La scuola, la sacrosanta scuola, la stramaledetta scuola: croce e delizia, rovina e speranza del bell’italo regno. Che ne è della scuola?
Io, che di scuola ne ho masticata tanta e che ho assistito, incredulo e impotente, al rotolare fragoroso, dalla riforma Gentile al baratro, dei processi educativi, della cultura, in definitiva della civiltà, vi confesso di non poterne più. Di non volerne più sapere. Sono stanco di sentire sciocchezze inenarrabili, calamitose baggianate, mentre i nostri ragazzi vengono su sempre più ignoranti, sempre più svogliati, sempre più deboli.
Galimberti che dice che bisognerebbe sottoporre a test psicologici i docenti, Cingolani che postula la necessità di cretini funzionali a premere bottoni, Bianchi – il ministro Bianchi – che farnetica ogni volta che parla del proprio dicastero: basta! Lasciate che, una volta tanto, a parlare di scuola non siano gli altri, ma quelli che ci vivono dentro e che ne subiscono, giorno dopo giorno, la velenosa agonia.
E, allora, se intervistati a telecamere spente, i docenti vi diranno che la scuola non è più scuola: che i contenitori sono tutto e i contenuti niente. Che i saperi latitano e i progetti crescono: che le discipline spariscono, sostituite da un’infinita serie di bambocciate creative, di laboratori di nessun lavoro, di webinar che nessuno segue, di alternanze che non alternano un bel nulla.
Diciamocelo, insomma: la scuola, come la intendevamo una volta, non esiste più. Esiste una fatiscente struttura formativa, del tutto inadeguata, in mano a pavidi e a incompetenti, che non funziona e che si regge sul fatto che tutti abbiano paura di proclamare che il re è nudo. Ma cadrà, per la miseria, questo castello di carte! Verrà un momento in cui si passerà il segno e la gente inizierà a protestare, a denunciare, a rifiutarsi di tenere il sacco a questa banda di incapaci.
Magari non sarà l’anno prossimo, magari neppure fra dieci anni, ma, per la miseria, verrà un giorno in cui la misura sarà colma. E, allora, si invertirà la rotta. Sapete, però, quale sarà, allora il problema? Che non ci sarà più nessuno in grado di insegnare: che la scuola sarà popolata da fantasmi di professori, lontani anni luce dal livello degli ultimi della vecchia guardia. E lo iato sarà incolmabile: non torneremo mai più a quella scuola che il mondo ci invidiava.
Sarà finita, anzi: è finita. So che ho ragione, anche se non ve lo posso dimostrare. Ho un’unica vera malinconia, un unico rimpianto: io quel giorno non ci sarò. E non potrò ridere della caduta degli dei.
Anche se, ve lo confesso, sarebbe stato, comunque, un riso amaro.
Marco Cimmino