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Il martire Mindszenty: il cardinale contro il comunismo

Ci sono alcuni eventi che la storia prova a dimenticare: l’arresto, 70 anni fa nell’Ungheria comunista, del cardinale József Mindszenty è uno di questi. Un uomo integerrimo, un eroe, un martire, che ha fatto della sua vita un esempio di fede e coraggio.

Mindszenty fu ordinato presbitero nel 1915, ma fin dall’inizio del suo operato dovette subìre numerose angherie. Il giovane parroco promosse la scuola e la catechesi, inserendo Gesù tra le persone di cultura: ma già nel 1919 venne arrestato dai comunisti di Bela Kun, in quanto sacerdote.

Nel 1944 fu ordinato vescovo, e si impegnò subito a soccorrere gli Ebrei e molti di loro furono salvati dal lager e dalla morte. Fu promosso per la sua dedizione ad arcivescovo nel 1945 e cardinale nel 1946: tuttavia, ciò lo mise ulteriormente in evidenza agli occhi dei regimi che si susseguirono.

Il 26 dicembre 1948, 50 anni fa, l’Unione Sovietica ordinò il suo arresto, in quanto il principe-primate d’Ungheria veniva riconosciuto come autorità allo stesso tempo ecclesiastica e civile, potendo persino incoronare il re. Aveva dunque una notevole importanza anche politica, che veniva sfruttata da Mindszenty solo a scopi benefici.

In carcere, il cardinale subì torture ed umiliazioni, fu drogato e costretto ad ascoltare oscenità, per spingerlo a confessare di aver commesso reati contro il regime; infine il 3 febbraio 1949, i dirigenti comunisti condussero il Cardinale Mindszenty in tribunale, rasato e vestito a nuovo, con l’anello al dito, dove fu condannato all’ergastolo dopo un processo-farsa. Provato dalle angherie subìte, firmò l’accusa di cospirazione contro il governo comunista in Ungheria, ma ebbe la lucidità di porre in calce la sigla C.F. (coactus feci, “l’ho fatto perché costretto”).

La sua punizione continuò per altri otto anni, nei quali si ammalò di tubercolosi. Passò dal carcere agli arresti domiciliari più volte, sempre controllato a vista affinché non si potesse inginocchiare né potesse pregare. Nel 1956 fu liberato a seguito dell’insurrezione popolare, che però durò poco: Mindszenty si dovette rifugiare nell’ambasciata statunitense a Budapest, senza poter partecipare ai conclavi del 1958 e del 1963.

Per molti anni Mindszenty rifiutò l’invito del Vaticano a trovare riparo presso lo stato pontificio: solo nel 1971 lasciò l’ambasciata e raggiunse la Santa Sede, grazie alla collaborazione del presidente degli Stati Uniti d’America Nixon. Infatti, con coraggio, Mindszenty rinnegò sempre con vigore l’idea di un compromesso tra la Chiesa e i governi comunisti, perché voleva mostrare al mondo quanti soprusi stesse subendo la Chiesa sotto il regime. Rimase nella storia la lettera di protesta indirizzata alla Segreteria di Stato della Santa Sede contro il metodo di nomina dei vescovi nei paesi comunisti, basata sui gusti dei regimi. Partecipò inoltre al Sinodo dei Vescovi, dove alzò la sua voce per far parlare la Chiesa del silenzio.

Poi si stabilì a Vienna, al Pasmaneum; malgrado i suoi 80 anni, continuò a viaggiare tra le comunità ungheresi sparse nel mondo per far sentire la sua vicinanza e al contempo descrivere la realtà del comunismo, sebbene il regime di Budapest avesse ottenuto dal Vaticano il suo silenzio, visto che gli fu chiesto di non parlare in pubblico senza aver prima sottoposto i suoi discorsi al vaglio delle autorità vaticane.

Solo il 1º novembre 1973 Papa Paolo VI chiese le sue dimissioni dalla cattedra ungherese di Esztergom, a 81 anni: malgrado il rifiuto di Mindszenty il papa nominò un amministratore apostolico momentaneo. Solo dopo la morte di Mindszenty, per un arresto cardiaco il 6 maggio 1975, a seguito di un intervento chirurgico, Paolo VI procedette alla nomina del nuovo arcivescovo, László Lékai.

La vita di Mindszenty fu costellata da prove di coraggio, umiltà, tenacia e fede incondizionata. Non alzò mai la voce, ma al contempo dimostrò una durezza inamovibile contro i crimini del comunismo, nascosti sotto il tappeto dalla Chiesa stessa. Rispettò tutte le cariche, non permise alcuna violenza, difese i poveri e i deboli e pregò senza sosta per tutte le anime, comprese quelle dei suoi aguzzini, anche quando non gli era permesso neppure inginocchiarsi. È un eroe ed un martire del nostro secolo, simbolo di una Chiesa senza compromessi e senza paura nei confronti dei nemici. Per questo motivo, il 22 ottobre 1996 è stata avviata la causa di canonizzazione, ancora in corso,

Nel 2012 finalmente Mindszenty ha ottenuto la definitiva riabilitazione legale, morale e politica, l’unica cosa che aveva chiesto in punto di morte. La Procura generale ungherese ha così chiuso ufficialmente la revisione del processo-farsa subito nel 1949.