Le parole sono molto più importanti di quanto pensiamo.
Non si tratta di semplici segnali, pensati solo per farci reagire correttamente. Si sente troppo spesso, tuttavia, nella classe politico-mediatica dove le parole non valgono per la maggior parte del tempo, salvo per la loro carica emotiva: comunione o indignazione. È necessario andare oltre questi slanci troppo sensibili. La parola multiculturalismo, che comunemente si riferisce al progetto sociale che ci stanno preparando, è particolarmente importante, è una parola da demitizzare (privare di mito).
Papa Francesco ne ha fatto il simbolo della sua agenda politica per l’Europa. È in nome del suo impegno multiculturalista che ha, del resto, ricevuto il «Premio internazionale Carlo Magno 2016» assegnato dalla città di Aachen (Germania), l’antica Aquisgrana scelta dall’imperatore come residenza per farne un “ponte” tra il passato e il futuro e favorire l’integrazione tra i diversi popoli dell’Europa.
Il multiculturalismo oggi è bene. Si potrebbe anche dire: che è il Bene, con la “B” maiuscola. In suo nome si ricevono gli immigrati; sempre in suo nome si fa insegnare l’arabo nelle scuole (Nota 1).
Il multiculturalismo ha un futuro, è il nome del nostro futuro. Ma cosa significa? Si constata l’utilizzo di un linguaggio che vale più come “parola chiave” che per la sua “connotazione morale”. È utilizzata come nelle “campagne pubblicitarie” anti-tabacco: ci ripetono in coro “bella” o “brutta” a seconda se c’è o non c’è del fumo di sigaretta nella fotografia. Così ci danno lezione di cittadinanza con la stessa modalità che pretendono “educare” a non fumare. Allora, visto che sono ben pochi o quasi nessuno a farlo, io grido IL FUMO FA MALE! FUMARE UCCIDE! Hoops …volevo dire: IL MULTICULTURALISMO FA MALE! IL MULTICULTURALISMO UCCIDE! E vi invito a gridarlo anche voi.
ATTENZIONE PERICOLO! E cerco di spiegarlo: un Italia multiculturale sarebbe una Nazione in cui ogni immigrato potrebbe rivendicare la sua lingua, la sua cultura, i suoi costumi, la sua storia e le sue tradizioni di origine, alla pari con la lingua e la cultura storiche del paese ospitante. In effetti, non sarebbe più una Nazione nel senso tradizionale del suo significato (ma è anche vero che l’Italia è difficile identificarla come “Nazione”), con una volontà di continuare ad affermare l’eredità che abbiamo ricevuto indivisa. Perché, nel sistema che ci vogliono imporre, non c’è più una lingua ufficiale o una cultura comune, nient’altro che un supermercato di culture che vivono giustapposti l’uno con l’altro in una sorta di magma informale in cui il «peso demografico» di una comunità sarebbe l’unico criterio per legittimare una cultura.
Quindi è assolutamente necessario lasciare il pensiero fatto di slogan, anche se potrebbe significare di ri-imparare a riflettere, a pensare. Anche se non sempre è conveniente per gli adulti!
In ogni caso, il MULTICULTURALISMO offre una meravigliosa opportunità per riflettere sulla nostra identità, su quanto organizza il ‘’ministero dell’Istruzione’’ per allontanarci da essa e sul fatto che la crisi in cui stiamo affondando è prima di tutto culturale.
La prima cosa da fare è trasmettere la nostra cultura a coloro che vogliono vivere con noi. Non sto parlando solo di immigrati, ma anche di quei decerebrati, per i quali si può dire che, oltre ai loro computer, sono solo i soldi che contano.
Nota 1: Dal 2013 al 2015 si è assistito in Italia ad un vero e proprio boom di scuole superiori interessate ad inserire la lingua araba (e in città come Roma anche il cinese) nell’offerta formativa: 17 regioni su 20, almeno dai dati disponibili, risultavano aver attivato in qualche scuola un percorso didattico sull’arabo.
L’inserimento della lingua araba come materia di insegnamento nelle scuole, in realtà, ha un’origine antica: già nel 1841, infatti, si legge nel «Progetto di riforma del regolamento della Pubblica Istruzione» ( – nota a – tipografia Floriana: Napoli, 1841):
“Nel Liceo del Salvatore in Napoli avranno luogo, oltre di tutte le altre lezioni filologiche proprie dei Collegii e dei Licei, anche la lezione di lingua Ebraica, che esiste attualmente nella R. Università, e la lezione di lingua Araba.”
Da allora, però, la lingua araba non ha trovato più posto a livello ministeriale nelle scuole italiane; tant’è che si è dovuto aspettare il 2004 perché a livello nazionale si venisse a conoscenza del fatto che, proprio in Campania, in un liceo di Caserta, ci fossero i primi cinque studenti maturandi in questa materia – nota b -.
Dalla raccolta dei dati condotta in questi ultimi anni dal ‘’Laboratorio Dar’’ dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, risulta che il fenomeno stia coinvolgendo principalmente due ordini di scuole: le scuole secondarie di secondo grado e le scuole primarie. Per le scuole secondarie, la tipologia di scuola in cui maggiormente si riscontra l’inserimento dello studio dell’arabo è il Liceo Linguistico. La scelta fatta da questi licei è di proporre l’arabo o come terza lingua del curricolo scolastico, oppure come ampliamento dell’offerta formativa in orario extrascolastico.
Per quanto riguarda, invece, la scuola primaria, il fenomeno risulta meno diffuso, ha una collocazione oraria extracurricolare ed è frutto di scelte prevalentemente di carattere interculturale a vantaggio di una migliore integrazione degli alunni stranieri, valorizzandone la lingua d’origine come suggerito nelle linee guida ministeriali del 2014 – nota c -.
Ma oltre a questo ci sono scuole che hanno utilizzato motivazioni con una visione più ampia; si legge, ad esempio, fra le motivazioni della scuola Molinella di Bologna – nota d-: “Al fine di garantire una migliore integrazione linguistica e culturale degli alunni residenti nel territorio, avvicinando costumi, linguaggi e tradizioni e per favorire lo studio di una cultura che anche anticamente è stata importante e che oggi è protagonista dell’economia mondiale.”
L’inserimento dell’arabo come disciplina di studio nelle scuole è andato incrementando, soprattutto da quando dapprima sono stati istituiti i Tirocini Formativi Attivi (TFA) di lingua araba (A112) e in seguito è stata emanata una nota ministeriale (prot. 3943 del 22/04/2013) che ha ridefinito la classe di concorso in «A846 lingua e civiltà straniera arabo/ebraico», che infine è stata tramutata in «AD46 lingua e civiltà straniera – Arabo», valida sia per il TFA, sia per il concorso a cattedre. Inoltre, è il risultato di politiche territoriali inclusive di matrice interculturale, non omogenee a livello nazionale, ma comunque diffuse in molte regioni e province.
Note:
a) Progetto di riforma del regolamento della Pubblica Istruzione, tipografia Floriana: Napoli, 1841.
b) Corriere della Sera, 27 maggio 2004.
c) MIUR, Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri, C.M. 4233, 19 febbraio 2014, 20. URL http://www.edscuola.eu/…/uploads/2014/02/prot4233_14.pdf (2018-03-26).
d) Circolare nr. 260, 2016.
Marco Affatigato