Questo è il nome della nuova «terra promessa» all’umanità in marcia verso il «transumanesimo». In marcia, già, le società occidentali lo sono ufficialmente dal 1968 e la sua «presenza ideologica» è indubitabile, la «terra promessa» è invece più incerta. Primo perché non una «terra», poi anche perché «promessa» non è la parola giusta se pensiamo ancora come una volta che una promessa è fatta per essere mantenuta. Del resto una volta, nel vecchio mondo, si distingueva ancora il reale dal virtuale, che quest’ultimo non era altro che uno stato preparatorio alla realtà. Oggi, invece, il virtuale è un’altra realtà «aumentata», aumentata di tutte le risorse della irrealtà spettacolare che è l’ossessione dei nostri migliori cervelli.
Il «metaverso» ch’essi annunciano si riassume in questo: è il nostro ultimo orizzonte e la nostra nuova «buona novella». Il virtuale è sempre più «reale» e presto ci sbarazzeremo della realtà reale.
«Metaverso» la parola, certamente, è infelice. Letteralmente un mostro di vocabolo, poiché contrasta con la prima regola della morfologia la quale vuole che tutte le radici di una parola siano della stessa origine. Così com’è costruita, mezzo greco e mezzo latino, è mal costruita, come del resto «automobile» o «omosessualità», che sono comunque state ammesse dall’uso quotidiano. Universo ha il suo senso, sia che lo si prenda con «girato in un» oppure «girato verso l’un»; ma il «metaverso» sarà invece «girato verso una parte». Nel latino medioevale «universus» aveva il senso del greco «homothumos» (accordo unanime). Con il «metaverso», non c’è più bisogno di accordo, neanche con sé stessi. Del resto non c’è più bisogno del «se stesso» e l’avvenire che ci preparano con il «metaverso» sarà, finalmente, riposante… eternamente.
Marco Affatigato