Il 17 aprile si terrà il Referendum sulle trivelle ed è già diventato un caso politico, discusso in 10 diversi Consigli regionali, grazie alla sensibilizzazione attuata da associazioni ed enti ambientali: qualche mese fa Greenpeace aveva sollevato il caso principalmente per quel che riguardava la regione Emilia Romagna, in quanto “detentrice del maggior numero di pozzi per l’estrazione del gas naturale”, e che – anche per via del dibattito sul dissesto idrogeologico affrontato in questi anni per via del Delta del Po – aveva fatto discutere i molti comuni situati nelle vicinanze dei luoghi di estrazione.
Quest’ultimi, risultati dai più nocivi e non risolutivi per il fabbisogno energetico territoriale e nazionale, hanno avanzato un duro dibattito che oggi sembra ripercuotersi a livello nazionale grazie alla proposta del Presidente della Repubblica di attuare un referendum sulla questione. A far discutere, tuttavia, non è il solo caso relativo alle trivelle, bensì il fatto che il Governo abbia stabilito di far votare gli italiani il 17 aprile, il che comporterebbe tempi strettissimi per informare i cittadini in merito alla questione. Ed è proprio su questo punto che Rossella Muroni, presidente di Legambiente, interviene affermando: “la scelta del governo di far votare gli italiani il 17 aprile comporta che i tempi per informare i cittadini sul referendum sulle trivellazioni in mare e sull’importanza del quesito siano strettissimi, ma ce la metteremo tutta per coinvolgere gli italiani in questa partita importantissima”.
Non solo Greenpeace quindi, ma anche Legambiente si “scaglia” sulla questione, sottolineando come la decisione del governo di fissare il referendum il 17 aprile, e di non averlo voluto accorpare alle elezioni amministrative che si terranno più avanti, limiti fortemente le possibilità di coinvolgimento e di partecipazione degli italiani a una consultazione che interessa tutto il paese. È certamente vero che, come sottolinea il Corriere di Bologna, l’Emilia Romagna – ad oggi – risulta essere la regione più coinvolta in merito, ma è anche vero che il caso in questione coinvolge tutti i cittadini italiani che hanno pertanto il diritto di essere informati su un caso che si ripercuote a livello nazionale.
Bisogna tuttavia ricordare che la normativa, che regola la propaganda elettorale, impone che solo dal 30° giorno antecedente la votazione – in questo caso il 18 marzo, come riportato nella circolare del Ministero dell’Interno del 26 febbraio ai prefetti della Repubblica – possa partire la campagna informativa a tutti i cittadini. Ma proprio la Muroni ci tiene ancora a precisare che “sarebbe comunque stato necessario avere più tempo a disposizione per spiegare che tutto il petrolio presente sotto il mare italiano basterebbe al nostro Paese per sole 7 settimane – prosegue – mentre già oggi produciamo più del 40% di energia da fonti rinnovabili. Se si vuole mettere definitivamente al riparo i nostri mari dalle attività petrolifere occorre votare Sì, perché così le attività petrolifere in mare entro le 12 miglia andranno progressivamente a cessare, secondo la scadenza “naturale” fissata al momento del rilascio delle concessioni”. Ed è solo a questo punto che si inasprisce il dibattito sul Si e sul No. In molti sembrerebbero orientati a voler capire di più sulla questione ma, tenendo presente che i promotori sono proprio i 10 Consigli Regionali e che, per legge, dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto del Presidente della Repubblica “è fatto divieto alla pubbliche amministrazioni di svolgere attività di comunicazione ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale e indispensabili per l’efficace assolvimento delle proprie funzioni”, ci si può rendere conto di quanto siano ristretti i margini dell’informazione ai cittadini su questa consultazione popolare.
Insomma, mentre i promotori chiedono di cancellare la norma che consentirebbe alle società petrolifere di continuare ad estrarre gas entro le 12 miglia marine dalle coste senza alcun limite, Greenpeace si mobilita, nella giornata odierna, in ben 23 città italiane. “Trivellare il Paese minaccia la nostra identità” è il monito che oggi si alza a gran voce. Non resterà che attendere gli esiti finali di questo referendum.
di Giuseppe Papalia
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