade di dubbio gusto.
Innanzitutto si deve definire la portata tangibile della garanzia del primo comma dell’articolo, proponendo per la prima volta una definizione normativa degli atti parlamentari coperti dalla funzione dell’insindacabilità (presentazione di interrogazioni, interpellanze, mozioni orali e scritte, ecc.), la cui identificazione era in passato demandata alla giurisprudenza ordinaria e alle decisioni parlamentari.
Si è reputato inoltre opportuno estendere l’ambito delle attività extra moenia (comizi elettorali, ecc.) del parlamentare ricoperte dall’insindacabilità e contemplare anche per questa categoria l’applicabilità del primo comma dell’articolo 68, togliendo al giudice ogni possibilità di valutazione discrezionale sul punto.
Nel riequilibrio degli interessi contrastanti, il Costituente scelse di far risaltare, su ogni altro valore costituzionalmente tutelato, la necessità di favorire il libero esercizio della funzione parlamentare. Com’è stato sostenuto, i parlamentari godrebbero in sostanza di un «potere di critica qualificato».
Si deve rilevare, del resto, come prima della riforma dell’articolo 68 il problema della demarcazione dei confini dell’insindacabilità non fosse sentito in modo così stringente. Dopo anni di applicazione “silenziosa”, la prerogativa dell’insindacabilità si è trovata a essere improvvisamente sotto la luce dei riflettori, senza però che il sistema fosse in qualche modo sufficientemente preparato a questo cambiamento.
D’altronde, a fronte di chi ritiene che in un moderno Stato di diritto le immunità parlamentari appaiano ormai come privilegi indecenti, sembra oggi più che mai utile ripetere le ragioni che sono alla base delle prerogative parlamentari.
La portata, sicuramente molto ampia, che si è ritenuto di individuare nella prerogativa dell’insindacabilità ha fatto nascere preoccupazioni a proposito del rischio che si affermi ancora una volta una propensione alla chiusura «corporativa» dei parlamentari.
È dunque desiderabile che le Camere facciano un uso sensato e attento del potere che è loro riconosciuto, autolimitandosi nell’applicazione della prerogativa, in modo da non renderla arbitrario strumento per danneggiare diritti e posizioni soggettive delle altre istituzioni e dei soggetti esterni.
Pasquale Narciso