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Hiroshima: l’olocausto dimenticato

“Ich bin der Tod geworden” , sono diventato morte. Queste sono state le parole con cui il fisico statunitense Robert Oppenheimer ha commentato gli esiti del Trinity Test, il primo test per un’arma nucleare, effettuato nel luglio del 1945 nel Nuovo Messico.

Il Trinity Test ha avuto luogo nell’ambito del progetto Manhattan, il programma più avanzato per la ricerca di nuove tecnologie che avrebbero potuto dare vita alla costruzione di ordigni nucleari e di cui Oppenheimer era la personalità più brillante.

Il Trinity test ebbe luogo venti giorni prima dell’esplosione atomica sulla città giapponese di Hiroshima; venti giorni prima di quel 6 agosto 1945 che ha palesato la potenza e l’atrocità di questa nuova arma.

L’esplosione del primo ordigno atomico avvenne alle 8.15 del mattino, in un momento molto delicato dell’ormai ultima fase del secondo conflitto mondiale: sul fronte occidentale la guerra si era ormai conclusa, mentre nel Pacifico Usa e Giappone continuavano a combattere, estenuate, una guerra resa molto impegnativa dall’utilizzo della tecnica dei kamikaze da parte dei giapponesi.

Da tempo gli statunitensi stavano progettando un’arma nucleare, come d’altronde quasi tutte le altre potenze coinvolte in guerra: URSS, Francia, lo stesso Giappone e soprattutto Germania; la minaccia infatti che lo stato nazista potesse giungere per primo al possesso di tale arma spinse gli Stati Uniti allo stanziamento di ingenti fondi per la ricerca in questo senso fino al raggiungimento di tale obiettivo.

Sulla reale necessità o meno di sganciare la bomba per porre fine al conflitto, il dibattito pubblico si è più volte espresso e con direzioni diverse: gli Stati Uniti ne sostenevano la necessità, molti altri Paesi ritenevano, al contrario, che la guerra probabilmente si sarebbe conclusa da lì a poco, date le condizioni ormai precarie del Giappone.

Il 6 agosto non ha però solo significato la fine della Seconda Guerra mondiale e la sconfitta giapponese, altrimenti, se così fosse, se ne potrebbe solo che gioire.

Lo sgancio della bomba atomica ha posto sì fine ai sei anni forse più lunghi della storia umana, ma le modalità con cui ciò è avvenuto sono tali da aver lasciato nella storia una ferita e molte domande aperte sul significato morale di questo gesto. Le implicazioni etiche sono state tante, dal momento che la distruzione di Hiroshima ha significato soprattutto morte di donne, bambini, anziani; civili non impegnati al fronte. L’arma utilizzata è stata per la prima e ultima volta un’arma, appunto, di distruzione di massa e l’effetto psicologico e fisico che ha avuto sulle masse mondiali non può essere trascurato.

Oggi sono passati settant’anni da quell’esplosione, settant’anni segnati da altre guerre, che hanno tenuto il mondo col fiato sospeso poiché consumatesi sotto la minaccia perenne del riutilizzo della bomba atomica; settant’anni di innovazioni tecnologiche, scoperte scientifiche ma anche settant’anni di campagne contro la proliferazione nucleare e campagne umanitarie tese a migliorare le condizioni di tutte le persone non direttamente coinvolte in quella prima grande esplosione ma che portano sul corpo tutte le conseguenze del cosiddetto “post-Hiroshima”; settant’anni che hanno visto il verificarsi del disastro di Fukushima, che in un attimo ha reso nuovamente visibili le cicatrici derivanti dalle conseguenze delle radiazioni nucleari sui civili, facendo riaffiorare quel 6 agosto non solo nella memoria, ma sotto lo sguardo e sulla pelle di tutti.

Settant’anni di trattative, accordi, dibattiti sul carattere etico e morale non solo della scelta di Truman ma degli effetti del nucleare in generale, di quanto il potere, la supremazia militare, il prestigio abbiano portato al limite della civiltà una guerra già di per sé deprecabile e percorsa da crimini inumani.

La seconda guerra mondiale è stata il teatro delle stragi naziste,delle barbarie dei regimi totalitari, del genocidio ebraico e della nascita della bomba atomica.

hiroshima

Se però le librerie, le videoteche, le pareti delle scuole brulicano di libri, film ed immagini che condannano la Shoah, scarsi sono i documenti e le ricorrenze volte a non far dimenticare l’altro grande olocausto di questa guerra.

Nessun Paese, che voglia ancora essere considerato tale, si permetterebbe di minacciare la riapertura dei Konzentrationslager, ma sempre più nazioni vogliono essere annoverate tra quelle detentrici di armamenti nucleari; se nel 2015 nessun Paese parlerebbe più di razza inferiore, si stipulano però ogni giorno accordi instabili tra le diplomazie internazionali circa il possesso di questo tipo di energia.

La storia condanna entrambi i comportamenti come crimini di guerra e forse, se il 27 gennaio ci insegna a non dimenticare le vittime innocenti dell’ambizione egemonica tedesca, il 6 agosto dovrebbe ricordarci di quella americana.

Giulia Bonometti