Chi si fa fare un tatuaggio, nella maggior parte dei casi, lo fa per rendere un momento importante della propria vita indelebile sulla pelle come nella mente. Vengono scelti disegni e frasi il cui significato è più profondo di quello che letteralmente rappresentano, un mix di sensazioni e ricordi che rare persone avranno il privilegio di conoscere.
Ai giorni nostri, il tattoo è una vera e propria moda e questo ha portato parzialmente a scemare il velo di mistero che aleggiava intorno a questi segni impressi sul corpo. Soprattutto in campo estetico è sempre più richiesto, per l’oscuramento delle sopracciglia o per una linea perfetta di eyeliner.
Il pioniere di quest’arte si chiama George Burchett. Nato nel 1872 a Brighton (Inghilterra), è ricordato per essere il “King of Tattooists”. All’età di 13 anni entrò, dopo essere stato espulso da scuola per aver tatuato i suoi compagni, nella Royal Navy, grazie alla quale viaggiò oltreoceano. Ritornato in Inghilterra, aprì uno studio a Londra e iniziò la sua carriera di assai famoso tatuatore, essendo molto apprezzato da tutta la nobiltà europea.
Tuttavia, il tatuaggio iniziò a diffondersi in Occidente già intorno al 1700 con l’espansione coloniale in Africa e in Asia, dove questi disegni sulla pelle potevano indicare riti di passaggio, posizioni sociali, sfide superate e molto altro della vita di quei popoli. Venne bandito quasi da subito dalla Chiesa Cattolica a causa di una sostanziale diffusione tra marinai e criminali.
Attualmente, la maggior delle persone che fanno parte del mondo della tv e dello spettacolo hanno un tatuaggio e ciò ha portato l’accezione negativa derivante dal passato ad assopirsi sempre di più, ciò nonostante nella vita reale, quella di operai e insegnanti per esempio, averne di visibili può causare ancora problemi.
Secondo un’analisi de “il Post” del 2014, a parità di curriculum, si preferisce assumere chi non ne ha. Il fatto di avere tatuaggi visibili, pur essendo ormai quasi da considerare come un atto di conformismo, può indurre a pensare di essere una persona ribelle e di cui non ci si può fidare al cento per cento. Inoltre, il settore più penalizzato da questo modo ormai bigotto di pensare è il terziario, nel quale la relazione con gli altri è uno dei punti fondamentali.
Il collegamento della parola tatuaggio a quella di galeotto è simbolo di una chiusura mentale che non dovrebbe esserci nel XXI secolo, si tratta infatti di un pregiudizio sociale e non individuale, non del singolo ma della società.
I tatuaggi non sono più simbolo di criminalità, sono diventati un modo per esprimere qualcosa senza dover usare le parole. Il tatuatore è un artista, come il pittore che esprime le sue emozioni imprimendole su una tela o come un poeta che scrive i suoi versi d’amore, solo che è l’artista non semplicemente di se stesso ma anche di tutti gli altri.
Ingrid Salvadori
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