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Cinema, Roma, da Alberto Sordi a Carlo Verdone -Seconda parte-

Arriva Carlo

Di film in film, infine, ci ritroviamo davanti l’erede designato, dalla vulgata almeno.

Partito dunque col peso di un confronto pesante col suo predecessore, Verdone ne fu in ogni caso benedetto e spiccò il volo.

Classe 1950, romano con qualche radice limitrofa, laureato in lettere (“una passione per Tacito”), segno zodiacale “Scorpio”, come ricorda allorché qualche suo personaggio indica la sua stessa data di nascita, il 17 novembre, figlio di professori, Verdone ha sempre narrato di un’infanzia e giovinezza tutto sommato dorate: quasi investito dalla luce della sua città, di cui non raccoglie le cupe atmosfere anni settanta di gioventù.

Dobbiamo confessare lo scarso interesse verso le sue storie di backstage e retroscena, un aspetto da addetti ai lavori che sfigura l’opera fatta e finita, così come ci ha fatto ridere, emozionare, sognare; e Verdone indugia fin troppo in questi flash back a base di sora Lella, Lucio Dalla, rivalità e maldicenze. Questa non è una critica cinematografica, ma solo ” spettatoriale”. E noi siamo fan adulti, l’adorazione non è nelle nostre corde.

All’inizio Carlo non colpì più che tanto mentre, tra i venti e i trenta, si affannava nelle strisce comiche televisive, dopo essere comparso in qualche ruolo minore di incerta catalogazione.

Tre volte viene diretto da Giovanni Veronesi, in film corali dove il suo apporto è sempre gradito, ma non sono “roba sua”. “La Luna” di Bernardo Bertolucci, breve esordio del 1979 resta fuori, per così dire, dalla giurisdizione di Carlo. Anche “Zora la vampira” (2000) e “Italians” del 2009, non saranno la sua acqua.

Con Alberto Sordi girò “In viaggio con papà” e “Troppo forte”. Nel primo mal si fondono due personalità costrette alla logorrea per fissare i personaggi; nel secondo il veterano Alberto irrompe con eccessiva energia in una sceneggiatura delicata.

Le foto del ragazzo Verdone ci mostrano un volto sfinato e una fisionomia del tutto diversa da quello che conosceremo solo pochi anni dopo, come se qualcosa di importante fosse accaduto nel frattempo.

Carlo Verdone parla della nuova droga dei giovani: “Anch’io ho provato Fentanyl. È come essere in un batuffolo caldo” Il Fatto Quotidiano, 29/08/2019

L’uso per scopo medico da lui dichiarato ha sempre indotto i fan a sovrapporlo ai suoi personaggi, farmacodipendenti e nevrotici, insicuri nei rapporti con le donne.

Glissiamo su “Bianco, rosso e verdone”, performance che oscilla dal mimo all’affanno: ancora l’artista è incompiuto, intento a prove tecniche.

Un sacco bello 1980. Di nuovo tre personaggi, nella capitale agostana che accentua le solitudini e mette davanti a un vuoto difficilmente colmabile, fino a che, si spera, emergeranno nuove speranze.

Borotalco 1982. Il cult affonda nella vacuità dei rapporti di coppia dei giovani, nelle gabbie in cui sono rinchiusi anche nei liberati anni ottanta e nella scarsa tenuta, ormai, delle famiglie che si proveranno a formare.

Acqua e sapone 1984. Si ripropone lo scambio doloso di identità, con esiti forse meno felici che nel precedente, ma un filo di dolcezza in più. Al tempo stesso si avverte l’amore per Roma che entra nei pori anche del più accanito nemico della capitale.

Spesso non viene nemmeno citato “Cuori nella Tormenta“, dello stesso periodo. La regia non è di Carlo, che collabora alla sceneggiatura dove compare perfino Ettore Scola, ma le comicità televisivo/teatrali di Lello Arena e Jimmy il Fenomeno non quagliano con le dinamiche verdoniane. Tendiamo a ignorare anche “Grand hotel Excelsior” sgangherata prova di troppi galli in un pollaio.

I due carabinieri sempre 1984. Due romani a confronto, carabinieri in trasferta, con un Montesano in gran spolvero, e un amore malato di Marino/Verdone per la cugina, che rischia di finire in tragedia.

 7 chili in 7 giorni 1986. Piacevole digressione diretta dal fratello Luca Verdone, in cui umilmente Carlo accetta i tempi del coprotagonista Renato Pozzetto, in uno scontro al calor bianco tra comicità lombarda e romanesca.

Io e mia sorella 1987.Punge decisamente, buttando sul piatto il sospetto di un amore fraterno morboso.

Compagni di scuola 1988. Il ragazzo per bene fa più sfracelli di tutti, perché non è un mascalzone di natura e il male, lo fa proprio male.

Il bambino e il poliziotto 1989. Si nota l’assenza di contraltari maschili o femminili. Nessun partner fisso, né comprimari di un certo peso a far da contorno. Il tema di un single incallito, che si ritrova ad occuparsi fortunosamente di un bambino altrui, non era nuovo. La recitazione è sottotono e il finale, in effetti, all’americana. E’ una tappa un po’ evanescente della “summa” verdoniana, con una sceneggiatura che, in origine era stata pensata per Luigi Comencini. Magari di base era buona, ma manca di molto. Verdone non è un poliziotto da parodia, ma non convince come commissario vero; non c’è una convincente partner femminile; scade subito il ritmo narrativo: e Carlo, da batterista amatoriale, lo sa.

Gli anni novanta

Stasera a casa di Alice” 1990. Carlo prova il trittico di protagonisti e non sbaglia. Ornella Muti è partner sperimentata, Sergio Castellitto un coprotagonista strepitoso. Forse la vicenda parallela della depressa sorella di Alice aggrava un po’ la visione, ma il divertimento, in questo caso venato di una buona dose di amarezza, è garantito. Carlo mette i piedi nel piatto con la solita nonchalance: l’adozione di bambini all’estero, la noia matrimoniale, la trasgressione sessuale.

Maledetto il giorno che t’ho incontrato 1992. Due super impasticcati con una vita sentimentale disastrosa devono innamorarsi per forza, passando attraverso la passione frustrata per il rock, il tabù dei lassativi, la cotta per l’analista, l’annullamento dell’erotismo dopo la fine di una storia, Rita Pavone… e tante, tante citazioni, in quella fase della vita in cui inizi a non provare più una “bella” nostalgia per il passato, ma si insinuano i rimpianti ed è meglio guardare avanti. Margherita Buy e Carlo si fondono alla perfezione.

Al lupo al lupo 1992. Un altro terzetto vincente. A fianco di Carlo troviamo Francesca Neri e Sergio Rubini. Qualche forzatura per tenere insieme troppi temi.

Perdiamoci di vista 1994. Le allusioni all’ambiente RAI e lo sberleffo alla televisione del dolore sono espliciti e ci fanno gongolare, ma, ridendo e scherzando, si parla di disabilità; sullo sfondo, verso il finale, una Praga romantica. Musiche suggestive di Fabio Liberatori.

Viaggi di nozze 1995. Un’altra riproposizione matura dei tre personaggi “classici”, anche se l’episodio che segna il film resta quello girato con Claudia Gerini, con il tormentone “‘o famo strano”. Continua la dolente riflessione sulla coppia, senza però una resa al pessimismo.

Sono pazzo di Iris Blond 1996. Ecco di nuovo la coppia Verdone/Gerini in tutto il loro splendore. C’è il repertorio di Carlo, la passione per la musica, la depressione, l’amore inatteso, trovato e perso, il dolore e la rabbia, il sarcasmo, una goccia di politicamente scorretto, l’irriconoscenza della vita, e la cattiveria pura: l’occhio di Jacqueline è come quello della madre in Fantozzi/Potemkin. E aspetti sempre una scena amorosa “vera” che Carlo non concederà mai.

Il Gallo cedrone, 1998. Carlo diventa un cialtrone per eccellenza, che naturalmente farà carriera un’Italietta fin troppo caricaturale.

Terzo Millennio

C’era un cinese in coma 2000. Nel ruolo di un impresario di sottobosco, qui Carlo è messo troppo al servizio dell’esordiente Beppe Fiorello, ma il contrasto tra generazioni è reso bene; e si fa luce sull’ambiente dello spettacolo con i suoi sogni infranti e le subentranti modalità nel creare personaggi.

Tralasciamo i vari “Manuali d’amore” dove l’attore si appiattisce a favore di presenze non sempre felici, tra tutte una negatissima Littizzetto.

Ma che colpa abbiamo noi 2003. Un gruppo di disperati in psicoterapia di gruppo, dopo la morte della terapeuta, decide l’autogestione con esiti alterni, trovando nuove sfide senza aver risolto le precedenti.

L’amore è eterno finché dura 2004. Ottimo cast a incorniciare il cinquantenne sessualmente irrequieto, beccato mentre partecipa a uno speed date che cambierà la vita a tutti.

Il mio miglior nemico 2006. Direttore d’albergo spocchioso licenza con giusta causa una dipendente instabile; il figlio di lei però gliela giura. Finirà con una valida esperienza umana.

Grande grosso e Verdone 2008. Di nuovo Carlo si fa in tre, con esiti buoni per un pubblico di fan.

Io loro e Lara 2009. Prete missionario in Africa torna in Italia dopo anni, trovando una società in dissoluzione.

Compiuti i sessanta

Posti in piedi in paradiso 2012. Storie convulse di tre single per scelta o di ritorno. Gara di bravura tra Verdone, Favino e Giallini.

Sotto una buona stella 2014. Attacco nostalgico con un leggendario pezzo R&B, crepuscolare amore per Roma in una famiglia che si forma e si ricrea secondo i dettami del terzo millennio. Carlo si sacrifica per valorizzare Paola Cortellesi, in una storia di adattamento esistenziale.

L’abbiamo fatta grossa 2016. Agrodolce incontro scontro tra un attore sfigato e un improbabile detective, Carlo appunto, qui alle prese con un ritmo recitativo più lento, per accordarsi al partner Antonio Albanese.

Benedetta follia 2018. Proprietario di un negozio di articoli sacri viene lasciato dalla moglie per una donna; si imbatte in una bella coatta che lo trascinerà in avventure lisergiche.

Ci manca “Si vive una volta sola”, pronto a febbraio 2020, bloccato dal lockdown e poi riversato nei circuiti a pagamento. Non abbiamo avuto cuore di guardare una storia di medici in ospedale un attimo prima che si dovessero rivestire di scafandri per la “pandemia”, circostanza che sicuramente ha frustrato Carlo; ma non dubitiamo di recuperarlo come sicuramente merita.

L’uomo Carlo Verdone

La passione cinematografica ci ha portato spesso davanti a set capitolini, che Carlo ha utilizzato per mostrare la sua città sotto luci sempre diverse, in modo scanzonato, ma con molta emozione. Stava a ciascuno trovare il pregio negli innumerevoli dettagli di queste pellicole.

Sposato, due figli, separato da tempo, ma mai divorziato, i rotocalchi sono riusciti solo a scrivere qualche allusione su lui e Claudia Gerini, al tempo del loro sodalizio professionale, ma i due hanno sempre parlato di semplice amicizia. Sta di fatto che i rotocalchi e la stampa in genere rispettano la sua privacy, come non fanno praticamente con nessun altro artista del suo calibro. Non escono fotografie, nemmeno col teleobiettivo, fuggevoli immagini, con chicchessia. Carlo è etereo, inafferrabile, e in questo ci ricorda proprio Sordi.

Entriamo dunque nel “mood” dell’autobiografia di Carlo, “La casa sopra i portici“, uscita nel 2012.

Il titolo, da solo, già ci porta tristezza, riferendosi evidentemente alla casa di famiglia dell’autore. Da Mangialibri.com, Simeone Ballini: ” Siamo a Roma, in un cupo pomeriggio di aprile. Un uomo elegante si trascina malinconico per via Lungotevere dei Vallati. Si ferma a contemplare il numero due, un imponente palazzo umbertino per metà rosso vinaccia e, dopo un po’ di esitazione, decide di salire al terzo piano. Quell’uomo è Carlo Verdone, e quella è la casa che la sua famiglia aveva in affitto dal Vaticano dal millenovecentotrenta. Lui è lì perché ha un appuntamento con l’addetto del vicariato: è giunto il momento di restituire le chiavi. Prima di farlo però, prima di abbandonare definitivamente quel luogo che lo ha visto nascere e crescere, decide di fotografarlo tutto…”

Tuttavia noi resistiamo all’incipit decadente e nostalgico e cerchiamo il comico e l’irriverente in quelle pagine.

Nessuno sconto viene concesso ad Alberto Sordi, ma Carlo, come vive? Forse similmente? O almeno a casa sua le saponette non scarseggiano e la luce si può accendere senza timore di spreco?

Un plauso sorge spontaneo a leggere del cognato Christian De Sica, che avrebbe praticamente salvato la sorellina Verdone, Silvia, da frequentazioni pericolose, e questa è una sorpresa: oggi Silvia è una signorotta romana altoborghese, ben lontana dalla lolita che il fratello, un po’ impietosamente, ci descrive. D’altro canto Carlo non sembra risparmiare nessuno, con vellutata perfidia.

Nondimeno intercettiamo un senso di calore, di famiglia, di affetto, di cameratismo, in mezzo agli altisonanti nomi che frequentavano la sua bella casa, e questo è quanto di meglio poteva riuscire a darci: un altro film, solo scritto, uno sguardo su quel mondo.

Chissà, magari Carlo sta a Roma come Romano, nome non casuale, sta all’ambiente della capitale in “La grande bellezza” del 2013: piccolo ruolo, ma forse grande simbolismo.

Forse più apprezzato al centro sud che nel nord Italia, Carlo Verdone resta comunque un vettore della romanità, con minor pretese, rispetto a Sordi, di rappresentare l’italiano medio, e più esposto nel rappresentare nevrosi e fragilità. Mai volgare, sembra voler risparmiare allo spettatore le brutture del mondo, con l’intesa che potrebbe stare all’altezza di Kenneth Branagh, ma per questa ennesima volta lascia perdere. Nessuna sfumatura viene trascurata nelle sue sceneggiature e dalla regia: dai protagonisti alle comparse, a ognuno è affidato un male della vita.

E allora grazie, “acido” Carlo.

Carmen Gueye