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Editoriali

Oltre ogni muro di Berlino

Me lo ricordo quando cadde il muro, ero un ragazzino, avevo dodici anni e la storia passava per la mia quotidianità.

Mi ricordo tutto: Papa Giovanni Paolo Magno, Solidarnosc, Gorbaciov con quella voglia rossa a forma d’Italia, Reagan e gli incontri bilaterali a Reykjavick, mi ricordo quando in Ungheria tagliarono la cortina di ferro (perché il muro continuava con filo spinato tra Austria e Ungheria), mi ricordo le carovane di tristi macchine dell’Est che entravano in Occidente e la folla che spinse verso il muro fino ad abbatterlo.

Avido lettore de “il Giornale” di Montanelli che mio padre portava a casa tutte le sere, ho vissuto da bambino l’emozione dei quotidiani dove c’erano scritti fatti storici e non vicende da sala d’attesa dei parrucchieri.

L’impero del male crollava da solo, non c’era stata una guerra mondiale a sconfiggere il socialismo scientifico, non c’erano stati bombardamenti a tappeto, la bomba atomica sulle città dei vinti.

L’impero del male crollava per le sue stesse contraddizioni.

Non una guerra ma l’elezione di un attore a Washington, di un Papa Polacco sul soglio di Pietro e di un grande riformatore al Cremlino avevano contribuito con parole e non con armi a distruggere l’impero del male.

Il Comunismo in Europa è morto per cause interne, per la stessa violenza totalitaria del suo messaggio a favore del quale si erano espresso fino a pochi anni prima intellettuali alla moda, politici di potere, giornalisti e musicisti.

La barriera antifascista costruita a Berlino crollava da sola, spinta dal Popolo che aveva contenuto per anni nel più grande carcere mai costruito, un carcere che andava da Berlino alla Siberia da dove non si poteva uscire.

Ricordo anche gli idioti alla moda che dal giorno dopo parlarono di “fine della storia” di un mondo pacificato e giusto sotto la guida unipolare del capitalismo e della liberal democrazia americana, ricordo anche i comunisti sconfitti in Occidente diventare i peggiori portatori del totalitarismo liberista.

Un cambio semplice, trasformarono il dogmatismo filosovietico in un dogmstismo liberoscambista da cornuti contenti.

Dall’economia pianificata di Stato dei piani quinquennali alle privatizzazioni forzate dei piani partoriti sui panfili e realizzati da Prodi, Ciampi, Veltroni, D’Alema.

La stessa violenza ideologica che uccideva i kulaki serviva per imporre l’Euro per uccidere le economie nazionali.

Dall’altra parte del muro di Berlino e del non meno pericoloso muro di Wall Street ci siamo noi, quelli che credono nelle Nazioni, nelle libertà comunitarie, nell’autodeteminazione dei popoli e della sovranità monetaria.

Oggi come allora, i professoroni, i professionisti dell’intellighenzia ci dicono che sbagliamo, che libero mercato planetario e senza frontiere è ineluttabile, lo dicono con lo stesso piglio e le stesse certezze con cui difendevano la barriera antifascista di Berlino e la vittoria del comunismo che avrebbe portato libertà.

Come nel 1989 vinceremo noi, perché le menzogne e la violenza possono tenere prigionieri i popoli per un tempo limitato, non per sempre.

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