Ogni anno sulle località sciistiche alpine si presenta il solito dilemma: ricorrere o meno all’innevamento artificiale? Se inverni come quello del 2013-2014 o quello tra il 2005 e il 2006 sono stati segnati da pesanti nevicate, questo, fino a oggi, si è caraterizzato dalla quasi assenza di precipitazioni. Un problema non di poco conto in termini ambientali ed economici, ma soprattutto come questione etico-morale.
L’innevamento artificiale, inventato da Vincent Schaefer nel 1946, viene realizzato con un processo che imita quello naturale. Il cannone sparaneve pompa e, dopo la nebulizzazione, anche grazie alle necessarie temperature rigide, ricade dal macchinario sotto forma di piccolissime goccioline d’acqua. Attualmente sono 150 i bacini idrici gestiti da Dolomiti Superski, tuttavia la richiesta per la produzione della neve artificiale potrebbe portare a un aumento di altre sessanta fonti di rifornimento. Il lavoro di recupero dell’acqua e redistribuzione localizzata sulle piste comporta investimenti notevoli, infatti durante il 2015 le imprese pubbliche e private hanno speso nelle innovazioni oltre 50 milioni di euro.
Anche in Trentino si è fatto uso cospicuo dell’innevamento artificiale: le deboli nevicate dei giorni scorsi non hanno permesso di realizzare piste da sci con neve naturale, e ciò porterà appunto all’uso dell’innevamento artificiale. Una decisione pericolosa soprattutto per l’equilibrio idrico delle Alpi, fondamentale anche per quanto riguarda il bacino della pianura padana. Il 3 gennaio a riguardo Padre Alex Zanotelli ha affermato: “L’acqua deve essere gestita senza profitto. Vergognoso che venga utilizzata per l’innevamento artificiale“. L’Università di Zurigo nel 2006 pubblicò su Geophysical Research Letters una relazione che se anche solo la temperatura estiva e non necessariamente quella annuale, dovesse salire di 3°C rispetto alla media degli ultimi 50 anni, come sembra stia avvenendo, l’80% dei ghiacciai scomparirebbe; se la temperatura invece dovesse salire di 5°C scomparirebbero del tutto.
In ogni caso, dunque, entro il 2100 le montagne alpine arriveranno ad avere un aspetto simile a quello degli Appennini.
Il turismo di massa sugli sci, in questa diatriba sull’effettiva necessità di usare la neve artificiale, prevale però sull’ambiente. Sono oltre 6 milioni, secondo i dati diffusi dalla Provincia Autonoma di Trento per la stagione 2013-2014, i turisti che trascorrono le vacanze invernali nelle valli trentine: una cifra interessante sopratutto dal punto di vista economico. Il mito delle vacanze sulla neve esplose tra gli Anni ’70 e ’80 anche grazie ai cinepanettoni che lanciarono nell’immaginario collettivo le Alpi come località di villeggiatura. Da allora i tempi sono cambiati: qualsiasi turista difficilmente può ormai pronunciare la frase di Guido Nicheli in Vacanze di Natale:“Via della Spiga-hotel Cristallo di Cortina 2 ore, 54 minuti e 27 secondi: Alboreto is nothing!!“; altri tempi dal momento che qualsiasi turista invernale ha vissuto in prima persona le pesanti code a passo d’uomo sull’A22.
La neve, secondo i canoni del turismo invernale di massa, però, è necessaria. Si possono dimenticare le code, l’inquinamento prodotto dai Suv dei milanesi, gli esorbitanti costi delle camere, ma non il bianco candor di una pista innevata anche a costo di creare una mostruosa lingua bianca che si snoda per monti brulli.
L’acqua, bene sempre più prezioso, viene così usata in modo selvaggio e senza dar alcun peso alla sua importanza. Vi sono comunque delle alternative. Una è costituita dallo sci su erba, sport che prevede la possibilità di sciare senza la neve. In un video girato in rete nei scorsi giorni, due esperti di sci alpino hanno dato prova della fattibilità di svolgere sport invernali anche in assenza della neve. Una soluzione pratica, vicina all’ambiente, anche se certamente non affascinante come la neve, naturale o artificiale che sia.
Michele Soliani
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