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Cultura Post-it Vannucci

Il Post It: una domenica con Edda

Incontrare una discendente della Famiglia Mussolini, di quel Mussolini, per chi scrive non è una novità. In passato furono molteplici i dialoghi con l’artista della Casa, Romano, formidabile pianista jazz nonché pittore ma fin troppo provetto. Ricordo con simpatia quando nello studio di un amico Comune, il Maestro Alberto Parducci di Alltopascio, quest’ultimo autore di innumerevoli quadri pubblicati nell’annuale calendario dei Carabinieri, ebbi la sfrontatezza di invitarlo a proseguire solo con la musica abbandonando le velleità raffigurative. Infatti, figlio del Duce o non, i suoi quadri non erano propriamente realizzati con una mano da novello Van Gogh, ma delle croste inguardabili.

Romano mi guardò stranito, io da uomo ancora imberbe ebbi il coraggio di spiattellargli in faccia la verità, ma dopo pochi secondi di silenzio scoppiò in una risata fragorosa. Va beh, rispose, tanto li vendo lo stesso! Romano era così, con un sorriso respingeva ogni diatriba, ma pure ogni ricordo ed il peso di un cognome greve da portare. Incontrarlo, ogni volta, era un piacere. Magari non lo vedevi da un anno, ma quando tornava avevo l’impressione di esserci visti il giorno prima. Del Maestro Parducci fu amico vero, io mi ero aggregato alla compagnia da studentello da quattro soldi affascinato dalle loro figure, e ne aveva di cose da raccontare, eh se ne aveva! Ma differentemente dalla mia sete d’informazioni preferiva parlare di Duke Ellington, di Count Basie o di Ella Fitzgerald, ricordando ogniqualvolta New Orleans, la capitale mondiale del Jazz dove era apprezzatissimo. Ma di quelle informazioni da me agognate, Romano, non proferiva parola preferendo rifugiarsi in un sorriso come a dire: lascia stare, è acqua passata. Soprattutto non accennò mai una parola malevola contro “gli altri” al punto che avrei voluto chiedere chi, dei due, fosse più mussoliniano. Io, o lui. Era un signore discreto, così lo ricordo, con il suo sorriso bonario ed un fisico un po’ appesantito dagli anni ma capace di un’agilità non comune di fronte ad un pianoforte, da grande artista qual fu.

Domenica scorsa, ho incontrato Edda. Edda Negri Mussolini, la seconda figlia di Annamaria, l’ultima genita di Benito Mussolini e Rachele Guidi.  L’occasione è stata per la presentazione del suo ultimo libro, “I Mussolini dopo Mussolini”, dove narra le vicende della Famiglia dopo la scomparsa del Duce.  Come per Romano, Edda, possiede il “timbro” della famiglia, ossia la dolcezza del sorriso. Un sorriso solare capace di farla apparire ancora più bella della già sua prorompente bellezza. Quando parla lo fa guardandoti dritto negli occhi, dove traspare tutto l’orgoglio di un nome e cognome indimenticabile, come Romano non discute di politica tenendo dentro tutte le sue emozioni vissute e passate, ma della sua Famiglia ne parla ben volentieri, soprattutto dell’insegnamento impartito dalla nonna Rachele: non odiare mai. Detto fatto: Edda non conosce la parola odio. Edda dialoga misurando le parole come un farmacista col bilancino, tra le sue conoscenze da lei più apprezzate c’è un vecchio partigiano di Forlì con il quale, Edda, s’è incontrata più volte confrontandosi amabilmente. Confrontarsi, non scontrarsi, la parola fine all’odio inizia da qui. In questo, Edda, è un esempio. Citando la sua Famiglia, il tono di Edda, si fa ancora più dolce. Sorride sulle “verità assolute” spiattellate qua e là tra libri e film fantasiosi dove, la verità, è ben nascosta nell’inchiostro dello scrittore o dello sceneggiatore.

La forza di un nome, sta pure in questo. Un nome fortemente voluto da quando la Legge italiana permetta di ottenere pure il cognome della mamma e lei, Edda, ne va fiera. Nel presentare il libro ricorda con dolcezza l’incontro dei suoi genitori. Il papà, Giuseppe, giornalista e la mamma, Annamaria, desiderosa di farlo, ma assunta dalla RAI con il cognome del marito, Negri, fu licenziata in tronco quando scoprirono ch’era l’ultima figlia di Mussolini. Ricorda la zia, Edda Ciano, spericolata pilota in grado di gareggiare con un certo Tazio Nuvolari; ricorda la nonna, Donna Rachele, ed il suo viso diventa ancora più dolce nella tenerezza dell’emozione. Sorride, ancora, quando racconta dei fin troppi millantati figli del nonno, oppure per le incommensurabili fortune accumulate durante il ventennio. Il Duce non volle e non prese mai un centesimo da capo del Governo. Esiste un libro, scritto da Anita Pensotti nel 1962, dove l’autrice intervista Donna Rachele. Più o meno a metà del tomo, possiamo leggere: ma, Benito! Con tutte le penne in ufficio, possibile tu che tu debba scrivere con delle matite consumate fino alle unghia? Quelle non sono nostre, appartengono allo Stato. Fu la risposta. Impensabile ai giorni nostri. Per le infinite fortune accumulate, Edda, non l’ha detto e forse non ne sarà a conoscenza, ma con tutta la certezza assoluta affermo quando i pochi iscritti del MSI, nel dopoguerra, si autofinanziarono per permettere a Donna Rachele di mangiare lei e la sua Famiglia.

Nel massimo silenzio e nella massima dignità, come d’uso per chi la pensa come noi.    

Marco Vannucci