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Lavoratori in malattia? Non più, se si lavora da casa. E l’INPS festeggia

Il lavoro agile, o smartworking, fa bene alla salute ed ai conti dell’Inps. Altro che re taumaturghi, è sufficiente non andare in ufficio e le malattie scompaiono. I dati dell’Inps, relativi all’andamento delle malattie di chi ha potuto lavorare da casa, offrono un’immagine illuminante sui comportamenti degli italiani. 

Nei primi giorni di arresti domiciliari si è registrato un boom di malati. La paura fa 90, il terrore fa certificato di malattia senza ritegno. Poi, però, la situazione si è ribaltata ed il numero dei lavoratori in smartworking che si sono messi in mutua è crollato. Sia nel privato sia nel pubblico. Se non bisognava andare in ufficio, si poteva persino lavorare anche in caso di raffreddore o di una storta alla caviglia. 

Non solo, è pure aumentata la produttività, nell’ordine del 15% medio. 

Questo dovrebbe sottolineare alcuni aspetti dell’organizzazione del lavoro in Italia. Innanzitutto dovrebbe far capire che le strutture gerarchiche aziendali fanno schifo. Che i criteri di carriera sono totalmente sbagliati, che le promozioni premiano gli incapaci. Tutto sbagliato, tutto da rifare. Se lontano dai capi e dai superiori gerarchici i dipendenti lavorano di più e meglio, forse qualche dubbio dovrebbe sorgere nei responsabili dell’organizzazione.

Altro aspetto è quello della collaborazione, dello scambio di idee, del confronto. Al di là di alcuni, rari, lavori in cui la solitudine è un elemento stimolante e vincente, nella maggioranza dei casi il confronto continuo permette lo sviluppo di nuove idee, di nuovi progetti. Invece, in Italia, è cresciuta la produttività quando i lavoratori hanno smesso di incontrarsi. Non è sorprendente perché l’organizzazione ottusa esclude il coinvolgimento dei dipendenti nella definizione delle strategie. Ed esclude i sottoposti, considerati meri esecutori, nella preparazione dei progetti. Di conseguenza il confronto è solo quello che si fa intorno alla macchinetta del caffè per discutere di calcio, del ristorante appena scoperto, delle corna del collega. Senza questi fondamentali incontri è evidente che la produttività non cala.

Ma ne risente l’azienda nel suo complesso, perché rinuncia alla collaborazione dei dipendenti, alla loro partecipazione attiva. Alle idee diverse, alle intuizioni. Solo esecutori, e possibilmente muti.

Ma a risentirne sono anche i servizi legati al mondo del lavoro tradizionale. Si lamentano le associazioni dei commercianti. Perché il lavoro da casa elimina i pasti al bar ed al ristorante nella pausa pranzo. Più strano che si lamentino i negozianti di altri settori, perché in pausa pranzo sono regolarmente chiusi. È vero che, al termine dell’orario di ufficio, i lavoratori potevano dedicare un po’ di tempo allo shopping, ma lo possono fare anche al termine del lavoro a casa. Cambiano i quartieri degli acquisti, ma potrebbe essere un bene, calmierando i folli prezzi degli affitti dei negozi in area centrale.