«Sì, vendetta, tremenda vendetta / Di quest’anima è solo desio… / Di punirti già l’ora s’affretta, / Che fatale per te suonerà. / Come fulmin scagliato da Dio / Il buffone colpirti saprà.»
(RIGOLETTO atto secondo, scena ottava. Rigoletto e Gilda – opera in tre atti di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave, tratta dal dramma di Victor Hugo “Le Roi s’amuse”).
La VENDETTA è uno dei nostri istinti più profondi considerato, teoricamente, come una «funzione protettiva» nel contesto sociale in cui viviamo e demandata molto spesso alle aule giudiziarie.
Ma cos’è la vendetta? Origina dal rancore e dal risentimento, dal desiderio di «farsi giustizia» per un danno o un torto subito. La persona danneggiata vuole «pareggiare i conti» con chi è stata la causa delle sue sofferenze e ha la mente invasa da questo pensiero che si ripercuote sulla sua salute: messaggi negativi connessi all’offesa subita si impadroniscono della sua anima e del suo corpo. Niente a che vedere con il «senso di giustizia» o con «la giustizia è uguale per tutti» che vengono propagati nelle aule giudiziarie. Solo VENDETTA. Fare agli altri ciò che essi ci hanno fatto ci può far sentire appagati e spesso è questo che si vuole ottenere nelle aule giudiziarie per essere gratificati da un senso di giustizia. Ma ci si può anche pentire dell’azione vendicatrice fino a credere che «rendere il contraccambio» non potrà modificare una determinata situazione.
Chi, invece, rinuncia alla vendetta si distacca dall’accaduto molto più in fretta ottenendo uno stato psico-fisico umorale migliore. Il desiderio di vendetta altro non è quindi che una confessione di dolore.
Ma la vendetta più crudele è il disprezzo di ogni vendetta. Il disprezzo è la forma più sottile di vendetta. Proprio per questo al Rigoletto rispondo con una frase di Alda Amerini:
«La miglior vendetta? La FELICITA’. Non c’è niente che faccia più impazzire la gente che vederti felice.»
Marco Affatigato