Pensavo alla commemorazione che è stata fatta «il Giorno del Ricordo»: le foibe, una ferita che non si rimargina.
Anche quest’anno è stato celebrato per evitare che si perda la memoria dei drammatici eventi che, alla fine della Seconda guerra mondiale, insanguinarono le regioni di quella che sarebbe diventata di lì a poco Jugoslavia. Il presidente della Repubblica, il presidente del Senato, il presidente della Camera, i rappresentanti delle associazioni degli esuli dalmati, fiumani e giuliani e, per ultimo la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, tutti hanno dato il loro contributo per fare sì che non si dimentichino le drammatiche giornate in cui la furia dei partigiani comunisti jugoslavi e, poi, il regime di Tito, si abbatté su migliaia di persone che avevano la sola colpa di essere ”italiani” e, per questo, da punire, anzi spazzare via. Anche se erano partigiani, se erano comunisti, se erano i vicini di casa dei loro carnefici, pur se erano perfettamente inseriti nelle comunità locali, al cui sviluppo e alla cui cultura contribuivano quotidianamente. Un genocidio nei confronti degli italiani: uomini, donne e bambini tutti gettati vivi in quelle cavità e lasciati a morir di stenti.
Le foibe (le profonde cavità naturali presenti sul Carso) divennero tombe senza nome per tanti, lanciati nel ventre della terra senza nemmeno prendersi il disturbo – passando per l’ultima violenza – di evitare loro inutili, lunghe, devastanti sofferenze.
Uomini, donne, bambini, militari non passati per le armi, ma lasciati morire per le ferite subite nella caduta o per fame e sete. Persone che diventarono semplici numeri per una contabilità che purtroppo continua ad aggiornarsi ancor oggi perché la tenacia di chi di quei martiri è oggi figlio o nipote ha contribuito a fare continuare le ricerche di questi cimiteri, in cui è morta anche la dignità.
Ma, quando anche di recente, ne sono state scoperte, è stato ancora più dolore, perché delle vittime forse non si conoscerà mai l’identità. Ho guardato gli interventi in Senato e c’è stato quello del presidente di Federesuli, che forse aveva un testo da leggere, ma che spesso ha parlato a braccio, soprattutto quando ha cercato di esprimere la rabbia di chi nelle foibe ha perso dei congiunti di fronte a quanto sta accadendo anche in questi giorni, alcune iniziative culturali, che hanno al centro le foibe e la vergogna che esse si portano dietro, ne stanno dando una spiegazione inquietante, attribuendo l’esercizio del ricordo a operazioni di relativizzazione dell’accaduto o di pura strumentalizzazione politica.
Gli «infoibati» erano italiani, com’erano italiani gli ebrei del ghetto di Roma assassinati nei campi di concentramento. L’analisi storica è giusta, ma non ha senso prenderla a pretesto, per beghe ideologiche, per rimuovere dalla memoria collettiva il dramma che azzerò la popolazione italiana di quei luoghi. Dovremmo tutti indignarci davanti a manipolazioni del sentimento comune a fini politici o propagandistici e non invece tacere. Perché non si può tacere! Manipolazioni ideologiche/politiche che in Italia si sono viste applicare in tanti altri orrendi crimini, stragi. Purtroppo quello delle foibe resta un argomento divisivo, di quelli in cui sembra impossibile trovare un punto di vista unico perché è usato come una clava quando si tratta di paragonare totalitarismi e regimi sanguinari. Anche a Sanremo, dove Amadeus ha letto un comunicato per onorare il ricordo ha però volutamente (?) dimenticato di citare lo «odio dei partigiani e milizie comuniste di Tito» citando solo gli ‘’ordini di Tito’’ nei confronti degli italiani.
Quando arriveremo a far valere l’argomento unitario che è l’italianità delle vittime allora, solo allora potremo dire che l’onda lunga della «guerra civile» è finita in Italia. Questo spetterà al tempo e alle giovani generazioni.
Marco Affatigato