Il referendum in Catalogna è servito almeno a far emergere le sempre più evidenti differenze nello schieramento del centro destra che, in teoria, sarebbe in vantaggio nei sondaggi in vista del voto per le elezioni politiche italiane. Tre partiti – Lega, Fi e Fdi – che hanno poco in comune se non il desiderio di andare al governo. La sedicente Area di destra si è scoperta ligia e rispettosa delle leggi e, soprattutto, della Costituzione che in Italia è la migliore del mondo. Dunque, d’ora in poi, basta con rievocazioni del fascismo, vietate dalla Costituzione sacra e immutabile. Niente saluti romani, nessun ritratto del Duce.
E poi nessuna delega ai territori. Giorgia Meloni ha chiarito che lei, se fosse in Veneto o in Lombardia, non andrebbe a votare per il referendum sull’autonomia regionale, benché sia previsto dalla Costituzione più bella del mondo. In Italia, evidentemente, conta solo Roma è la romanità. Dunque si è finalmente trovato un utilizzo per gli enormi fondi bloccati della fondazione An: corsi di latino obbligatori per tutti i seguaci della Meloni. Corsi da tenere, ovviamente, solo a Roma perché il resto d’Italia non conta nulla. Quanto alla Lega, con i referendum di Lombardia e Veneto si gioca tutto. Se gli elettori diserteranno le urne, sarà difficile puntare su un programma di maggiori autonomie regionali. E la battuta d’arresto avrebbe inevitabili ripercussioni sul voto politico e sulla tenuta delle alleanze. Perché presentarsi insieme ad alleati che tali non sono e che boicottano le iniziative di uno dei potenziali partiti collegati?
Nel frattempo Forza Italia prosegue nella politica dei due forni, abbracciando Salvini e strizzando l’occhio al Pd per un eventuale governo di responsabilità che piace a Bruxelles e alla Merkel. Con Toti che, intelligentemente, fa il pontiere con la Lega mentre i badanti del bollito di Arcore guardano a Renzi o, in alternativa, a Minniti e persino a Gentiloni. Insomma, una corsa a perdere. Forse nella consapevolezza di non essere in grado di governare. E se ci si sente inferiori a Poletti e Fedeli, allora è davvero meglio lasciar perdere.
Augusto Grandi