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L’opinione: Jules Verne e la Vandea “il conte di Chanteleine”

Chi di noi non ha letto o almeno sentito parlare dei capolavori «Il giro del mondo in ottanta giorni», «Viaggio al centro della Terra», «L’isola del tesoro», «Ventimila leghe sottomare», «Dalla Terra alla Luna», «I figli del capitano Grant» per citarne alcuni e dimenticandone altri. Ma dei suoi scritti solo uno venne ostracizzato per non dire «censurato»: «Il Conte di Chanteleine». Era il periodo dell’illuminismo e della rivoluzione francese e quel romanzo descriveva la repressione attuata nella cattolica Vandea. Un romanzo, quindi, che infanga (rendendo pubblico l’azione sanguinaria) il mito della Rivoluzione. Se in Francia questo libro ha visto la luce solo nel secolo successivo in Italia comparvero sei edizioni tra il 1876 e il 1894 (libri oggi che hanno un importante valore economico oltre che storico).

Nelle «opere integrali» di Jules Verne questo testo non compare mai a dimostrazione dell’azione censuratoria ancora in atto. Invece con «Il Conte di Chanteleine» Jules Verne ha affrontato con coraggio, vista l’epoca in cui lo scrisse, uno degli eventi storici più occultati e manipolati dalla «storiografia ufficiale» e non sarà mai troppo tardi riconoscere quello che, a tutti gli effetti, fu il primo genocidio studiato a tavolino. Un genocidio preso a modello, poi, dai regimi totalitari del Novecento ma anche attuali. È certo «sconveniente» ammettere, soprattutto per gli intellettuali e storici che esaltano l’epoca dei lumières, che lo sterminio vandeano sia il frutto della tanto decantata Rivoluzione francese, «figlia» di quell’illuminismo che ha portato per loro ha portato solo progresso all’umanità. Non è forse questo che si può ancor oggi leggere nei testi scolastici? Il massacro di uomini, donne e bambini, di intere famiglie cattoliche e monarchiche perpetrato nel nord-ovest della Francia tra il 1793 e il 1796 dal «governo rivoluzionario» non è presente. Non c’è quella pagina di Storia che ci ricorda l’aggressione di uno «stato autoritario» che in nome della «Dea Rivoluzione», della «Dea Ragione» nel nord-ovest della Francia, nella Vandea, trucidò oltre 100 mila persone di una società contadina, tradizionale, cattolica e fedele alla monarchia. Ma di questi dolorosi avvenimenti Jules Verne (1828-1905) non ha voluto essere complice perché non si sentiva partecipe ed ecco «fissarli» nel «Il Conte di Chanteleine».

Del resto Jules Verne era nato a Nantes da una famiglia molto cattolica in quella Bretagna che aveva sposato la causa dei vandeani e lui, che non aveva mai perso le sue radici religiose, fa rivivere l’epopea tragica di quei fatti nell’unico romanzo ambientato nella sua terra natia. Racconta la vicenda di un nobile che per resistere al «Terrore rivoluzionario» si ritrovò la casa distrutta e a dover mettere in salvo sua moglie e sua figlia dalla minaccia della ghigliottina. Un testo scritto nel 1864 e che apparve sulla rivista parigina «Musée des familles» con, un sottotitolo «Episodio della rivoluzione» che lascia pensare a una collana di più opere che Verne ha dedicato alla rivolta della Vandea. Il reale protagonista del romanzo sembra essere Pierre-Suzanne Lucas de la Championnière, uno dei luogotenenti del generale vandeano François de Charette anche se altri commentatori ipotizzano che, invece, dietro il protagonista si celi un altro combattente in carne e ossa: Jacques Chatelineau meglio conosciuto come «il santo dell’Anjou», un laico, un onesto venditore ambulante di filo e aghi che si pose alla testa degli insorti innalzando non una bandiera politica ma il vessillo della fede come nel canto di battaglia:

«Avanzano gli stendardi del Re

Risplende il mistero della Croce

Su cui la vita ha sopportato la morte e con la sua morte dà la vita».

Non c’è dubbio, almeno in me, che il cuore di Verne batta per questi eroi dimenticati. Ma quando però Verne presentò questo romanzo al suo editore questi si rifiutò di pubblicarlo probabilmente perché riabilitava una «pagina» da dimenticare nella Francia repubblicana. Una pagina ancor oggi da non ricordare. Del resto i giacobini avevano persino votato una legge che toglieva al dipartimento francese il nome di Vandea per sostituirlo con quello «Vengé» (vendicato) e quei contadini retrogradi e accecati dai preti era meglio lasciarli nell’oblio. Invece Verne, in quel romanzo, ne esalta l’ardore e la fede facendo riecheggiare tutti gli orrori della repressione delle «colonne infernali» che usarono persino il gas e poi i barconi con uomini, donne e bambini a bordo da affondare, i processi farsa che portavano alla ghigliottina e impiccagione, la persecuzione nei confronti dei fedeli, dei sacerdoti, uccisi, deportati e «rimpiazzati» con quelli che avevano prestato giuramento alla «costituzione civile» del clero.

Ecco che Verne con il suo romanzo colma i volontari buchi della storia scritta dai vincitori. Questa si’ che è una rivoluzione da celebrare.

Marco Affatigato

Riguardo l'autore

Marco Affatigato

nato il 14 luglio 1956, è uno scrittore e filosofo laureato in Filosofia - Scienze Umane e Esoteriche presso l'Università Marsilio Ficino. È membro di Reporter Sans Frontières, un'organizzazione internazionale che difende la libertà di stampa.

Nel 1980 la rivista «l’Uomo Qualunque» ha pubblicato suoi interventi come articolista. Negli ultimi anni, ha collaborato regolarmente con la rivista online «Storia Verità» (www.storiaverita.org) dal 2020 al 2023.