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Economia. Cursano (Fipe-Confcommercio): “Modello economico italiano ha fallito e giovani fuggono da un Paese senza prospettive”

La gente pensa che non ci sia crisi perché non riesce a prenotare al ristorante, troppo spesso sempre pieno. Possiamo dunque dire che non ci resta che mangiare, per il resto però bisogna tagliare.

“La gente pensa che non ci sia crisi perché non riesce a prenotare al ristorante, troppo spesso sempre pieno. Possiamo dunque dire che non ci resta che mangiare, per il resto però bisogna tagliare. Il settore della ristorazione dopo la crisi pandemica si sta riprendendo leggermente, e le persone vedono nel ristorante un modo per passare il tempo, per vivere un momento di convivialità e questo aiuta il settore. La situazione per gli altri settori però è ben diversa, per esempio i bar italiani sono in profonda crisi. Solo negli ultimi anni hanno chiuso la serranda più di 20000 bar, e questo è dovuto sia dall’aumento dei costi generali in bolletta, sia dal prezzo del caffè. Mentre nella ristorazione con un po’ di strategia imprenditoriale si può avere una prospettiva di guadagno dovuta ai prezzi più elevati, i bar lavorando su prezzi molto piccoli strada facendo sono destinati a soccombere”.

E’ iniziato con queste parole l’intervento con il quale, Aldo Cursano, rappresentante FIPE Confcommercio, è intervenuto nel corso della trasmissione ‘ L’imprenditore e gli altri’ condotta da Gianluca Fabi in onda su Cusano Italia Tv in merito alla crisi che sta vivendo l’economia italiana.

Successivamente, proseguendo nel suo intervento, il rappresentante di FIPE Confcommercio si è soffermato sui dati riguardanti le spese sempre più esose delle famiglie, specificando: “I dati delle spese mensili obbligate delle famiglie italiane, vale a dire tutto quello che riguarda le spese mediche, le bollette, il cibo ecc. sono equivalenti al 56% del totale delle spese familiari, per importi che superano i 2000 euro. Questo ci dice che il modello economico produttivo e distributivo del nostro paese per le famiglie e per le piccole imprese non sta più in piedi. Stiamo assistendo a un processo di desertificazione delle imprese, con luci di attività che si spengono e chiudono la serranda dei nostri paesi e centri storici. Non è difficile capire che quando le spese superano le entrate vuol dire che il modello economico ha fallito. Bisogna ripensare questo modello, cercando di avvicinare i giovani che oggi fuggono dal nostro Paese. In alcuni ambiti c’è molto lavoro, ma mancano i lavoratori. Questo perché i giovani soprattutto non si riconoscono in questo modello organizzativo, estremamente obsoleto e che non corrisponde più alle priorità e ai bisogni dei nostri ragazzi”.

In merito al tema del modello economico, Aldo Cursano ha poi approfondito: “Non siamo in grado, continuando su questa strada, di perseguire il ricambio generazionale dettato dal patto sociale. Continuiamo a buttare i soldi nello sviluppo di grandi sistemi e grandi infrastrutture, sperperando i soldi del PNRR e costruendo strutture che non saremo mai in grado di mantenere in vita. Bisognerebbe invece modificare questo sistema, che non sta economicamente in piedi. Oggi il sistema premia la speculazione-sottolinea- e non il lavoro di chi quotidianamente fornisce un servizio. Se continuiamo a voler supportare chi specula senza il minimo sacrificio, invece che premiare il lavoro e il merito, non andremo lontano”.

Infine, concludendo il suo intervento Aldo Cursano ha analizzato le motivazioni che spingono i giovani a lasciare l’Italia, affermando: “Quando non hai prospettive non resta che andartene. C’è una fragilità di sistema tale che non permette di fornire certezze e prospettive, e quindi non ci sono idee né investimenti. Oggi le nuove imprese chiudono dopo 6-12 mesi, vuol dire che c’è uno stile di vita e un modello che non possiamo più permetterci. Se non costruiamo un modello diverso ascoltando i giovani le luci delle attività continueranno a spegnersi come fanno ora. Dobbiamo trovare un modo per soddisfare le loro richieste e i loro bisogni, pena il collasso del sistema. Prima erano le imprese a selezionare i ragazzi, oggi avviene il contrario. I lavoratori non accettano le proposte di lavoro delle imprese. Non ci stanno a essere prigionieri di un patto sociale in cui non si riconoscono, in un paese che non dà loro alcuna prospettiva”.