Liste d’attesa infinite, accessi alle prestazioni nel privato aumentati esponenzialmente (per chi può permetterselo), persone fragili abbandonate dal SSN, spoliazione della sanità territoriale, il nostro Sistema Sanitario Nazionale vive da oltre trent’anni in modo drammatico. Sono anni che lo Stato non investe quanto necessario né in termini economici (nel 2025 sarà destinato solo il 6,2% del PIL alla sanità) né in termini di risorse (mancano attrezzature, medici e infermieri).
La salute è un diritto fondamentale per tutte le persone, che la nostra Costituzione, tra l’altro, tutela e che lo Stato deve garantire. Ma, purtroppo, le condizioni in cui versa il nostro Servizio Sanitario Nazionale sono drammatiche e sotto gli occhi di tutti, compreso di coloro che dovrebbero porvi soluzione ed invece si continua a non investire e impedire l’accesso alla professione medica.
Rispetto alla riforma del 1978 c’è stato un cambiamento demografico non ancora metabolizzato in modo adeguato: siamo una società invecchiata e che invecchierà ancor di più. Sono anni che lo Stato non investe quanto necessario in termini di risorse finanziarie, professionali, riforme. L’impatto della pandemia Covid sull’intero sistema aveva aperto la speranza per adeguati investimenti sul servizio sanitario. Così non è avvenuto, quanto meno in termini congrui e strutture che inizialmente sono state create oggi vivono la decadenza, l’ammuffimento, il degrado.
Un sistema già indebolito, costretto a dare priorità alla gestione della pandemia, ha raggiunto risultati efficaci grazie allo straordinario impegno professionale, ma contestualmente si è infiacchita la capacità di risposta assistenziale ai bisogni delle persone, le liste d’attesa sono incrementate, l’accesso a prestazioni a pagamento è aumentato in modo esponenziale, il ricorso a sistemi assicurativi è stato stimolato e, più in generale, è aumentato l’abbandono delle persone fragili per salute, età, condizioni economico-sociali.
All’impatto pandemico si sono aggiunte le ricadute economico-finanziarie dovute alla guerra in Ucraina, l’inflazione, il caro bollette, aggravando ulteriormente la situazione finanziaria delle Regioni, dei Comuni e delle famiglie.
Siamo di fronte ad un pericolo incombente: il superamento dell’universalismo sanitario del SSN con l’avvio di fatto di un universalismo selettivo la cui conseguenza sarà una sanità povera che si rivolge prioritariamente ai poveri, e una sanità ricca aperta solamente a coloro che potranno offrirsela, aggravando quelle diseguaglianze che sempre più caratterizzano il nostro Paese.
È unanimemente riconosciuto che già oggi le differenze inaccettabili nella società, in rapporto a istruzione, condizioni di vita e di lavoro, età portano anche a diseguaglianze di salute. Le persone socialmente più disagiate si ammalano di più ed hanno maggiori difficoltà di accesso tempestivo a servizi di buona qualità.
Eppure si sente sempre dire che servono più medici, servono più infermieri, serve più personale sanitario e assistenziale per garantire il servizio sanitario a e per tutti in tempi brevi, però si chiudono le strutture sanitarie periferiche per centralizzarle, si chiudono gli ambulatori sanitari nelle zone montane e di periferia, si riducono i servizi territoriali e continuano a mancare medici e personale sanitario. Quando invece l’obiettivo dovrebbe essere quello di avere più personale adeguatamente formato e valorizzato, rivedere e innovare anche i percorsi formativi con maggiore collaborazione fra SSN e Università, riconoscendone il ruolo strategico e adeguando salari, diritti, progressioni di carriera; rafforzare l’assistenza territoriale per dare concretezza alla presa in cura delle persone, con particolare attenzione alle aree interne, montane e collinari, dare sostegno ai caregiver, integrazione sociale e sanitaria per garantire la domiciliarità; mettere in sicurezza gli ospedali a partire dai PP.SS e dall’Emergenza-Urgenza; semplificare l’accesso ai servizi sanitari pubblici e intervenire sul mercato farmaceutico.
L’accesso gratuito al SSN ha un valore insostituibile ma certamente necessita di maggiori risorse e se il Paese non può indebitarsi ulteriormente queste risorse vanno reperite con un sistema fiscale equo e l’accelerazione del percorso legislativo per introdurre, anche in Sanità, l’Autonomia differenziata non aiuta di certo, anzi, poiché il SSN e demandato alle Regioni, questo può divenire una premessa per una dirompente risposta frastagliata, Regione per Regione, a problemi trasversali che riguardano l’intero sistema sanitario e che da tempo, invece, richiedono una risposta unica e nazionale.
Marco Affatigato